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Commedia dell’Arte su Tragica Farsa - Marcello Magni e Kathryn Hunter due grandi del teatro. -di Beatrice Tavecchio

"The Chairs" at the Almeida. Marcello Magni and Kathryn Hunter. Foto Helen Murray "The Chairs" at the Almeida. Marcello Magni and Kathryn Hunter. Foto Helen Murray

Commedia dell’Arte su Tragica Farsa
Marcello Magni e Kathryn Hunter due grandi del teatro
di Beatrice Tavecchio

The Chairs (Le Sedie)
di Eugène Ionesco.
Traduzione e regia di Omar Elerian.
Con Kathryn Hunter (la Vecchia), Marcello Magni (il Vecchio), e Toby Sedgwick (Oratore).
Almeida Theatre, Londra, 5 febbraio-5 marzo 2022

Dal momento che le loro voci sono proiettate a sipario chiuso da una radio-cassetta a mezz’aria sul pubblico con un Magni preso dal panico da palcoscenico, a quando Kathryn Hunter e Marcello Magni appaiono sul palco, il pubblico è ipnotizzato.
La loro presenza scenica è formidabile. Magni in pantalone gessato, camicia e gilet con cravatta a fiocco stile ottocento è il Vecchio, un pò romantico, un pò filosofo, semi- intellettuale che vuol dare il suo messaggio al mondo, ma non può e deve ingaggiare un
Oratore per farlo. Kathryn Hunter, la Vecchia, con parrucca birichina rossa a riccioli, vestita da bambina delle elementari di una volta, colletto bianco e vestito nero -l’inverso di Pulcinella-, sotto il quale si celano sottovesti di pizzo e calze rosse, dominano il testo e la scena. Questa ha quinte di stoffa in colori alternati di arancio e verde, tenute separate per costruire aperture da dove le famose sedie saranno portate in scena. Il palco è rettangolare con un revolve -rumoroso- che girerà ad aumentare il panico creato dall’incontrollato affluire degli ospiti, cioè delle Sedie.
Le quinte alludono ad un Teatro all’Improvviso e dall’inizio lo stile della recitazione si rifà ai lazzi, alle mimiche, ai qui-pro-quo, ai giochi di parola della Commedia dell’Arte. Ma non solo. I due Vecchi sono per lo più in continuo movimento e Kathryn Hunter protende verso gli spettatori. Come un clown in un circo esce dal suo spazio scenico, la piattaforma girevole rotonda come nel circo, e si indirizza allo spettatore, lo invita sulla scena - “Come si chiama?”- a mettere apposto due sedie, o quando col microfono indirizzato al pubblico invita prima la platea a dar voce e realizzando il potenziale della scena, lo fa una seconda volta rivolta agli spettatori della galleria. Il connubio attore-spettatore è fatto. L’umore leggero e gaio della Commedia è subito posto coi lazzi che si susseguono a regolari intervalli, prima per indirizzare il tono del lavoro e poi per alleviare le scene tragiche: lazzo della pretesa finestra che il Vecchio apre e che gli resta tra le mani, poi quella del fazzoletto che rimane appiccicato alla scarpa di Marcello Magni, o quelle della pretesa tazza di tè, dove i suoni del cucchiaino sulla tazzina ricreano il rituale. Questa azione è ripetuta sin quando dalle quinte spunta il ‘tecnico del suono’, l’attore Toby Sedgwick, con la vera tazzina, ed esegue col suono gli stessi movimenti mimati degli attori, scoprendo il gioco, che gli spettatori hanno intuito, e che ora svelato -non più divisioni fittizie tra scena e sala- li mette al pari con chi sta allestendo lo spettacolo, e apprezzano sentendosi parte integrata dell’immaginario del teatro.
Lo stesso andamento, di rendere esplicita l’illusione scenica e la ricerca della rispondenza tra attore, significato della scena e spettatore, è ricercato con le varie filastrocche “London Bridge is falling down, falling down...” e le referenze alla Londra che non esiste più, non a Parigi come nel copione, o ai ‘Remainers' e ai ‘Brexetiers’ tra gli invitati a sentire il messaggio del Vecchio. La produzione gioca su questa chiave usando anche le peculiarità del testo. Ionesco introduce un tavolo immaginario, che deve essere rimosso. Sedgwick da dietro le quinte emerge per chiedere del tavolo: “ma quale tavolo?”, da cui parte la gag sul tavolo inesistente; o quando al posto dei ‘Pirenei’ che sono spariti, come nel copione, si dice della Manica che non c’è più, con intendimenti politici e sociali.

