giovedì, 28 marzo, 2024
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INTERVISTA a ANDREA COSTANZO MARTINI - di Michele Olivieri

Andrea Costanzo Martini. Foto Shumpei Nemoto Andrea Costanzo Martini. Foto Shumpei Nemoto

Andrea Costanzo Martini è nato e cresciuto in Piemonte (Cuneo) dove ha cominciato i primi studi di danza contemporanea e balletto prima al centro di danza contemporanea Danzicherie di Cuneo sotto la guida di Mariacristina Fontanelle, e poi al Teatro Nuovo di Torino con Daniela Chianini. A diciannove anni, finito il Liceo Classico, si trasferisce a Monaco di Baviera in Germania per frequentare l’Accademia di Balletto Heinz Bost Stiftung. Nel 2004 riceve il suo primo ingaggio con la compagnia Aalto Staat Theater di Essen dove lavora per due anni. Nel 2006 si unisce all’ensemble BATSHEVA e due anni dopo alla BATSHEVA DANCE COMPANY dove, oltre a ballare nei lavori di Ohad Naharin e Sharon Eyal, comincia a muovere i primi passi come Coreografo e Insegnante di Gaga. Dopo quattro anni ottiene un ingaggio con il CULLBERG BALLET di Stoccolma dove partecipa in lavori di Benoit Lachambre, Alexander Ekman, Crystal Pite, Jefta Van Dinter e Tillman O’Donnel. Con la compagnia crea un pezzo per sei uomini “For men only” che viene presentato al Moderna Dans Theater di Stoccolma. Partecipa anche al programma “This empty stage an ocean” diretto da Debora Hay, una ricerca sulla Performance come pratica. Nel 2012 ritorna in Israele dove comincia a lavorare con la INBAL PINTO & AVSHALOM POLLACK DANCE COMPANY e dove crea il solo “What Happened in Torino”. Nel marzo 2013 riceve il primo premio per Performance e Coreografia alla “International Tanz Solo Competition Stuttgart”. Il pezzo viene successivamente presentato in molti teatri Europei e nel 2016 arriva alla Vetrina Anticorpi XL a Ravenna. Grazie al supporto di Tanz Haus Zurich, Suzan Dellal Center e Teiva Theater Tel Aviv nel 2014 presenta ad Aix en Provence il duetto “Tropical” al Pavillon Noir/Preljocaj. Il 2015 lo vede impegnato con diverse creazioni per il Workshop Gaaton nel Nord di Israele e alcune collaborazioni con artisti Israeliani (Roee Efrat e Neomi Zuckerman) e Italiani (Francesca Foscarini-Vocazione all’asimmetria). Debutta ad agosto il solo “Trop” a Tel Aviv. Nel giugno 2015 presenta nella Galleria d’arte Alfred a Tel Aviv l’installazione “Filthy Guilty aaaaAAAAAHHHHHH” e a luglio il duetto “VOGLIO VOGLIA” nella Palazzina di Caccia di Stupinigi per il Festival “Teatro a Corte”. Nel mese di ottobre 2015 ottiene il premio del pubblico con il solo “What Happened in Torino” alla Mas Danza Competition, Gran Canaria. Nel 2016 ,oltre a numerose tournée internazionali con “Trop” e “What Happened in Torino”, crea il solo “Occhio di Bue” per il Festival “Teatro a Corte”, un lavoro site specific per il Teatrino di Agliè. Il pezzo ottiene il secondo premio della giuria alla “International Jerusalem Dance Competition 2016”. Il 3 Novembre 2016 presenta il nuovo duetto “SCARABEO, gli angoli e il vuoto” a Tel Aviv nel contesto del Festival “Curtain Up Premieres”. Il 2017 vede il debutto del lavoro site specific “Solo Bonotto” come parte del Festival Opera Estate 2017 presso la fondazione Bonotto di Molvena e di “Rootchop#2” un lavoro per giovani danzatrici Venete. È anche l’inizio della collaborazione con il collettivo dei “Dance Makers” supportato dal “Centro della Scena Contemporanea” di Bassano del Grappa (Vicenza) e dalla rete Residence XL. Nello stesso anno presenta il lavoro SCARABEO in Italia (Polverigi-INTeatro Festival), Svezia (Gothenburg), Sud Corea (Seoul), e Kalamata (Kalamata Dance Festival). Nel Novembre 2017 il duetto viene selezionato dal Festival Aerowaves Twenty 2018. Nel 2018 crea, su commissione, “Arabesque d’emergenza” per il collettivo dei Dance Makers, “INTRO” per il Balletto di Roma e “Balera” per il Balletto Teatro di Torino. Comincia inoltre una collaborazione, sostenuta da BTT, Piemonte dal Vivo e Charleroi Danse, con la artista video Cindy Sechet per un duetto per un danzatore e telecamera “La camera du Roi”. Tra Marzo e Novembre presenta i suoi lavori nel contesto di una tournée internazionale a “TanzHaus Zurich”, “Shanghai Int. Dance Center”, “The Place” London, “La briqueterie” – Paris, “Les Brigittines” – Brussels e “B-Motion Festival” – Bassano del Grappa tra gli altri. Parallelamente alla sua attività di coreografo e performer Andrea Costanzo Martini è un istruttore di Gaga e tiene regolarmente workshops in Israele e in Europa (Svezia, Regno Unito, Spagna, Italia, Germania, Francia etc).

