venerdì, 29 marzo, 2024
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INTERVISTA a ANTONIO CATANIA - di Francesco Bettin

Antonio Catania. Foto Daniele Fiore Antonio Catania. Foto Daniele Fiore

Si divide tra cinema, teatro e televisione, con ruoli spesso ironici, ma anche drammatici e comici. Un attore poliedrico, Antonio Catania, che attualmente interpreta un Anfitrione moderno, politico e marito non molto brillante, in una riscrittura della commedia tratta da Plauto scritta da Sergio Pierattini, e in tournèe nei teatri italiani, per la regia di Filippo Dini. Incontrandolo in camerino si ha l'impressione di essere di fronte a un uomo saggio, pacato e sornione, e un artista di grande esperienza, che mette a proprio agio da subito. Alle nostre domande ha così risposto.

In Anfitrione il tema del doppio è al centro di tutto. La lezione che arriva da Plauto può aiutare l'essere contemporaneo a capirsi meglio?
E' come guardarsi allo specchio e non vedersi i difetti, ma qui siamo nel campo della commedia, infatti Anfitrione pensa che gli eventi che succedono siano attribuibili agli dei, si deresponsabilizza. Questa è un po' la chiave di questo politico di bassa qualità riscritto da Pierattini, che si gongola in un successo che poi scopre di non appartenergli nemmeno. Certo, è un po' uno smarrimento, perché Alcmena alla fine, e non solo lei, desidera un altro, infatti come si può competere con un dio? Ma viene superato perché l'ignoranza a volte supplisce e ci aiuta a superare i momenti difficili.

Lei si divide tra cinema teatro e tv,c'è un ambito dove si muove più volentieri?
Sono nato con il teatro, ho una formazione milanese con l'Elfo, Franco Parenti, e a un certo punto negli anni Novanta ho cominciato con il cinema. Ho fatto sia spettacoli che film belli e brutti ma quando si fa una bella cosa, sia al cinema che a teatro, è sempre quella che si preferisce, alla fine.

Come vede la situazione del teatro in questo momento storico?
Io adesso lavoro nel teatro privato, in questo ambito esiste una necessità di sovvenzionarsi da soli, con gli incassi del pubblico che viene a vederti, insomma. Bisogna fare delle cose che incontrano un po' il gusto e il favore della gente. Mi rendo conto che il teatro pubblico però ha tante sovvenzioni e può permettersi tante divagazioni. Il teatro sperimentale non esiste più, vediamo gli abbonati che calano, perché ci sono intere generazioni che mancano, alcune legate al teatro ma che poco a poco vanno a scomparire e non c'è un ricambio giovanile, e questo è chiaro, lo verifichiamo.

Possiamo dire che qualche problema c'è allora?
Si, ci sono problemi. Bisognerebbe riuscire a creare delle nuove energie per cercare di avvicinare di più il pubblico giovane.

Questo spetta agli operatori del settore, alla politica o a chi?
La politica potrebbe fare qualcosa, per esempio agevolare questo ricambio, dare dei finanziamenti a delle compagnie innovative, e non premiare esclusivamente quelli che già sono premiati dal mercato, ma quelli che osano qualcosa in più. Una volta erano previsti dei premi più ampi, per gli autori italiani o quelli giovani, mentre un po' alla volta ci si è chiusi, si va più sul sicuro, finanziando quelle poche certezze che ci sono, a discapito di altre cose che possono nascere. Bisognerebbe aiutare a sbocciare dei fiori che sono ancora nascosti.

E il pubblico un po' di attenzione la merita.
Il teatro secondo me un pochino deve tener conto del pubblico. Non può essere solo una visione d'artista che vuol fare scalpore, ci vuole attenzione e rispetto. E anche una divisione dei ruoli bella precisa, dove il regista fa il regista e gli attori fanno gli attori, e ci vuole rispetto per tutti questi ruoli. Questo garantisce una professionalità e non un'improvvisazione di artisti a tutto campo che scrivono, dirigono, interpretano perché è un po' una presunzione. Alcuni nel passato l'hanno fatto, penso a Carmelo Bene, Leo De Berardinis, che erano fenomeni veri, a parte poi che sono pochissimi quelli che hanno avuto successo.

Una svolta vera quale potrebbe essere?
Sarebbe bello che tornassero delle compagnie come una volta, che affrontavano dei testi impegnativi ed erano in tanti. Adesso se si pensa a fare una compagnia con quindici persone è impossibile, però i ragazzi giovani che iniziano possono permetterselo, se sono aiutati. Allora si potrebbero vedere degli spettacoli che invece sono proibitivi, oggi al massimo troviamo cinque o sei attori. Anche perché, invece, ci sono delle cose che possono affascinare e avvicinare al teatro, io stesso mi sono avvicinato guardando degli spettacoli importanti, grandi, come quelli di Strehler, Il campiello, Il giardino dei ciliegi, Re Lear, spettacoli grossi, veramente belli. Mi ricordo anche compagnie straniere, come Peter Brook, Savary, si vedeva tanta gente in scena luci, costumi. Quello è il teatro.

Ha dei ricordi anche lei?
Si, l'abbiamo fatto, con l'Elfo eravamo in tanti, e ai ragazzi che ci vedevano veniva la voglia di cominciare a fare il teatro. Sono nati così molti gruppi teatrali, guardando noi che pure non eravamo nessuno agli inizi. Certo eravamo giovani, avevamo energie. Quello manca, allargare il respiro e farlo diventare più ampio perché il teatro è veramente molto vasto.

Francesco Bettin

Ultima modifica il Giovedì, 28 Novembre 2019 08:08

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