martedì, 16 aprile, 2024
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"CABARET": Musical immersivo e ulteriore modernizzazione. -di Beatrice Tavecchio

"CABARET". Omari Douglas 'Cliff Bradshaw' e Jessie Buckley 'Sally Bowles'. Foto Marc Brenner "CABARET". Omari Douglas 'Cliff Bradshaw' e Jessie Buckley 'Sally Bowles'. Foto Marc Brenner

Cabaret: Musical immersivo e ulteriore modernizzazione.
Musical tratto dal romanzo di Christopher Isherwood Goodbye to Berlin, musiche di John Kander, parole di Fred Ebb e libretto di Joe Masteroff.
Con Eddie Redmayne (Emcee), Jessie Buckley (Sally Bowles), Omari Douglas (Clifford Bradshaw), Liza Sadovy (Fraulein Schneider), Elliot Levey (Herr Schultz), Anne-Jane Casey( Fraulein Kost), Stewart Clarke (Ernst Ludwig).
Regia di Rebecca Frecknall, scenografie e costumi di Tom Scutt.
Playhouse Theatre fino al 1 ottobre 2022.
di Beatrice Tavecchio

Il foyer e l’auditorio del vittoriano Playhouse Theatre sono trasformati nel Kit Kat club della Berlino del 1931. Si entra da una porta laterale, si è condotti accompagnati dal Maestro delle cerimonie Emcee -un Eddie Redmayne (Les Misérables, The Danish Girl, oscar come migliore attore ne The Theory of Everything), curvo, il corpo affilato-, attraverso corridoi che sono stati aperti nel sotto palco tappezzati da pubblicità di marchi di Champagne, con bibite in vendita, musica dovunque, dove ballerine/i, interpreti semi vestiti col trucco sbavato, dai costumi luccicanti e colorati accolgono lo spettatore, prima che esca su un palco a tre livelli ruotante dove i più affluenti spettatori siedono ai tavolini per due con lampada.
Un bagno immersivo nel cuore dello spettacolo, come si era visto per Roman Tragedies di Ivo van Howe (vedi Sipario) al Barbican, alcuni anni fa, ma per la prima volta nel West End in un musical.
Lo spettatore è elettrizzato, coinvolto nell’azione, e ben si identifica con lo spettatore a cui il Maestro delle cerimonie si rivolge, con un invito non più solo dal palco, ma espresso da tutto l’apparato teatrale, architettura e interpreti, a godere dello spettacolo: “Willkommen...Bienvenue...Welcome”.

Tre temi si intrecciano: quello del cabaret luogo del piacere e del suo invito a godersi la vita senza pensare, quello dell’amore che sboccia tra l’aspirante scrittore americano Clifford e la soubrette inglese del cabaret Sally Bowles, che confluiscono nel terzo tema dell’ascesa del nazismo e della persecuzione degli ebrei.

Cabaret aprì originariamente con grande successo a Broadway nel 1966, e tra le varie, due produzioni hanno fatto storia. La prima, quella del film pluripremiato di Bob Fosse del 1972 con Lisa Minelli nel ruolo di Sally Bowles e Joel Grey nel ruolo del cerimoniere Emcee. La seconda nel 1993, alla Donmar Warehouse per la regia di Sam Mendes con Alan Cumming e Jane Horrocks.

Il film di Fosse si era ispirato alle immagini di pittori e caricaturisti espressionisti tedeschi nel dipingere l’epoca, con immagini riconoscibili di Otto Dix, per esempio. Il regista aveva sottolineato il grottesco della caratterizzazione di ballerine/ ballerini e del cerimoniere del cabaret - Joel Grey, un Totò ammiccante e perverso che aveva rivestito lo stesso ruolo nella prima produzione a Broadway-, con la ripresa in diagonale delle immagini, l’uso a volte di un unico riflettore spot sull’interprete, il rilievo dato alle mani o alle dita, mezzi che ben interpretavano il tempo ed il ritmo di una musica reminiscente di quella di Kurt Weill, il compositore e musicista di Bertolt Brecht. Lotte Lenya, la cantante di Kurt Weill e interprete di Brecht, aveva interpretato Fraulein Schneider nel primo Cabaret del 1966. Infatti il grottesco di Cabaret richiama il grottesco di Brecht, per esempio ne L’opera da tre soldi.
Ed è il grottesco che serve da battistrada e conduce alle prime avvisaglie del Terzo Reich, con il “Tomorrow Belongs to Me” (“Il domani mi appartiene”) nel finale, che da puro canto di un giovane, diventa corale preannuncio del Nazismo. La storia d’amore tra i due protagonisti, rimane hollywoodiana, con una gloriosa Lisa Minelli, principalmente gioiosa soubrette.