Ciao Andrea, com’è nata la passione per la danza? Chi ti ha indirizzato verso quest’arte? 
Ciao Michele. La mia passione è nata guardando un concerto di Michael Jackson, nonostante già fin da piccolo avessi parecchia attitudine verso il movimento. Rimasi incantato dal fatto che un corpo potesse fare così tante cose incredibili. A un certo punto, durante un campeggio estivo, un’insegnante di danza a cui sarò sempre grato, Mariacristina Fontanelle, mi notò e suggerì ai miei genitori di iscrivermi ad un corso. 

Quali sono i momenti più belli del periodo di formazione a cui sei legato? 
Di sicuro gli inizi. Il danzare senza nessuno scopo, la dedizione a fare qualcosa solo perché mi dava piacere. Ricordo i primi saggi di danza e la 
consapevolezza di essere su un palcoscenico come qualcosa di magico... 

Che scoperta è stata la danza? Ricordi il primo giorno in sala danza e la prima volta in palcoscenico? 
Ricordo entrambi. La prima volta in sala mi colpirono le musiche bellissime, e alcune regole. Il fatto che si contasse le musica per esempio... per quanto riguarda la prima volta in palcoscenico, avevo undici o dodici anni, mi divertii moltissimo e correndo per uscire dal palcoscenico alla fine del pezzo mi scontrai contro le mie compagne e per poco non finii giù dal palco.  Fin da allora avevo una vena comica naturale.

Poi hai deciso di lasciare l’Italia per la Germania. Com’è nata questa opportunità e scelta? 
Fu sotto consiglio di un insegnante di balletto che mi propose di fare l’audizione per un’accademia a Monaco di Baviera. Fu un periodo di grande rigore e disciplina, molto duro, da cui imparai anche che certi atteggiamenti e vecchie regole non dovrebbero più trovare posto nel nostro secolo. 

Mi racconti il tuo primo lavoro coreografico? 
Fu la mia prima insegnante a darmi l’occasione di creare un assolo mio. Preparai, nel 2012, un pezzo di 20 minuti, poi accorciato a 13, che divenne il mio cavallo di battaglia. Il solo era su testi di Vanna Marchi e musiche di Arvo Part. Sacro e profano nel mio mondo sono due facce della stessa medaglia.

Dove trovi la fonte d’ispirazione per le tue creazioni? 
Dal movimento innanzitutto, e da idee piccole, immagini frammentarie. Sono sempre in ascolto per non perdermi i suggerimenti che mi visitano inattesi da chissà dove. Non ho mai avuto un’idea completa, solo scorci. È il lavoro stesso a determinare, a ritroso, di che cosa si stia parlando. 

Tra i coreografi ed artisti incontrati sul tuo cammino, c’è qualcuno che ha influito in maniera determinante al  tuo stile? 
Di sicuro il mio maestro più grande è stato Ohad Naharin. Poi c’è il senso dell’umorismo, dissacrante, della mia famiglia. Apprezzo moltissimo le atmosfere di David Lynch da cui traggo grande ispirazione. Dal punto di vista concettuale anche Deborah Hay è stata determinante nel mio modo di creare. 

