martedì, 16 aprile, 2024
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A LITTLE LIFE (Una vita come tante). Ivo Van Hove mette in scena una odierna umana tragedia. -di Beatrice Tavecchio

Luke Thompson (Willem), James Norton (Jude) in "A little life", regia Ivo Van Hove. Foto Jan Versweyveld Luke Thompson (Willem), James Norton (Jude) in "A little life", regia Ivo Van Hove. Foto Jan Versweyveld

A Little Life (Una vita come tante)
Dal romanzo di Hanya Yanagihara
adattato da Koen Tachelet, Ivo Van Hove e Hanya Yanagihara
Regia di Ivo Van Hove
Scena, luci e video di Jan Versweyveld
Con James Norton (Jude), Luke Thompson (Willem), Omari Douglas (JB), Elliot Cowan (Padre Luke, Dott. Traylor, Caleb), Nathalie Armin (Ana).
Londra, all’Harold Pinter Theatre fino al 18 giugno
Poi al Savoy Theatre dal 4 luglio al 5 agosto 2023
di Beatrice Tavecchio

Ivo Van Hove mette in scena una odierna umana tragedia.

Ivo Van Hove, regista di fama internazionale, pluripremiato direttore generale dell’ International Theatre di Amsterdam (l’ex Toneelgroep Amsterdam), ha lavorato sulla tragedia per decenni. The Roman Tragedies in cui riunì le tragedie shakespeariane del Coriolano, Giulio Cesare e Antonio e Cleopatra in uno spettacolo di sei ore col Toneelgroep Amsterdam nel 2007, visto al Barbican Theatre di Londra due anni più tardi, e  Age of Rage che combina tragedie greche tratte da Euripide ed Eschilo, prodotto dall’ Internationaal Theater Amsterdam e visto a Londra nel 2022, sono spettacoli che hanno fatto storia per le innovazioni che hanno immesso nel linguaggio teatrale modi cinematografici di espressione, un uso espressionistico e cinetico della scena, una riforma dello spazio canonico -palco e platea- in cui attori e spettatori erano segregati.
I suoi spettacoli suscitano applausi e discussioni, ma sempre indubbio è il talento di questo regista.
Con A Little Life Ivo Van Hove ci dà una tragedia sul tema della pedofilia, della prostituzione dei minori, della molestia e violenza sessuale, unite al riconoscimento e alla consapevolezza che le ferite che ne derivano, fisiche e psicologiche, sono incurabili.
A differenza delle Tragedie precedenti, il tema qui è unico, brutale, doloroso, straziante nella sua ripetizione che sembra infinita. Se la tragedia è caratterizzata da un insieme di pena e sofferenza sulla scena che si risolve in compassione e pietà da parte dello spettatore, questo spettacolo ne esprime tutte le proprietà.
La vicenda tratta dal romanzo del 2015 di Hanya Yanagihara, mette in scena Jude St.Francis, avvocato affermato ed i suoi amici Willem, attore, JB, artista, e Malcom, architetto in un appartamento a New York. Jude, fisicamente debole, si infligge regolarmente delle ferite con lame di rasoio e bruciature “perché questo è l’unico modo per sentirsi padrone del proprio corpo”, e nonostante l’affetto degli amici e del suo ex-professore di legge che lo adotta, non riesce a dimenticare la catena di soprusi che ha avuto, a cominciare da quelli perpetrati dai Padri dell’orfanotrofio, Padre Luca tra gli altri, che abusa della sua innocenza e che lo inizia alla prostituzione, in cui subisce violazioni fino ad essere torturato e volutamente investito da un sadico dottore. Il passato impatta sulla sua relazione con Willem, per il suo timore di essere come sempre tradito e per l’incapacità di piacere sessuale che derivano dalla sua esperienza passata. Finalmente felice con Willem, si lascerà morire, quando Willem muore in un incidente d’auto.
Nelle parole di Ivo Van Hove “A Little Life è l’infinito, contorto viaggio attraverso le orribili conseguenze di un abuso sessuale violento, strutturale, di un minore [...] completamente focalizzato sulla vita emotiva dei personaggi [...] parole, sentimenti, abuso sessuale, mutilazione volontaria ed eroici tentativi per avere amore ed amicizia”.
Ed è proprio l’alternanza dei due motivi, di sofferenza e di compassione, di pietas, a tenere unito il lavoro, che è uno splendido, delicato, compassionevole studio di questo orrore. Quello che avrebbe potuto essere un truculento dispiego del tema, rimane nella memoria come un’esplorazione delicata, caritatevole della situazione in cui Jude si trova. È anche un’esplorazione dell’amore di una coppia omosessuale, che dipinge il legame dettato dall’affetto, dalla preoccupazione per l’altro. Ed è tutto grazie all’interpretazione delicata, travagliata, intensa, ed allo stesso tempo fragile di James Norton. La pena psichica si traduce fin dall’inizio nella difficoltà fisica di camminare, il suo corpo si contrae e incespica visualizzando la sofferenza. Le mutilazioni che ripetutamente si infligge per trovare sollievo avvengono al centro del palcoscenico. Jude si appoggia ad un lavabo bianco posto su un tappeto rosso: svolge la lunga benda bianca che gli copre il braccio e incide la pelle con la lama. Si perde il conto di quante volte la scena è ripetuta, ma ogni volta lo svolgere della benda provoca una stretta allo stomaco. Jude finisce infinite volte sul lettino del medico che lo cura, trasportato, a volte nudo, cadaverico, dai suoi amici come una croce obliqua. Scene col suo corpo martirizzato sono quasi impossibili da guardare, ma sono quelle che inducono un dominante sentimento di pietà, di compassione. Il canto a cappella di Jude, per due volte, contribuisce a dare serenità e respiro alla tragedia. La musica dal vivo di due violini, una viola ed un violoncello accompagnano l’azione, sottolineandola con suoni dolcemente striduli o con più ariose note, dando significato a quanto rappresentato. L’unico personaggio femminile, quello di  Ana, l’assistente sociale che appare come un fantasma, dato che è morta, ad aiutare Jude coi suoi consigli è, con i suoi amici, la nota positiva che interviene a dare sollievo allo spettacolo.

