giovedì, 28 marzo, 2024
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INTERVISTA a YOHAYNA HÉRNANDEZ. -di Maria Pia Tolu

Yohayna Hérnandez Yohayna Hérnandez

Yohayna Hérnandez è une giovane dramaturga cubana di trentasei anni, attualmente sotto i riflettori dell'attualità teatrale internazionale. Presente al FTA, Festival Trans Amerique a Montréal con Granma trombones de l'Havane - che ha scritto insieme ad altri quattro perfermers cubani e tedeschi, con la regia di Stefan Kaegi della compagnia Rimini Protokol - è pronta a veleggiare da un continente all'altro per approdare dal FTA al Festival d'Avignon in Francia. A Cuba è stata redattrice capo di Tablas, giornale consacrato alla scena, ha insegnato storia del teatro cubano al Senior High Institut of Arts ed è stata premiata con il «Prix de la critique» Mario Rodriguez Alaman. Acuta e appassionata ossevatrice della realtà sociale e culturale cubana alla quale guarda con oggetività razionale, punteggiata di interrogativi, è attrata artisticamente da forme documentarische di drammaturgia, ma anche verso quelle più innovative.
Probabilmente, come spiega in seguito, non avremmo visto a Montréal lo stesso spettacolo (Granma trombones de l'Havane), se avesse prevalso il suo punto di vista di drammaturga. Yohayna Hérnandez avrebbe privilegiato infatti una dimensione più frammentaria e atemporale della scrittura scenica.
Sortir de soi, scritto a più riprese sulle pareti di vari luoghi deputati del FTA a Montréal, sembra un augurio che Yohayana Hérnandez pare fare a se stessa e alla realtà in cui è vissuta finora. Conserva nella mente, e si direbbe in tutta la sua persona, come bagaglio simbolico indistruttibile, l'emozione, il pensiero sensoriale, quasi tattile e il grido dell'inesprimibile che costituiscono per lei una cifra quasi magica e unica, sicuramente poetica, della cultura cubana contemporanea.
Il colloquio con l'Autrice parte da Granma trombones de l'Havane che abbiamo visto a Montréal presentato al Festival FTA e in seguito al Festival d'Avignon.

In questo spettacolo si prova a fare il punto sulla rivoluzione cubana atraverso il dialogo tra due diverse generazioni...
Quello che è sul canovaccio segue una possibilità di pensare Cuba, la rivoluzione e la realta del divenire politico, storico e culturale atraverso il rapporto di quattro nipoti con i nonni. Un rapporto di amore, di ammirazione e del bisogno d'impadronirsi di una certa eredità. Questi nonni hanno fatto la rivoluzione... hanno dato vita a un'utopia.

Però sembra di percepire dalla parte dei giovani una certa critica...
Sì, perchè anch'io, che ho la fortuna di averli ancora in vita, ho dei nonni che si dichiarano rivoluzionari e che aggi vivono con molti problemi. Basta constatare ciò che succede: gli abissi fra una classe sociale e l'altra, i problemi che provengono dall'autorità, dal potere. Questi nonni sono assolutamente abbandonati, loro, che hanno impiegato tutta la loro giovinezza per l'avverarsi del loro sogno... Eppure anche se sono in una situazione economica disperata continuano a voler sostenene quest'esperienza.

Quindi nello spettacolo vi interrogate sul persistere di questo ideale, malgrado il riscontro di una riposta piuttosto dura della realta...
Il primo interrogativo è: perchè questi nonni, anche se hanno vissuto socialmente la fatica di questa utopia restano al margine di questo processo storico?

Vedendo lo spettacolo, si pensa a una specie di viaggio verso la giovinezza di questi nonni...
Sì, per trovare qualcosa che possa dire alla nostra gioventù, trasmettere delle domande, quali sono le cose che non funzionano nella rivoluzione e quali sono i valori che questi nonni ci hanno trasmesso e che sono ancora interessanti, da conservare, da proteggere in un contesto di apertura...

Quindi vi ponete in una posizione dubitativa...
Penso che oggi siamo in una situazione pendolare. Il contesto in cui Cuba si inscrive oggi è fatto di mutamenti, di novità che cominciano ad arrivare... Siamo tra due estremi: il diniego di un passato molto significativo d'importanti situazioni sociali, culturali ed educative forti, ma anche con una chiusura politica altrettanto potente...

Un momento di transizione...
Siamo tra il finale del momento di transizione di questo sistema, di questa utopia e le cose che cominciano ad arrivare: il mercato, il capitalismo. Credo che il dialogo con la vecchia generazione sia importante: cosa si fa? Dimentichiamo quello che hanno costruito? Cerchiamo di trasformarlo in una tragitto migliore? Apriamo all'economia? Si drovebbe cercare di conservare il dirito sociale...