Nelle tue creazioni la musica ha un ruolo fondamentale o predominano altri aspetti? 
Non c’è una regola. Di sicuro però la musicalità, anche slegata alla colonna sonora di un lavoro, è fondamentale nella mia composizione. Il mio corpo danzante è sempre visitato da “groove” e “flow”. 

Nel 2006 ti sei unito all’ensemble Batsheva e due anni dopo alla Batsheva Dance Company. Qual è l’essenza e l’eccellenza di questa compagnia da tempo punto di riferimento internazionale tra le più autorevoli? Dove e in cosa ritrovi il genio in Ohad Naharin? 
Ohad Naharin, una voce più unica che rara, che continua a ricordare a tutto il mondo della danza l’importanza del movimento e del gesto, dell’ascolto del corpo, della fisicità prima di tutto il resto. Quello che sempre colgo nei suoi lavori è che la danza, innanzitutto, parla di sé stessa e dell’esperienza umana in quanto tale. 

Per chi non lo conoscesse com’è strutturato il metodo Gaga? 
Si tratta di un linguaggio di movimento nel quale l’ascolto del proprio corpo è l’elemento fondamentale. Attraverso immagini e istruzioni adeguate si spinge l’allievo a riallinearsi al desiderio innato per il movimento, alla passione per il danzare. 

Come si svolgono le lezioni Gaga, tu nei sei insegnante, giusto? 
Le lezioni prevedono un istruttore che parla per tutta la lezione invitando i partecipanti a muoversi in determinati modi. L’istruttore partecipa attivamente e per un’ora non si smette mai di danzare a meno che non si tratti di una richiesta specifica. Gli allievi sono invitati ad imitare l’insegnante ma anche ad esplorare, nei limiti di ciò che viene richiesto, le loro possibilità e a superare, giornalmente, i propri limiti. Gaga è diviso in dancers o People, il secondo accessibile anche a persone che non hanno mai danzato. 

Che esperienza è stata quella in Svezia con il “Cullberg Ballet”, in cosa ti ha arricchito? 
Il Cullberg Ballet è stato un bellissimo momento che mi ha permesso di cogliere velocemente il panorama della danza internazionale grazie agli  innumerevoli coreografi con i quali ho avuto la fortuna di collaborare. Sono stato inoltre circondato da un team di colleghi danzatori e danzatrici incredibile. Vivere in Svezia però non faceva per me, per questo decisi, con mio marito, di tornare a vivere in Israele. 

Quando decidi di andare a teatro da spettatore, cosa ti colpisce e cosa scegli? 
Sono aperto a tutto. Come spettatore desidero innanzitutto non annoiarmi. Questo non significa vedere effetti speciali. Significa essere messi a confronto con qualcosa di prodotto con consapevolezza e profondità. Personalmente, a teatro, desidero essere incantato, ingannato, manipolato, stupito, accompagnato. Mi piace guardare gli spettacoli con gli occhi di un bambino. 

Come è vissuta la danza in Israele? 
La comunità danzante in Israele è molto forte. Le compagnie più grandi ovviamente attirano un pubblico più mainstream, mentre il lavoro di ricerca rimane dedicato ad un pubblico più di nicchia. Ciononostante è raro vedere teatri vuoti. Certamente la presenza di coreografi eccellenti, attenti a non isolarsi in una danza ermetica e inaccessibile ai non addetti ai lavori, ha contribuito a questa cultura. Inoltre Tel Aviv ha almeno tre teatri grandi dedicati quasi esclusivamente alla danza, e innumerevoli spazi non convenzionali utilizzati dalla comunità. 

Cosa ti gratifica lavorare in questa nazione? 
Un pubblico intelligente ed esigente, artisti eccellenti, un senso di comunità vero, il fatto che la prima reazione quando dico che mi occupo di danza non sia “ah... ma in televisione?”, e il fatto di poter essere vicino ad interpreti eccellenti e al Gaga.