La versione di Sam Mendes, vent’un anni dopo, acutizza il grottesco, scolpendolo e appoggiandolo drammaticamente sulla incomparabile bravura di Alan Cumming. Il suo Emcee, dal taglio di capelli alla Hitler, al panciotto che gli lascia visibili il tronco e i capezzoli pitturati di rosso, alla bretella che gli delinea il basso corpo, al trucco femminile, che lo fanno androgino, unisce alla sua baldanza in scena, una seduzione aggressiva e senza pudori per il piacere sessuale pesantemente accennato, in qualsiasi forma, anche col gorilla, che diventa un tutt’uno con la bruttezza e l’oscenità del Nazismo. L'intera produzione possiede una carica erotica: Cliff bacia un ballerino del Kit Kat Club e il Maestro delle Cerimonie canta “Two Ladies” con una ballerina e un trans. La bisessualità di Cliff e di Emcee è visibile. I temi della libertà sessuale e della persecuzione convergono nella figura di Alan Cumming/ Emcee, che col l’uniforme rigata dei campi di concentramento, la stella gialla da ebreo e la rosa da omosessuale cucite sul petto, chiude a braccia aperte, come crocifisso, lo spettacolo.
Sally Bowles acquista dimensione. Sam Mendes ne approfondisce il ritratto psicologico, rendendola fragile, incerta e alla fine tragica. I suoi numeri diventano un commento, un’ introspezione sulla sua e sulla vita in generale. La sua seconda resa della canzone “Cabaret”, dopo l’aborto e la partenza di Clifford, è un grido, non metaforico, con cui urla il suo dolore.

La versione di Rebecca Frecknall -la Frecknall e lo sceneggiatore Tom Scutt, a cui si devono il rimodellamento dell’auditorio, le scene, ed anche gli angolari, vividi, semi grotteschi costumi, avevano già collaborato in Summer and Smoke (vedi Sipario)- attinge da entrambe le produzioni sopra accennate ed aggiunge una propria visione. Viene usato il riflettore spot, mani e dita sono enfatizzate nella rappresentazione, ma il grottesco viene ancor più marcato dalla coreografia di Julia Cheng con posizioni angolari e discordanti delle gambe e dei corpi delle ballerine/i del club, così che quello che era una ripresa obliqua nel film di Fosse, diventa qui una coreografia obliqua, frastagliata, spezzettata, in pieno accordo con la musica.
I personaggi mantengono le loro caratteristiche storiche, con delle novità. L’Emcee di Redmayne è uno spirito contorto, accattivante e insidioso, che alla fine sembra essere la personificazione del male. Il suo corpo muscoloso e debole allo stesso tempo sembra affetto da distrofia muscolare, metafora fisica della disgregazione della Germania nel nazismo. Rappresentazione magistrale, ma a volte forzata.
Jessie Buckley in Sally è la star dello spettacolo. Acclamata come la migliore interprete dell’anno, Cabaret segna un successo importante nella sua carriera. Il personaggio acuisce le caratteristiche dategli da Sam Mendes, e le unisce a quella vitalità che Lisa Minelli aveva dato al personaggio.
Sally parla con l’accento snob dei quartieri ‘bene’ di Londra, è enigmatica, totalmente ignara del rischio del nazismo. Non è un’ingenua chanteuse, ma una vera soubrette, magnetica, dalla voce ruvida e potente che nella ripresa finale della canzone “Cabaret”, evolve nella rotta anima dagli occhi spenti, senza trucco, a piedi nudi, in un chemisier bianco, sconfitta, che disperatamente ringhia: “Venite al cabaret, amici miei”.
L’altra storia che sostiene il musical e lo porta alla sua conclusione con l’affermazione del Nazismo, e la persecuzione degli Ebrei, è l’amore tra l’affittacamere tedesca Fraulein Schneider (Liza Sadovy) e il fruttivendolo ebreo Herr Schultz (Elliot Levey). E’ rappresentata con delicatezza e simpatia, i loro duetti: “Married” e solo: “So What”, “What Would You Do?”, squisitamente resi, nella storia di Lei che per paura di rappresaglie contro gli ebrei rinuncia al matrimonio.
Il finale che marca l’ ascesa già in corso del nazismo vede i personaggi vestiti con abiti dello stesso taglio, dello stesso indefinito colore, che si muovono all’unisono a sottolineare il livellamento di tutti e la sottomissione di ogni individualità, quella singolarità che all’inizio nel Cabaret definiva i personaggi compresa la loro diversa sessualità. Il richiamo alla lotta per gli stessi diritti dei LGBTQ+ è evidente.

Cabaret è lo spettacolo da vedere, covid/omicron permettendo. Peccato che i prezzi siano alle stelle e che sia quasi impossibile trovare biglietti prima della fine di marzo, quando ci saranno nuovi protagonisti.

Ultima modifica il Giovedì, 13 Gennaio 2022 13:04

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