Cosa cambiare, cosa conservare ...
Abbiamo visto tutte le contraddizioni e anche se la nostra generazione è stata formata da questa machinerie, le informazioni poi sono arrivate dall'esterno...

Perchè hai scelto il linguaggio teatrale come mezzo di espressione?
Perchè quello che facciamo noi è più vicino alla realtà, un modo di ripensare se stessi e il proprio Paese, facendo passare alcune critiche. Il teatro per me è una possibilità espressiva davvero forte, anche se capita di provare e riprovare tutta una serie di acrobazie, quasi delle contorsioni per trovare un percorso diretto, un percorso metaforico per esprimere le nostre preoccupazioni, le sfide, le angosce. E' molto duro, ma credo che sia un incentivo alla creatività.

Quindi una piattaforma tutta speciale da cui inviare segni...
Sì, perchè il teatro e l'arte in generale fanno scorrere, dipanare altre soggetività, altri imaginari, invitano alla scoperta, all'apertura del modo di pensare, e questo soprattutto a Cuba è vitale. Il teatro può frantumare l'uniformità del pensiero.

Come si è svolta la collaborazione con gli altri performers?
Interessante, ma complessa, perchè i performers cubani, me compresa, siamo tutti molto vicini alla materia trattata che è cosa sensibile, interiore. Mentre l'équipe esterna ha avuto un approccio più intellettuale, più distaccato. Questo dialogo fra due culture così differenti è stato molto utile. Avere un altro occhio, un altro punto di vista sulla propria realta è proficuo. L'équipe tedesca aveva il bisogno di guardare la rivoluzione partendo dal constesto della diversa realtà occidentale. E c'è una grossa differenza di pensare la rivoluzione cubana: tutta la complessita del dialogo è stata questa, quindi anche con la presenza di frizioni...

Per esempio?
Per esempio la cronologia degli eventi che scandiscono la rivoluzione in Granma trombones con tanto di date, spiattellate in scena ad ogni cambiamento. Questo trattamento ha certamente una sua utilità, ma per me la scrittura scenica che ne è seguita è troppo pedagocica, troppo lunga. Io avevo proposto altre soluzioni; sarei stata per uno sviluppo più frammentario che può andare avanti e indietro nel tempo. Tuttavia ha vinto il partito di una volontà di maggiore leggibilità per il pubblico occidentale. Questo è stato un grande tema di discussione, perchè si è trattato di un'importante scelta dramaturgica e artistica.

Quali forme di teatro ti piacciono?
Le forme interdisciplinari che utilizzano video, musica, tecnologia, come tecniche espressive mi colpiscono e mi ispirano. Però c'è una cosa che mi manca o che manca, non so, in certe rappresenzioni ed è la pulsione, la forza, il grido dei nostri artisti a Cuba. Nel constesto di una possibilita più precaria di espressione lanciano gridi che non esplodono, anche se hanno un bisogno disperato di emergere.

Come hai vissuto l'accoglienza a Montréal?
Dopo molti avanti e indietro tra Cuba e Montréal di natura professionale e ache personale, ho deciso di stabilirmi qui. Seguo corsi di francese e sono in contatto con tutta una rete di sudamericani immigrati. Ho anche partecipato ad alcuni corsi di drammaturgia che il FTA ha organizzato.

Quindi hai potuto conoscere dramaturghi provenienti da altri Paesi?
Sì, avvicinarsi ad altre drammaturgie apre finestre su altri contesti. Il FTA mi ha dato questa magnifica opportunità: un altro sguardo sulla creazione.

A questo punto pensi di scrivere una pièce su questa tua diversa realtà?
Ho ancora alcuni progetti che sono molto radicati a Cuba. Per me venire qui è stato un po' traumatico, come una separazione, un divorzio. Molte cose sone successe allo stesso tempo: lasciare i mei genitori, la mia casa, il mio Paese. Ma questo mi offre la possibilita di pensarmi nella distanza.

Quindi un nuovo punto di partenza per rifletere su te stessa in altri mondi e di elaborare altri progetti.
Sì, credo che scriverò, in futuro, su questa donna dei Caraibi che sono io, che arriva qui. Molto cose stanno succendendo tutte insieme: cambiamento di clima, di regime politico, di cultura, e anche del mio corpo. Vorrei scrivere nuovi testi per parlare di questo passaggio, di questo movimento...

Maria Pia Tolu

Ultima modifica il Sabato, 29 Giugno 2019 08:31
La Redazione

Questo articolo è stato scritto da uno dei collaboratori di Sipario.it. Se hai suggerimenti o commenti scrivi a comunicazione@sipario.it.

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