Hai lavorato con svariate realtà. Sono state tutte felici esperienze? Dove ti sei sentito più a casa? 
Non tutte le esperienze sono state felici. Ma si impara a capire cosa non ci fa stare bene. In Israele mi sento a casa, così come in alcune realtà italiane. 

Finora, gli incontri più interessanti a livello professionale, non solo dal punto di vista artistico ma anche umano, quali sono stati? 
Sono troppi. Elenco dei nomi: Naharin, Sharon Eyal, Benoit Lachambre, Deborah Hay, Inbal Pinto e Avshalom Pollak, Yoav Barel, Avidan Ben Giat, Yael Citron... 

Qual è l’aspetto che ti gratifica nel ruolo di docente? 
Mi piace convincere gli allievi a seguirmi, e vedere come le informazioni che passò abbiano un effetto reale sui loro corpi. 

Come ti poni nei confronti della disciplina classica accademica? 
Amo il balletto e la tecnica classica. Credo che con i dovuti cambiamenti rimanga uno strumento incredibile e un linguaggio estremamente poetico. Quello che non riesco a digerire è il fatto che ci siano ancora insegnanti che rovinano il corpo degli allievi per sottostare a rigidi canoni estetici. Fortunatamente succede sempre meno. 

Dell’attuale scena contemporanea a chi guardi con interesse? 
In Italia ammiro molto il lavoro di Francesca Foscarini, di Silvia Gribaudi e di Irene Russolillo, tutte artiste che in un modo o nell’altro hanno messo al centro della propria ricerca il corpo con risultati molto differenti. In Israele apprezzo molto il lavoro di Stav Marin, di Ella Rothchild, di Yasmeen Godder e di Bosmat Nossan

Nelle scelte professionali sei un istintivo o pianifichi ogni aspetto con cura? 
Entrambi. Cerco di pianificare ma normalmente tendo a fidarmi del mio istinto quando il momento arriva. Prepararsi serve a creare le condizioni per l’arrivo dell’ispirazione, che invece non è pianificabile. 

Qual è la fase più attraente nella creazione? 
La fine, quando i pezzi del puzzle si compongono e comincio a capire di cosa il lavoro tratti. 

Come riesci a mantenere sempre alta la creatività? 
Non ci riesco, ma ci provo. Come dicevo, cerco di essere sempre nelle condizioni ideali (quelle che posso controllare) per farmi visitare da qualche idea. 

La coreografia per te è un fenomeno introspettivo? 
Credo di sì, all’inizio. Sono molto protettivo all’inizio di un percorso creativo, e cerco di non aprirmi a nessuno fino a che l’embrione di ciò che sto creando si sia rafforzato un po’. Poi però credo che la coreografia debba aprirsi al mondo. E farsi capire, comprendere, comunicare o per lo meno accogliere lo sguardo dell’altro. 

Cosa significa fare ricerca nell’ambito della danza contemporanea? 
Non mi piace quella parola. Amo la danza che stupisce e che mi tocca nel profondo, che sia mainstream o di nicchia, per me è indifferente. Come artista cerco innanzitutto di sorprendere me stesso, di rimanere curioso. Mi fido del fatto che se soddisfa me, probabilmente arriverà anche ad altri. 

La danza è un’esperienza che pervade costantemente il tuo quotidiano? 
Sì, danzo sempre. 

Studio, capacità di ascolto, improvvisazione: come li collochi nel tuo lavoro? 
Sono tutti strumenti. Così come la pazienza, la resistenza, la testardaggine, la curiosità, e il talento. 

Per concludere, quali sono le prospettive future in cantiere? 
A metà gennaio debutterà il risultato di una collaborazione col direttore Ari Folman (Waltzer con Bashir) per il quale ho coreografato alcune scene di una nuova produzione per il Teatro Cameri a Tel Aviv. Poi un progetto di formazione con NOD e Piemonte dal Vivo. In seguito comincerà una nuova produzione per il “Balletto di Roma” con debutto a luglio a Civitanova, e in inverno inizierò una creazione per un pubblico giovane (9-14 anni) in Germania. 

Michele Olivieri

Ultima modifica il Martedì, 07 Gennaio 2020 17:57

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