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Sinopsi testi

Sinopsi testi (160)

Sabato, 01 Giugno 2019
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SOLCHI NELL'ARIA AD INTARSIO
di Vincenzo Di Lalla

"Ciò che sembra, non è" diceva spesso Vincenzo di Lalla, autore di quest'opera e mai come in questa commedia l'autore mostra come tutto ciò che si verifica e si rappresenta sia sempre la negazione dell'accaduto stesso. C'è un finto rapimento (a scopo benefico!) di una inconsapevole ragazza lasciata subdolamente alle cure di un malcapitato protagonista che doverosamente la cura credendola in pericolo. C'è un intreccio di persone barbaramente uccise o che si sono suicidate che vengono a sapere che nell'aldilà potranno trovarsi faccia a faccia con i loro aguzzini. Ci sarà sempre il miscuglio tra vivi e morti e in un "intarsio" di storie vere o verosimili si prospetteranno fatti e personaggi in situazioni assolutamente imprevedibili. Si tratta di una originalissima commedia gialla con risvolti umani e paradossali, con evidenti "solchi" tracciati nell'aria.

Sabato, 01 Giugno 2019
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LA GABBIA
di Vincenzo Di Lalla

La motivazione del Premio Fersen 2008 di questo atto unico postumo di Vincenzo di Lalla, dice: L'autore ha scritto una divertente, ingegnosa commedia appartenente al genere "giallo", ma con situazioni schiettamente comiche. Vediamo due ladri che, introdottisi in un lussuoso appartamento per svaligiarlo, incorrono nelle numerose traqppole predisposte dal proprietario che, con diabolica astuzia, ha messo in opera sofisticati congegni tecnologici per scoraggiarli. Il crescendo delle disavventure dei due malandrini si conclude in una gabbia che preclude loro la fuga. Abile e sorprendente anche il finale a sorpresa. La gabbia rinnova in ambito teatrale il comico-grottesco della commedia all'italiana.

Martedì, 04 Dicembre 2018
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ENRICO SOLO
di Alfonso Liguori

ENRICO - Veda, ciò che conosciamo di noi è soltanto una piccolissima parte di ciò che siamo a nostra stessa insaputa

Sono passati venticinque anni dalla chiusura di sipario sulla tragedia Enrico IV di Luigi Pirandello (1922). Un uomo si è autorecluso nella pazzia, la famiglia lo ha sequestrato in una villa isolata dal mondo. Fuori c’è la dittatura fascista, e poi la guerra, e poi la lotta di liberazione, la fine della monarchia e la nascita della Repubblica. Ma “Enrico” sa poco o nulla di tutto questo, perché niente gli è stato possibile sapere. Nella nuova democrazia italiana, una troupe della radio raccoglie le strane storie degli anni bui appena superati. Giunge così fin dentro la villa per registrare la testimonianza di questo curioso signore. Egli racconterà la sua storia finalmente in maniera libera e alla luce di un quarto di secolo di riflessioni. Nasce così il ritratto di un uomo che ha preso coscienza del suo dramma, delle sue colpe e degli errori, ma che ha conservata la bellezza del pensiero, dell’ironia e del gioco: un’identità che si era dissolta, frantumata nella tragedia venticinque anni prima, si ricompone pazientemente dinnanzi agli spettatori, nella volontà di essere sempre e comunque nella vita. Quello di “Enrico” resterà come un grido di speranza verso la possibile ricostituzione di un IO disgregato, ricostruzione che passa attraverso la Parola e il Teatro, attraverso la presa di coscienza della caducità umana e della pietà che può in ogni momento sostenerci.

