Network (La rete)
dal film di Paddy Chayefsky, versione teatrale di Lee Hall
Regia di Ivo van Hove. Scenografia e luci di Jan Versweyveld
Con Bryan Cranston (Howard Beale), Michelle Dockery (Diana Christensen),
Douglas Henshall (Max Schumacher)
National Theatre, Lyttelton, 13 novembre 2017- marzo 2018
Ciò che il pubblico vuole. Un profeta orwelliano denuncia le ipocrisie del nostro tempo.
Il film satirico scritto da Paddy Chayefsky e diretto da Sidney Lumet nel 1976 vinse quattro premi Academy Awards, uno dei quali per l'originalità del copione. La versione teatrale di Lee Hall, come lui stesso afferma, non ne altera la parola, ma aggiunge qua e là aggiornamenti -come il riferimento all'eccidio del Bataclan- che attualizzano il materiale senza contraffarlo, e tagli che riducono l'importanza della trama secondaria - il ruolo dei terroristi e le pene del divorzio- dando maggiore rilevanza alla trama principale. La rete televisiva americana UBS sta per licenziare il presentatore del telegiornale Howard Beale, per scarsità di ascolti. Quando Beale annuncia che si suiciderà in diretta, le presenze aumentano in modo esponenziale, cosicché la programmatrice Diana Christensen, spasmodicamente attenta al guadagno della rete fino ad arrivare a trattare con terroristi per far crescere l'indice di ascolto, decide di dedicargli un programma che gli dia modo di esternare la sua rabbia e quella del pubblico. Il gioco dura poco perché Beale sprona alla disubbidienza civile, invitando gli spettatori al grido di "sono pazzo fino all'osso e non lo sopporterò più" a ribellarsi alle fandonie propinate sia dalla Religione che dall'Uomo, e spiega in diretta il meccanismo dell'informazione legato alla pubblicità ed agli incassi, la futilità e la disumanizzazione dell'individuo, la morte della democrazia. Varie teste in UBS cadono, ma Beale continua imperterrito, mentre la rete viene comprata dalla più grande CCA, e poi entrambe dagli Arabi. Il sistema capitalistico, con le corporazioni ed il potere del danaro, è così esternato, e chiarito che ciò che importa "è che l'intero sistema capitalistico funzioni organicamente". Alla fine un terrorista, su commissione della rete, fredda Beale.
I biglietti per lo spettacolo sono già esauriti fino a marzo sia per la bravura di Bryan Cranston, celebrità televisiva in USA, che per l'attualità e rilevanza del contenuto sulla globalizzazione del sistema capitalistico e relativa mercificazione di tutto. In U.K. è più che mai palpabile dopo l'incertezza creata dal crollo bancario del 2008 quella creata dalla Brexit non soltanto in campo economico finanziario, ma anche sociale per una diminuzione di fiducia nella classe politica. Quindi battute come: "un profeta arrabbiato che denuncia le ipocrisie del nostro tempo" e "il telegiornale che è diventato spettacolo" perfettamente incarnano le preoccupazioni di molti.
Un materiale quindi incandescente a cui Ivo van Hove lascia spazio e dà respiro, nonostante e non a scapito dell'incredibile, come sempre, scenografia di Jan Versweyveld. Il grande palcoscenico del Lyttelton, che incute timore agli scenografi per la sua vastità, è riempito a destra da vari tavolini e cucina a vista di un ristorante a cui siedono alcuni spettatori, nel centro appare lo studio televisivo del notiziario, e a sinistra, con pareti di vetro, l'ufficio della produzione, mentre sul retro, a vista, sono posti i camerini del trucco. Telecamere e microfoni sono dovunque; una cacofonia di suoni e comandi si sovrappongono. Grandi schermi sul fondo del palco ingigantiscono le immagini dei personaggi in scena che sono ripresi dalle telecamere, fisse e manuali, sul palcoscenico. Il vivace mondo del showbiz televisivo si manifesta in un brulicare di movimenti in tutte le direzioni e in un'abbondanza di attori che invadono questo universo tutto luci e riflessi di attrezzature di metallo; in metallo è anche la parte centrale del pavimento del palco che così riflette, insieme agli schermi l'azione. Per cui lo spettatore si trova a rimirare il tutto come fosse una bolla d'acqua trasparente, luminosa, affascinante.
Contenuto e forma in sintonia quindi, al massimo grado della loro potenza. Un protagonista magistrale Bryan Cranston, senza dubbio erede del Sistema Stanislavsky. Capace di mantenere un'espressione di umana disperazione per minuti sulla scena, nel silenzio totale, ingigantita e spietatamente svelata dagli schermi. Un grande attore, un regista di talento ed uno sceneggiatore eccezionale.
Ed il pubblico? Se il pubblico risponde, come ha risposto, in un lussuoso teatro nazionale che mantiene una maggioranza di spettatori 'conservatori', cantando a squarciagola col protagonista a più riprese: " Sono pazzo ecc.", applaudendo al segnale convenuto dal palco, e a fine spettacolo inneggiando alle battute di Obama e fischiando quelle di Trump, significa che il pubblico sta cambiando. E che vuole, desidera essere coinvolto nello spettacolo. Sollecitazione e risposta che regista e sceneggiatore intendevano provocare.
Beatrice Tavecchio