Zubin Varla Harold James Norton Jude Elliot Cowan Brother Luke Nathalie Armin Ana. Pic by Jan Versweyveld
Zubin Varla (Harold) James Norton (Jude) Elliot Cowan( Brother Luke) Nathalie Armin (Ana). Foto Jan Versweyveld

Strutturalmente la vicenda è chiara: si va dal tempo presente al passato e poi al tempo dopo il presente, ma a volte luoghi e tempi si sovrappongono, tenuti insieme però dai personaggi.  Per esempio, Jude siede con un personaggio del passato alla sua destra ed uno del presente, il padre adottivo, alla sua sinistra.
La scena di Jan Versweyveld, l’abituale grande scenografo di Van Hove, è semplicissima, con un bancone da cucina a sinistra, -profumo di cibo che il padre adottivo cuoce-, un divano a cubi sul fondo e il lavabo che nessun elemento della scenografia minimizza, al centro. Sulla parete sopra la cucina, un video con diverse vedute di tranquille vie newyorkesi che diventano pixels o cambiano colore a sottolineare il dolore di Jude.
La scena è simbolica: il rosso del tappeto e il bianco del lavabo fanno eco al corpo bianco del martire coperto dal rosso del suo sangue. Il padre adottivo pulisce diligentemente con secchio e carta il pavimento insanguinato, mentre ci racconta la storia del figlioletto morto prematuramente. L’auto che investe Jude è un faro che lo insegue mentre lui corre disperatamente intorno al lavabo.
Jude veste per la durata dello spettacolo la stessa camicia bianca e pantaloni chiari, che man mano diventano sempre più insanguinati, a ricordo perpetuo degli oltraggi subiti.
Una tragedia quindi contemporaneamente personale ed universale, di tutti i tempi, che allarga il dibattito di Angels in America del drammaturgo americano Tony Kushner del 1993 e come quella rappresentazione marcherà un contributo importante del teatro alla vita della società. L’interpretazione di tutti gli attori è ottima; straordinaria quella di James Norton.
Ottocento spettatori, la maggior parte giovani adulti, sono rimasti a guardarsi sconvolti dopo il primo tempo e uniti in una acclamazione alla fine, dopo tre ore e quaranta di spettacolo.

Ultima modifica il Venerdì, 28 Aprile 2023 17:13

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