In forte ripresa dopo l'infortunio avvenuto in scena il 29 giugno durante un gala di fine stagione a Vienna, che lo ha tenuto fermo per alcuni mesi, Davide Dato è più che mai carico di energia, di voglia di tornare a ballare. E pieno di progetti. Solare, positivo, umile, con una grande carica umana e comunicativa che lo rende una persona affabile, il ventiseienne danzatore biellese, classe 1990, è uno dei nomi che da qualche anno si è imposto sulla scena internazionale. Personalità carismatica, dotato di grande tecnica, versatilità e presenza scenica, talento innato dalla musicalità insita, da maggio 2016 è primo ballerino al Wiener Staatsballett, carica conferitagli dopo una rappresentazione del Don Chisciotte, versione coreografica di Rudolf Nureyev. Nella scuola della prestigiosa istituzione austriaca, ha iniziato la sua vera formazione - dopo una breve esperienza alla School American Ballet di New York -, e dal 2008 è entrato stabilmente nella Compagnia.
Si comincia sempre col rievocare gli inizi, di come nasce la passione per la danza. Parliamo dei dettagli.
Ballavo fin da piccolo insieme a mia sorella Greta. Di recente ho rivisto delle video cassette di allora, e mi sono stupito io stesso nel vedere quello che facevo. Mi improvvisavo anche mago nel teatrino della parrocchia. E mi filmavo immaginandomi in una trasmissione televisiva. Era la musica a farmi muovere. Appena la sentivo cominciavo a ballare. I miei genitori, visto che non stavo mai fermo, mi avevano fatto frequentare, a 7 anni, un corso di teatro per bambini dove sono stato per un anno. Poi ho cominciato con i balli caraibici e l'hip hop, sempre con mia sorella. Facevamo le gare e viaggiavamo molto. In paese eravamo famosi. Ad un certo punto mi ero stancato. Non mi piaceva più. Mi chiedevo quale sarebbe stato il mio futuro. Più avanti, nel frattempo, con mia sorella e un altro ragazzino avevamo creato un gruppo musicale. In estate giravamo sui palcoscenici delle spiagge. Fui notato dalla presentatrice che sollecitò i miei genitori di iscrivermi ad una scuola seria, consigliando il M.A.S. di Milano. I miei, pur non avendo nessuna dimestichezza con lo spettacolo, acconsentirono. Fu un grande passo. La scuola offriva una formazione a 360 gradi: recitazione, canto, diversi stili di danza, e collaborazioni anche con la televisione e il mondo della pubblicità. Tutto questo mi eccitava. È così che ho cominciato, approfondendo di più, in seguito, il balletto classico studiando quotidianamente con il Maestro Ludmill Cakalli. E tentare, poi, le audizioni.
Prima di decidere per l'Opera di Vienna c'è stata un'audizione alla scuola del Rudra di Losanna con Maurice Bejart...
Sì, con lo stesso Bejart che mi disse subito che mi avrebbe preso. Ma al Rudra, che durava due anni, si studiava soltanto il suo repertorio. Inoltre si era di età molto diverse, dai 15 ai 21 anni. Tutto questo mi lasciava perplesso. Io invece volevo costruirmi una forte base classica. Scelsi di provare a Vienna dove, nel frattempo, avevo inviato un video per una audizione. Per un disguido la videocassette non fu visionata perché era andata a finire nel dipartimento sbagliato. Dopo un mese la direttrice di allora mi convocò ugualmente insieme ad altri ragazzi. Superai la prova e così fui ammesso al sesto corso della Scuola con una borsa di studio. Dovevo anche completare gli ultimi tre anni di studi al liceo, e non è stato facile anche per via della lingua tedesca che ho dovuto imparare. Sono stati anni massacranti, di grandi sacrifici. Avevo 15 anni.
E in quel periodo, per via dei momenti difficili, non ti era venuta voglia di mollare?
Mai. In certi momenti difficoltosi avevo voglia di mollare il liceo, ma mai la danza. Non sentivo neanche la mancanza della mia famiglia, che invece, adesso, sento molto. Ai miei genitori sono molto grato per avermi sempre appoggiato e sostenuto, ed è stata una grande soddisfazione aver dimostrato loro che tutto quello che hanno fatto per me, non solo a livello economico, è stato ripagato.
Dopo 2 anni di scuola sei diventato apprendista, poi confermato con un contratto nel Corpo di Ballo, successivamente, dopo un anno e mezzo, nominato demisolista, quindi, solista e infine principal. In tutto sono trascorsi 12 anni. Si può dire che hai bruciato le tappe per arrivare a étoile...
Potrebbe sembrare, ma non mi sento di avere bruciato le tappe. C'è ancora tanta strada da fare, ed io voglio migliorarmi molto artisticamente e tecnicamente. Mi mancano alcuni ruoli del grande repertorio. Con la direzione di Manuel Legris ho ballato tanti pezzi diversi, classici e contemporanei, perché il repertorio all'Opera di Vienna è vario e le produzioni sono molte, anche 13 in una sola stagione.
Quali sono stati fino ad oggi gli incontri più importanti, quelli che ti hanno segnato, formato?
