The Great Gatsby A new musical
dal romanzo di F. Scott Fitzgerald The Great Gatsby
Regia di Mark Bruni, coreografia di Dominique Kelley, libretto di Kait Kerrigan,
musiche di Jason Howland, liriche di Nathan Tysen, scene e proiezioni di Paul Tate dePoo III
Con Jamie Muscato (Jay Gatsby), Frances Mayli McCann (Daisy Buchanan),
Corbin Bleu (Nick Carraway), Amber Davies (Jordan Baker), Joel Montague (George Wilson),
John Owen-Jones ( Meyer Wolfsheim), Jon Robyns (Tom Buchanan) e Rachel Tucker (Myrtle Wilson)
Da Broadway, vincitore della Tony Award, al Coliseum Theatre, Londra 17 aprile - 7 settembre 2025
Ritmo veloce, stringatezza di dialoghi e numeri cantati e ballati senza sovrapposizioni. Scenari mozzafiato con quinte movibili su cinque profondità, che si spostano prospetticamente a pezzi o per intero per creare spazi interni ed esterni. Due auto d’epoca guidate in scena. Effetti luce al loro meglio evocativi del tema centrale del romanzo: per esempio, a scena aperta lo scintillio fluido dello specchio d’acqua che divide Gatsby da Daisy è attraversato dalla luce verde della darsena di lei, il simbolo di Daisy, che Gatsby vuole richiamare al suo potente amore. Coreografia inappuntabile. Costumi scintillanti, anche se non finemente eleganti. Le musiche jazz con influenza pop e le liriche appoggiano e avanzano l’azione, ma salvo alcune eccezioni non risultano memorabili, nonostante il volume del suono. Il dialogo rimane portante. La novità del musical è nell’aver montato diversamente che nel romanzo alcuni dialoghi per evidenziare meglio i personaggi e nell’aver aggiunto frasi per dare profondità ai ruoli delle parti femminili.
Cosa ci si aspetta da un nuovo musical tratto dal romanzo del 1926 di Scott Fitzgerald dopo gli adattamenti visti nei film del 1974, 2000 e 2013, e multiple rese teatrali?
A quasi 100 anni dalla sua edizione The Great Gatsby impersona il sogno americano. Un sogno sfaccettato non solo di aspirazione alla ricchezza, ma soprattutto di appassionato desiderio di far rivivere un grande amore.
Collocato a Long Island, New York, contrappone la ricca e oziosa classe aristocratica del East Egg, ai nuovi ricchi, come Gatsby e impoveriti aristocratici come Nick Carraway del West Egg. L’ambientazione è nella New York dei Ruggenti Anni Venti, subito dopo la prima guerra mondiale, periodo caratterizzato non solo da prosperità, ottimismo e eccitazione, ritratti nelle feste sontuose e impersonali date nella dimora di Gatsby, ma anche, come Fitzgerald dipinge, da povertà, nei personaggi di George e Myrtle Wilson che vivono nella industriale Vallata delle Ceneri, e da criminalità in cui Gatsby è coinvolto col personaggio del gangster Meyer Wolfsheim.
La narrazione di Fitzgerald è trasversale, obliqua, attraverso il punto di vista del narratore in scena Nick Carraway che si presenta col dettame del proprio padre di guardare gli avvenimenti con distacco morale. Lo sguardo in diagonale dà al romanzo un’aurea indefinita di non conosciuto o di non detto sui personaggi che costituisce la tensione drammatica e che instaura quella nebulosa atmosfera per il disperato bi-sogno d’amore di Gatsby. La scrittura è sintetica, le parole pesanti di significato non trito, poetiche e risonanti. Gli avvenimenti si susseguono in stretta economia con variazioni di atmosfera e ambientazione fino alla tragedia finale.
I personaggi maschili sono ben caratterizzati, mentre i personaggi femminili non lo sono altrettanto. Le poche ed evanescenti parole del grande amore di Gatsby, Daisy Buchanan, e della sua amica Jordan Baker hanno presentato e presentano problemi di rappresentazione. Sia Mia Farrow che Carey Mulligan nei rispettivi film del 1974, diretto da Jack Clayton, e del 2013, per la regia di Baz Luhrmann, mancano, è stato detto, della presenza e carisma necessari a Dais
Meglio delineato è il personaggio di Myrtle Wilson nella sua contrapposizione con Tom Buchanan, suo amante e marito di Daisy. La voglia di vita e di cambiamento espressi dall’interpretazione di Karen Black nel film del 1974, va ben al di là della scrittura drammatica.
Corbin Bleu and the original West End cast of The Great Gatsby. Foto Johan Persson
The Great Gatsby Il nuovo musical, aggiunge e riadatta le battute dei personaggi femminili. Si parla di una modernizzazione tendente al femminismo come è stato detto?
Se lo è, è stato fatto con discrezione e attenzione a non compromettere l’essenza del loro ruolo.
E in effetti il nuovo libretto di Kait Kerrigan sottolinea le implicazioni già presenti nella scrittura originale. Per esempio nel romanzo si intuisce che Daisy sappia del tradimento del marito. Nel musical lo riconosce apertamente con Jordan che la incita a fare altrettanto.
