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Venerdì, 21 Marzo 2014
Pubblicato in Interviste

Una fisicità nervosa, in cui la forte radice classica sa esprimersi e rinnovarsi in una scrittura coreografica tesa, graffiante, mai scontata e in grado di dialogare con lo spazio, farsi segno corporeo al tempo stesso materico e leggero. Questa la sensazione registrata assistendo alla serata Musica Divina che – nell'ambito della stagione La Danza del Ponchielli di Cremona – ha offerto due coreografia a loro modo complementari: InMozart si musiche di Michael Nymann e Ciakovskij Suites: Il lago dei cigni e La bella addormentata. Matteo Levaggi è coreografo colto e attento e considera ogni creazione un punto di partenza più che d'arrivo, un'esigenza espressiva condivisa con i ballerini e pensata e realizzata con la collaborazione dei loro corpi e del loro spirito. In un certo qual modo la scrittura coreografica come quella drammaturgica e senza dubbio più di quella drammaturgica è destinata a compiersi e a rinnovarsi in base a chi la incarna, ogni sera rinnovata eppure fedele a se stessa.

«InMozart è una coreografia nata nel 2005 per il Balletto dell'Arena di Verona, su musiche eseguite dal vivo di Michael Nyman – spiega Matteo Levaggi, coreografo in forza al Balletto del Teatro di Torino e una delle personalità di spiccio del mondo della danza italiano -. Mi è piaciuto riprenderla con i ballerini del BTT e legarla a Ciaikovskij Suites. In entrambi i pezzi è la musica a fare da filo conduttore, è lo sfondo, la materia su cui e con cui si plasma il movimento, meglio che scatena il movimento».

Anche se in Ciaikovskij Suites c'è nel sottotitolo il riferimento a Il lago dei cigni e La bella addormentata?
«Un riferimento appunto che non significa la volontà di raccontare la storia. A tal punto che ho preso le suites dei due balletti, lavorando sulla danza, sul piacere del ballare sulla musica. Credo che quello che voglio far passare con MusicaDivina sia ben espresso da quanto ha scritto Georges Balanchine riferendosi alla fruizione della danza: ci sono quelli che godono d'un balletto senz'alcuna pretesa di filosofia. E lo fanno perché hanno capito che il balletto è un intrattenimento, e non rimangono attoniti e intimiditi di fronte ai sapientoni che, al contrario, vanno in giro dicendo che è cosa iniziatica, dai reconditi e profondi significati».

In questo senso il suo segno coreografico è astratto, a tratti è plastico, quasi una installazione artistica, come si è potuto vedere nella trilogia di Primo Toccare, oppure in Le vergini...
«La collaborazione con Corpi crudi e più in generale l'esigenza di intersecare i linguaggi e le estetiche sono credo una caratteristica del mio modo di fare danza che si nutre di una forte base classica ma si abbevera anche dai grandi della contemporaneità da Merce Cunningham e Carole Armitage. Non mi piace essere limitato da definizioni e categorie, anche per questo mi interessano i rapporti, le relazioni che si possono creare fra le diverse discipline artistiche. Il lavoro con Corpi Crudi e la collaborazione che continua si pongono in questa direzione di intrecciare le sensibilità, mettere in dialogo i diversi linguaggi per raccontare la nostra contemporaneità che non si può esprimere se non attraverso il connubio delle più diverse esperienze e modalità estetiche».

In questa direzione va la coproduzione con il centro coreografico nazionale di Nantes per Antigone?
«Anche per Antigone i rapporti fra musica, danza e arte contemporanea sono strettissimi, il progetto si articolerà in tre momenti come è accaduto per Primo Toccare. La musica della prima parte della mia Antigone è affidata a Carlo Boccadoro, mentre la creazione del set e dei costumi è a firma di Davide Balliano, collaboratore di Marina Abramovic».

Cosa l'ha spinta ad affrontare il personaggio di Antigone?
«L'idea per ora è partire dalla fine, da quando Antigone è morta nella grotta. L'idea è quella di sviluppare una sorta di riflessione sul potere e su cosa sta oltre il potere. La 'ribellione al potere' prende forma danzata attraverso il Progetto Antigone in cui il mito rivive attraverso il segno contemporaneo degli artisti coinvolti: l'arte visionaria di Davide Balliano, il tocco graffiante dell'ensemble musicale milanese Sentieri Selvaggi e, naturalmente il mio segno coreografico con cui esploro il corpo da un punto di vista carnale. Una delle suggestioni di cui mi sono nutrito per questa mia Antigone è il film di Liliana Cavani, I cannibali. La riflessione sul potere e sulle sue ingerenze passa dal corpo e dal suo controllo, se non dalla sua vessazione».

Questo detto da un coreografo fa un po' specie.
«Perché? E' dal corpo, dalla fisicità dei miei ballerini che mi pare naturale partire per l'elaborazione della mia coreografia. E' quanto i loro corpi mi suggeriscono che conta, è la capacità di far esprimere loro il movimento che hanno dentro che mi interessa. Anche per questo la scelta dei miei ballerini non segue un predefinito canone estetico o fisico, mi interessa lo spessore, il peso specifico del loro essere corpo e anima che sanno vibrare e ballare nello spazio».

Cosa vuol dire per un coreografo poter lavorare con un gruppo stabile di ballerini?
«Può essere un vantaggio come una prigione».

In che senso?
«Ovviamente trovando sintonia con i ballerini di compagnia il lavoro si fa più fluido. Se ci si consoce e si opera da tanto insieme, basta un cenno, basta un accenno perché i ballerini riescano a intuire o a fare quello che tu vuoi da loro».

Perché parla anche di 'prigione'?
«La madre di Matz Ek diceva al figlio di cambiare spesso i ballerini. In questo modo lo sguardo e la creatività coreografica si rinnovavano, venivano messe in discussione ogni volta. Si tratta forse di trovare la giusta misura fra le due possibilità. Comunque sia credo anche io sia molto interessante poter lavorare sempre e comunque con nuovi ballerini, questo ti permette di fare nuovi incontri, di mettere alla prova la tua creatività coreografica con altri corpi, altre sensibilità».

Giovedì, 03 Febbraio 2011
Pubblicato in Ballerini S - T
Giovedì, 03 Febbraio 2011
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