Tutte le persone che hanno segnato il mio percorso, hanno influito nella mia vita facendomi fare ogni volta un passo in avanti e crescere. Ho una particolare gratitudine per Legris, il mio attuale direttore, anche se all'inizio non è stato semplice con lui. Quando arrivò alla direzione del Corpo di Ballo promosse subito 12 danzatori a demisolista, escludendomi. Con lui è stata reintrodotta la posizione di primo ballerino, che era stata cancellata da un precedente direttore. Il solista coincideva allora con il primo ballerino. Non avendomi promosso ci rimasi male. Forse aveva un'idea sbagliata di me per il fatto che l'anno prima mi avevano proposto di partecipare come concorrente alla trasmissione Amici, il programma di Maria De Filippi ed io avevo un po' esitato prima di dire di no. Per questo motivo pensavo quindi di non piacergli, anche se a inizio stagione mi affidava comunque dei ruoli importanti. Morale della favola è che mi ha fatto sudare molto, e quando ha compreso il mio modo di lavorare mi ha premiato fino a diventare solista e primo ballerino.
Quindi l'idea di partecipare ad Amici ti aveva attratto?
Da piccolo la guardavo pensando che un giorno mi sarebbe piaciuto parteciparvi. Poi a 19 anni avevo già un'altro pensiero. La mia indecisione derivava dall'idea di non volermi restringere, ma aprirmi a nuove esperienze artistiche. Sono così in tutto: mi stufo abbastanza velocemente di una cosa, e sono attratto da altre diverse. Mi piace sperimentare e scoprire cose nuove.
Tra le esperienze diverse con le quali ti sei misurato c'è anche la pubblicità e la moda, testimonial per importanti brand, fra cui una nota marca di caffè e di automobile, oltre ad una partecipazione in un corto cinematografico, Insane Love, con Clara Alonso, la Angie della serie Violetta.
Sono tutte proposte arrivate sempre con molta naturalezza, senza mai cercarle. Alcune di più e altre di meno si sono, comunque, rivelate esperienze positive. Mi piacerebbe farne di più. Certamente occorre dosarle, fare delle scelte oculate. Se ce qualità perché no? Credo comunque che queste "intrusioni" di un danzatore in altri campi, oggi, con la globalizzazione generale, sono accettate. Lo vedo anche nei social. Fino a qualche anno si storceva il naso quando i ballerini postavano le foto di sé stessi, autopubblicizzandosi. Oggi è normalissimo, ed io sono diventato uno di questi. Tra le esperienze che reputo importanti, e che mi piace fare, c'è anche il famoso Concerto di Capodanno, che è una delle entità più caratteristiche dell'Opera viennese. Si lavora con le telecamere e non con un pubblico vero e proprio. Spesso durante la Stagione facciamo tanti spettacoli molto più pesanti ma che rimangono comunque circoscritti dentro il teatro. Invece Il il mezzo televisivo ha un potere enorme perché così raggiunge milioni di persone. Il balletto di solito si registra ad agosto, e le immagini vengono trasmesse durante la diretta del Concerto. È un modo intelligente per raggiungere il grande pubblico.
Il successo, la visibilità, alimenta una forte esposizione di sé. Come vivi la notorietà? Che importanza dai a questo aspetto?
La notorietà, ovviamente, è una conseguenza del mestiere e appartiene inevitabilmente a tutti gli artisti. Certamente fa piacere, in certi casi, essere al centro dell'attenzione. È comunque una responsabilità, che porta innanzitutto a dover rispettare la propria immagine e pensare bene a quello che si fa.
Tra i grandi nomi della coreografia, uno di questi è John Neumeier col quale hai avuto modo di lavorare.
Un mito per tutti noi, che conoscevo già ai tempi della scuola di ballo. Ho danzato in parecchi suoi lavori, ma non con la sua compagnia. Per l'Opera di Vienna ha creato appositamente La leggenda di Giuseppe, e poi ho danzato in Nijinskj, Vaslav, Bach Suite III. Sono stato scelto nella parte di Giuseppe e, felicissimo, ho potuto provare il ruolo con lui. L'approccio col suo lavoro è diverso da quello che fa normalmente un ballerino classico. Non è stato facile, e oggi lo affronterei sicuramente in modo diverso. Quel ruolo, comunque, lo sentivo dentro di me, e mi è piaciuto farlo soprattutto nella seconda stagione in cui lo abbiamo ripreso. Ero più sicuro. Tecnicamente è molto pesante e difficile, anche perché per 50 minuti non esci mai di scena. Alcune personaggi dei suoi balletti sono difficili da interpretare perché, credo, legati ai danzatori per cui li ha creati. Con Neumeier c'è molto lavoro mentale, che ti costringe a pensare. E questo arricchisce moltissimo. Nelle sue opere ogni movimento ha un significato forte, e attraverso di esso riesce ad esprimere concetti e pensieri ben precisi. È una persona alla quale ci si deve abbandonare. Devi credere in lui e seguirlo. Se non ci credi non funziona.
Fra i balletti interpretati fino ad oggi ce n'è uno al quale sei particolarmente legato?