In Fitzgerald il legame tra Nick e Jordan è solo un’infatuazione a cui entrambi non danno importanza. Nel nuovo libretto diventa una relazione con tanto di proposta di matrimonio e consumazione. Un trattamento a prima vista eccessivo, ma che serve a controbilanciare per gli sprazzi d’ironia e di comicità che contiene l’amore eccessivamente romantico della coppia principale. Mentre la rottura del loro rapporto alla fine, serve a Jordan per ripetere quello che Tom aveva già detto a Daisy, e cioè che la classe aristocratica non sposerà mai qualcuno appartenente alla classe dei nuovi ricchi. Considerazione ripetitiva e ridondante a questo punto. Daisy rimane la figura attaccata alla propria classe, incapace di ritornare alla passione del passato, ma capace di amare sia il marito violento “il bruto” - da lei ripetuto una volta di più rispetto all’originale - che Gatsby, l’amore del passato. La librettista Kait Kerrigan le dà anche la battuta finale mossa dal centro del romanzo a conclusione del musical. Riferendosi alla nascita della sua bambina, Daisy ripete l’augurio che la cosa migliore per una donna sia di avere bellezza e stupidità. Logicamente qui con valore ironico grottesco.
Jamie Muscato in The Great Gatsby West End. Foto Johan Persson
Anche il ruolo di Myrtle, l’amante di Tom Buchanan, è stato riadattato, diciamo in modo inverosimile, forse per dare più sostanza alla miseria dell’America dei poveri. Myrtle non scappa dal marito per andare incontro all’amante, ma incinta vuole trarre dal bambino dell’uomo ricco, un modo per sostenere se stessa e il marito, per lasciare la Valle delle Ceneri. Una spiegazione che richiederebbe più di una battuta per sembrare verosimile e che qui viene data in un soffio, prima dell’incidente che le toglierà la vita.
I ruoli maschili sono più corposi. Si è già visto che Nick, solo narratore in Fitzgerald, diventa anche agente nel languido innamoramento con Jordan. Gatsby rimane nel suo ruolo di appassionato sognatore, mentre la sua connessione con la criminalità rimane in secondo piano, come nel romanzo. Il suo momento di mimesi è nel ballo nella serata in costume militale, dove danza, canto e movimento costruiscono un personaggio. Tom Buchanan è il personaggio più approfondito nel romanzo. E nel musical rimane tale, ma senza la violenza, il machismo e la superiorità del ricco così bene ritratta da Joel Edgerton nel film del 2013. George Wilson, il marito di Myrtle, l’attore Joel Montegue, è umano e credibile nel suo rivolgersi all’immagine del optometrista Dr T. J. Eckleburg dai grandi occhiali, quasi si rivolgesse a Dio. Difatti la frase “ Mio Dio, mio Dio” che ripete all’uccisione della moglie, ben si concatena all’effetto simbolico del cartellone pubblicitario. La migliore interpretazione per qualità vocale, coreografia e costumi è nel numero “Tutti abbiamo le nostre zone d’ombra” del gangster Wolfsheim, dove i lunghi cappotti fluenti e aperti neri, e i cappelli a tesa neri ruotando ben costruiscono le zone di luce e ombra delle liriche. Oltre alla voce poderosa di John Owen-Jones (Wolfsheim), notevoli per interpretazione e resa delle liriche sono Corbin Bleu (Nick), Amber Davies (Jordan Baker), e Rachel Tucker (Myrtle) dalla splendida voce.
Il secondo atto è superiore al primo e la stretta sintesi, dal ballo, all’hotel Plaza di New York, all’incidente, all’omicidio e al suicidio che vi viene fatta, funziona perfettamente anche perché elimina ulteriormente i tempi superflui tra le scene. L’omicidio con la caduta di Gatsby nella piscina che riempie a metà la buca dell’orchestra e suicidio di George Wilson sono trattati celermente e gli spari si susseguono nella semioscurità. Del finale con la conclusione di Daisy si è già detto.
Per finire non si può che apprezzare il lavoro di riscrittura e montaggio del nuovo musical, perché è innovativo e al tempo stesso rispettoso dei temi e del senso del romanzo di Fitzgerald. Ci sono delle cadute, ma nel complesso il lavoro funziona. Protagoniste assolute sono le scenografie: grandi, evocative, semplici ma allo stesso tempo maestose, mi riferisco qui all’ambientazione della dimora di Gatsby. È come un castello incantato - belle le enormi lampade tipo orientale. Il produttore è il sud coreano Chunsoo Shin - in cui infiniti cancelli e divisioni a poco a poco fanno largo per scoprire altri ambienti, sempre suggeriti e mai del tutto espressi. La coreografia con l’ensemble dei ballerini-cantanti non si dilunga, e passa velocemente dall’ambientazione di una ad un’altra scena. Quella che poteva essere una cattiva scelta per un musical, cioè di risolvere la storia del Great Gatsby in scintillanti, ma privi di significato numeri da avanspettacolo, non è stata fatta. Invece le famose feste di Gatsby si concentrano in un esempio di raffinato stile di tali serate con scala luminosa e soubrette-cantante e esplosione di alcuni fuochi d’artificio, a cui segue un eccellente duo di tap dance. Bella la coreografia dell’ensemble in silhouette, in controluce.
The Great Gatsby è al Coliseum, il teatro fino ad un anno fa sede della English National Opera (ENO), ora trasferita a Manchester. È uno dei più bei teatri di Londra per l’architettura e gli stucchi all’interno del teatro, per l’acustica e la grande bocca del palcoscenico. E questo logicamente è tutto a sostegno del nuovo musical, fortunato ad essere in questa cornice. Uno spettacolo da vedere nonostante i prezzi alle stelle.
Beatrice Tavecchio