Martedì, 04 Dicembre 2018
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AVVISO DI CHIAMATA
di Dino Di Moia

Ubaldo Milani ha una straordinaria capacità che mostra già da bambino: pronosticare la data esatta della morte di ognuno, dote che gli procura numerosi problemi durante l'infanzia. Finiti gli studi, Ubaldo diventa ingegnere e progetta macchinari innovativi che sono costantemente rifiutati dalle aziende produttrici. Anche in questo campo il ragazzo mostra doti straordinarie, ma le sue abilità sono troppo avanzate e l'industria farmaceutica sarebbe penalizzata finanziariamente se mettesse in pratica le sue invenzioni. Precauzionalmente, l'establishment lo isola mediante accuse false e nella banca dati dell'Interpol Ubaldo viene inquadrato come sospetto terrorista. Trovatosi quindi disoccupato, e dietro consiglio dell'attivissimo padre, ritorna a sfruttare il superpotere che aveva sfoggiato da piccolo, ossia quello dei pronostici mortuari. Ubaldo si iscrive a un circolo di anziani, dove dapprima mostra di azzeccare la data di diversi funerali e successivamente si propone come Mago, ossia come colui che non solo prevede, ma può anche posticipare l'ultimo passaggio. Qualcosa va storto e Ubaldo finisce in galera, con una lunga pena pari a 7 anni. Durante la permanenza in carcere studia medicina, e nel momento della liberazione decide di utilizzare solo le sue capacità di ingegnere, creando una nuova macchina straordinaria che appare utilissima per il Servizio Sanitario Nazionale. Qualcosa di meno innovativo rispetto agli inizi, ma certamente più concreto. Questo apparecchio, a prima vista di facile realizzazione, procura guadagni milionari ad Ubaldo Milani e la Corte dei Conti. prudentemente, procede alla denuncia penale. Troppi soldi per qualche circuito elettronico, che ci sia sotto altro? E' così che ha luogo il processo giudiziario. I protagonisti sono un Giudice Supremo, una Pubblica Accusa insistente e zelante, e come difensore stavolta Ubaldo sceglie il migliore avvocato che ci possa essere per un essere umano: il proprio genitore. Il quale, anche se non possiede la laurea in Legge, ha un lungo passato da contrabbandiere e quindi è esperto di processi e galere. Non a caso, mostrerà spirito di iniziativa e tanta perspicacia, le quali suppliranno alle sue carenze in materia legislativa e porteranno alla sospirata assoluzione dell'ingegnere Ubaldo Milani.

Martedì, 04 Dicembre 2018
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CATERINA LA TYGRE
di Luciana Guido

Sul palco si avvicendano due attrici che impersonano Caterina Sforza, signora di Forlì, in momenti diversi della sua esistenza: una Caterina anziana si alterna ad una più giovane nei flashback in cui si presentano gli episodi più salienti della sua esistenza a Roma e a Forlì. La scena principale si svolge a Firenze, nel 1504, nel salotto della villa medicea nella quale Caterina, poco più che quarantenne, ha trovato rifugio dopo aver lasciato le segrete di Castel Sant’Angelo, dove era stata a lungo prigioniera di Papa Alessandro Borgia. La sconfitta infertale da Cesare Borgia, figlio del Papa, l’ha privata della signoria di Forlì ed ora nel contenzioso con il cognato Lorenzo de Medici, oltre a ciò che resta dei suoi beni,Caterina rischia di perdere la tutela di Giovanni, il più piccolo ed il più amato tra i suoi figli, nato dall’amore profondo per il suo terzo ed ultimo marito, Giovanni de Medici. Caterina sta raccontando a Bianca Bona, sua ancella ed accolita, un fatto avvenuto vent’anni prima: la sua resistenza a Castel Sant’Angelo, dai cui spalti, armi in pugno, aveva tenuto sotto scacco Roma e l’esercito dei vescovi prima di essere costretta alla resa. Viene introdotto Frate Nicola, illustre rappresentante della curia romana, entrato a più riprese nei momenti cruciali della sua vita. Il frate si dichiara preoccupato per la salute di Caterina e le fa pressione perché confessi i peccati di cui si è macchiata nel suo burrascoso passato. Sotto la quieta apparenza delle buone maniere, tra i due s’innesca una tensione crescente, una lotta senza risparmio di colpi nella quale i due contendenti rievocano i momenti salienti della vita di Caterina: lo stupro che ha subito all’età di dieci anni ad opera del primo marito, lo sfarzo della vita romana, l’ eroica resistenza dagli spalti della Rocca di Ravaldino, a Forlì, quando Caterina ha mostrato la vulva ai nemici che volevano sottrarle la signoria dopo averle assassinato il primo marito, la passione carnale per il secondo consorte, la rabbia violenta e sanguinaria dopo il suo assassinio ed infine l’amore pieno e totale per Giovanni, il suo terzo ed ultimo marito, che è spirato tra le sue braccia, e lo strazio provocato da questa perdita. Caterina rivela al frate di essere convinta che dietro a questa morte, così come a molte altre delle sue sventure, si celi la longa manus di un nemico insidioso che si nasconde nell’ombra: confessa il suo desiderio di vendetta e chiede l’assoluzione per questo peccato. L’altro protagonista della scena è un liquore preparato da Caterina, che è esperta erborista. La duchessa lo offre a più riprese al frate e lei stessa ne beve un po’ per vincere la resistenza del prelato, il quale in un primo momento appare molto restio a servirsene ma se ne dimostra poi entusiasta e ne accetta in dono due ampolle, una per sé ed una per Papa Alessandro. Il frate si congeda subito dopo e Caterina dichiara a Bianca Bona il suo disprezzo per quell’essere immondo, nel quale identifica il nemico occulto che ha tessuto le trame della sua rovina, inclusa la morte di Giacomo, e che ora ritiene connivente con suo cognato Lorenzo. La scena si conclude con Caterina che si allontana con Bianca Bona; si stanno recando nel laboratorio dove Caterina conduce i suoi “experimenti” : prepareranno un vaso di unguento per Isabella d’Este, che le ha allertate circa l’arrivo del frate Nicola, ma vogliono soprattutto verificare gli effetti di un veleno lento e potente sui topi che tengono in gabbia.