La bravura degli attori ha indotto i critici a profetizzare che The Chairs sarà tra i migliori spettacoli dell’anno.
Di Marcello Magni, italiano di Bergamo, co-fondatore di Theatre de Complicité -un teatro che usa il corpo dell’attore per significare- con Simon McBurney, entrambi allievi nei primi anni Ottanta della Scuola di Jacques Lecoq, a Parigi, così come Toby Segwick lo sarà poi.
Di Kathryn Hunter, premiata con l’Olivier Award come migliore attrice nel 1991 per The Visit di Friedrich Durrenmatt, con Complicité. Universalmente acclamata per le sue capacità di dar vita a ruoli sia femminili che maschili, per esempio il Buffone in King Lear, il protagonista in Timon of Athens e Cyrano de Bergerac, e di animare cose inanimate ed anche animali come nella straordinaria resa della lezione scientifica sulla trasformazione da scimmia in uomo nel 2016, tratta da A Report to an Academy di Kafka. Per la Royal Shakespeare Company ha diretto Othello nel 2009, con Marcello Magni, suo marito, direttore del movimento.

Ora, in The Chairs la sinergia tra Magni e la Hunter è palpabile. In Ionesco formano un gioco di coppia, due personaggi abbastanza ben delineati, ma non sufficientemente spiegati nelle loro differenze volutamente immesse da Ionesco con dialoghi in sequenza e in parallelo, contraddittori - hanno veramente avuto un figlio? il Vecchio ha lasciato morire la madre in un fosso o l’ha curata fino all’ultimo momento?- e contraddizioni nella personalità- specie per la Vecchia che diventa da moglie affettuosa quasi madre, che si suiciderà con lui, a lasciva vecchietta in una scena. L’interpretazione della Hunter, riesce a combinare questi fili spezzati. La Vecchia è come una vecchia ragazzina impertinente, che pur sostenendo, assecondando il marito, allo stesso tempo gli fa il verso, lo prende in giro, ripetendo le sue parole, agendo da eco, come da copione, ma con leggerezza ironica in un gioco di intendimenti col pubblico. Le sue voglie sessuali sono così quelle di chi ha vissuto e vuole un pò di piacere e se lo prende, senza tanti timori o rimorsi. Così con leggerezza e un fare birichino rivolto al pubblico che ben apprezza la modernizzazione del ruolo al femminile.
Il gioco di contrappunto tra i due personaggi scorre naturale, liscio come l’olio, senza sbavature, con maestria d’equilibrio nel ritmo e nei passaggi dal tempo comico a quello tragico. Marcello Magni si rivela capace interprete dell’animo umano. La übermarionette che Ionesco voleva creare per questo personaggio è spezzata. Questo Vecchio è universale non perché è una marionetta, ma perché le sue contraddizioni sono di tutti: la sua vulnerabilità, il cuore di pietra sotto la maschera romantica, il desiderio e l’incapacità di lasciare un messaggio ai posteri e poi l’inutile suicidio. Kathryn Hunter gli fa da spalla, pacificandolo e prendendolo teneramente ma ironicamente in giro.

Ma come la “tragica farsa” di Ionesco convive con la Commedia dell’Arte e l’interpretazione?
Benissimo, se non per il finale. Il brio, l’umorismo, la nuova lettura dei personaggi aggiungono e non detraggono ma allargano il respiro dell’opera. Il problema è come ricondurre il comico alla fine tragica del suicidio dei due e alla devastante conclusione della inutilità dell’esistenza impersonata dall’Oratore che muto non potrà trasmettere il messaggio del Vecchio. Si è avvertito un primo calo nella tensione del lavoro sulla mancanza del presagio che l’inarrestabile crescita delle Sedie comporta, giocata qui in modo ossessivo, ma in chiave comica. Il far cadere le quinte, e l’entrata clownesca e il personaggio dell’Imperatore interpretato da Sedgwick come un Ubu Roi, ancora giocato sul comico, non ha aiutato la transizione verso il clima psicologico del suicidio che immediatamente segue. Ma più nocivo è stato interrompere la tensione drammatica a quel punto fondamentale con un intervento di Sedgwick che per più minuti si è rivolto al pubblico con questioni di regia, per poi solo per un fuggitivo attimo dare l’immagine dell’Oratore muto che emette suoni gutturali, senza dare al pubblico il tempo di incamerare visivamente l’immagine. Lo spettacolo tronco finisce in questo modo. Un vero peccato.

Ultima modifica il Domenica, 13 Febbraio 2022 11:57

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