Sicuramente il Don Chisciotte di Nureyev, il ruolo più difficile che io abbia ballato; e anche Raymonda sempre di Nureyev, nel personaggio di Abderachmann, ruolo che mi ha portato fortuna in quanto, per questa interpretazione, sono stato nominato per il prestigioso "Prix Benois de la Dance" a Mosca, lo scorso maggio. Le coreografie di Nureyev sono toste, ed è sempre una sfida interpretarle. Però è una grande soddisfazione, un piacere e un orgoglio riuscire a farle. Ci si sente poi così forti che senti di poter ballare qualsiasi cosa. Un altro coreografo che apprezzo molto è John Cranko. Interpretare ruoli come Mercuzio nel suo Romeo e Giulietta, o Lensky nell'Onegin, mi hanno regalato molte emozioni.
E fra le creazioni contemporanee che hai danzato?
Mi piace molto Vertiginous Thrill of Exactitude di William Forsythe col quale ho avuto anche la possibilità di lavorare a Francoforte, grazie sempre a Legris. La considero una vera fortuna l'opportunità che mi è stata data considerando che, spesso, per montare le sue creazioni per una compagnia, sono i suoi collaboratori a farlo. Forsythe è uno che trasmette tanta energia e ti fa sentire bene con te stesso. Succede a volte che, dopo avere trascorso ore e ore in sala a provare dei passi che immagini in un certo modo, bastano poi magari tre minuti con la persona giusta che ti dice alcune cose dandoti un'energia diversa, e tutto cambia di colpo. Con Forsythe è stato così. Ricordo che focalizzava molto il fatto di dover dimostrare al pubblico quello che tu sapevi fare e non quello che non sapevi fare. Questo insegnamento spesso non è così chiaro per un ballerino, perché siamo abituati sin dalla scuola a sentirci dire diversamente.
Cos'è importante per essere un bravo ballerino?
È sempre la combinazione di diversi aspetti, ma indubbiamente il talento e il duro lavoro, la disciplina, la dedizione completa. E anche un po' di fortuna.
Si può dire che si balla prima con il cuore e la mente che con il corpo? Il corpo viene dopo?
Ho la sensazione, in generale, che si stia perdendo l'essenza della danza, perché si tende a valutare un ballerino anzitutto se è bravo tecnicamente. Nel balletto classico è facile cadere in questo. Magari uno gira e salta magnificamente ma poi lo metti a ballare con una musica e non sa muoversi. Se guardi i filmati dei grandi ballerini di un tempo si potrebbe osservare che forse erano meno puliti tecnicamente, però ballavano in maniera molto più musicale. Ovviamente ci sono oggi dei ballerini stupendi, però mi sembra che alcuni hanno perso un po' questo senso e si concentrano molto sull'estetica o sulla sola tecnica, che certamente è importante. Quando invece vedi che c'è l'anima in colui che danza, cattura subito il pubblico perché arriva l'emozione. È quello a cui io aspiro, che mi piacerebbe essere, e che mi piace anche vedere negli altri. Nelle scuole di danza classica, soprattutto nelle maggiori, si guarda molto, direi quasi in maniera estrema, alle doti fisiche, quasi da ginnasta, perché la danza oggi è molto cambiata, si è evoluta con corpi sempre più dotati. Quello del ballerino è un mestiere così difficile, perché costa così tanti sacrifici che se non lo si ama fortemente non lo si può fare.
Quale è la maggiore soddisfazione del tuo lavoro?
Sicuramente quando raggiungo un traguardo. È bello quando sai di aver dato tutto il possibile per raggiungere qualcosa anche se, spesso, non è esattamente come te lo immagini o come pensi sia la strada per raggiungerlo. Mi sento con la coscienza sporca se inizio uno spettacolo consapevole del fatto che avrei potuto prepararmi meglio e dare quel di più, o di essermi limitato nella preparazione. Cerco sempre di dare il massimo in quello che faccio.
In cosa ti aiuta la danza come persona?
Mi ha dato il senso della disciplina, e mi ha fatto capire che per raggiungere un obiettivo bisogna lavorare molto. Andando via da casa lontano dai genitori, mi ha costretto a crescere molto velocemente. Questo ha significato diventare responsabile già da piccolo, rendendomi forte. La danza mi aiuta a mantenere uno stile di vita sano. È quasi un obbligo. Certamente non tutto va a gonfie vele o è bello. Ci sono tanti momenti difficili, e vanno messi in conto anche gli infortuni che, se succedono, per un ballerino diventano situazioni pesanti perché il corpo è il suo strumento.
I futuri appuntamenti per il 2018?
Il balletto Carmen di Amedeo Amodio, a marzo al Teatro Olimpico di Roma; a maggio in Giappone con l'Opera di Vienna con Il Corsaro; a giugno, a Vienna, con Giselle; e il 21 e 22 luglio al Teatro La Fenice di Venezia per il Gala internazionale di danza ideato da Daniele Cipriani.
In copertina: Roberto Bolle in "L'Arlésienne", coreografia Roland Petit. Foto Luciano Romano.