Martedì, 04 Dicembre 2018
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SCUOLA TEATRALE - DUE OCCHI NERI
di Aldo Manfredonia

L’ambiente è quello di una scuola teatrale dove giovani aspiranti interpreti si esercitano su temi in cui il canovaccio è solo indicato in maniera generica. 
Saranno loro a riempire di contenuti la trama appena accennata e a dare anche svolte originali alla narrazione teatrale. E’ presente il conduttore che funge da guida e anche alcuni ragazzi/e che possono intervenire non per commentare o per fare personalismi ma solo per aiutare gli interpreti nella loro opera. Oggi l’argomento tratta di una giovane donna che in seguito a una relazione sfortunata con un uomo incontrato per caso diventa oggetto di una persecuzione condotta in maniera diabolica e che la porta a parossismi di disperazione.
Come andrà a finire? Tutti cercheranno di darle un contributo per aiutarla a uscire da questa situazione . Ma l’impresa appare difficile se dall’altra parte c’è la costituzione mentale di uno psicopatico.

Martedì, 04 Dicembre 2018
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LA SALA D'ATTESA
Dramma in due atti sulla violenza contro le donne
di Stefania De Ruvo

Quando si parla di violenze sulle donne alcuni pensano che si tratti di una divisione inutile della violenza. Io credo che la violenza sulle donne abbia una “peculiare” unicità. Femminicidi, stupri e violenze domestiche hanno una caratteristica comune che si fonda sul rapporto tra uomo e donna e che vanno oltre le inclinazioni violente del singolo. E’ e rimarrà una violenza di genere. La sala d’attesa è una sorta di limbo dove un gruppo eterogeneo di donne si ritrova ad aspettare sempre qualcosa di diverso, non avendo consapevolezza di dove si trovano. Tutte queste donne sono state vittime della violenza degli uomini fino ad arrivare all’estrema conseguenza: la morte e rimarranno nel limbo fino alla presa di coscienza e all’attribuzione della colpa all’uomo in questione. Questo passaggio si otterrà con il ritrovamento della memoria. Infatti caratteristica comune di tutte le donne è l’assenza della memoria del proprio vissuto, chi solo degli ultimi giorni, chi di interi anni. L’uscita dalla sala d’attesa è il simbolo della liberazione dal senso di colpa e di responsabilità che accompagna e tiene imprigionate molte donne che subiscono violenza. La pièce è strutturata in dialoghi e monologhi. Questi ultimi, anche se riguardano la storia di donne diverse, vanno a formare un’unica successione, perché tutte le storie di violenza hanno caratteristiche comuni: l’inizio felice della relazione, il periodo di tensione ed infine la violenza. Durante lo svolgimento dell’opera le sei donne ricorderanno la loro storia raccontandola alle altre ed usando il tempo presente, perché rivissuta dalle protagoniste man mano che viene ricordata, senza essere contaminata dal ricordo finale della violenza.  La scelta di non dare un nome a queste donne è voluta per facilitare il processo di immedesimazione dello spettatore e per rappresentare il senso di smarrimento che si subisce con la violenza, infatti solo all’uscita dalla sala d’attesa le donne torneranno in possesso del proprio nome. Nel finale, uno spiraglio di speranza che queste tragedie possano, se non scomparire, almeno ridursi di numero.

Martedì, 04 Dicembre 2018
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CONSIGLIO DI CLASSE
di Fiona Dovo

In una scuola superiore, quattro insegnanti si interrogano sull’assenza prolungata e ingiustificata di un’allieva particolarmente fragile. Durante il confronto di opinioni, contrastanti e pungenti, i professori ripercorrono gli ultimi momenti in cui la ragazza era presente a scuola: i rumori nei bagni della palestra, la sua richiesta di andare a casa, il compiacimento dei compagni…tutto lascia presagire a qualcosa di grave. I professori ipotizzano differenti scenari a seconda delle loro visioni, ma sarà un video pubblicato in rete a mostrare la realtà dei fatti: Ilaria è stata umiliata nei bagni da tre studenti mentre gli altri compagni di classe erano al corrente di quanto stava accadendo. Sale la tensione tra i personaggi i quali cominciano ad accusarsi a vicenda, fino a che il web torna a parlare mostrando un post della vittima in cui rivela di aver denunciato i maltrattamenti attraverso un tema in classe. Il professore di italiano nega di aver letto il tema , ma viene smascherato dai colleghi i quali lo reputano responsabile di omissione di soccorso. Sarà il gesto finale e insperato dei ragazzi a far tacere le accuse, l’aggressività, la frustrazione dei professori, anch’essi vittime e bulli, modelli inadeguati incapaci di gestire una generazione che si esprime attraverso il web.

Martedì, 04 Dicembre 2018
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L'INDAGINE
Dramma dodici quadri
di Aldo Cirri

Gli anni della massima espansione dell’impero romano, Dario e Demetrio, due giovani medici, ritrovano per caso gli appunti di Luca di Antiochia raccolti e utilizzati, molti anni prima, per la stesura del suo Vangelo. Dopo una prima lettura, nasce una domanda: ma perché quelle note sono così diverse dal testo ufficiale? Inizia così un’indagine, un viaggio nei luoghi della storia, una sorta di “caccia al Messia”, la ricerca di una verità che sembra essere stata deliberatamente nascosta. Ma da chi e perché? Le domande si accavallano: perché le prove e le testimonianze raccolte dai due giovani non concordano affatto con i testi che circolano nelle comunità cristiane? Perché le cronache della vita di Gesù furono scritte tacendo di proposito certi avvenimenti? Chi manovrò la setta del Galileo? Chi uccise Giuda e perché? Chi “inventò” la resurrezione? Via via che Dario e Demetrio vanno avanti nella ricostruzione degli ultimi giorni del Cristo, la vicenda assume un aspetto incredibile ed inverosimile, completamente diverso dalle cronache ufficiali. I due si ritroveranno in un labirinto di fatti taciuti, in un assurdo intrico di interessi economici, politici e di potere da cui la verità finale, stupefacente, inconcepibile, e paradossale salterà fuori nelle ultime pagine come dal cappello di un supremo e onnipotente prestigiatore.

Appunti tecnici: 21 attori (20u + 1d). Da porre particolare attenzione al cambio delle scene, all’atmosfera delle situazioni e alla narrazione da fuori scena di uno dei protagonisti. Durata 140 minuti (esclusi intervalli).

Martedì, 04 Dicembre 2018
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108 - VALLUCCIOLE, UN'ORAZIONE CIVILE
di Alessandra Aricò

108 – Vallucciole, un’orazione civile racconta della prima strage indiscriminata di civili in Toscana avvenuta il 13 Aprile del 1944 ad opera della Hermann Goering Division, all’interno di un’operazione di rastrellamento che dal 12 al 19 Aprile coinvolse il versante toscano e quello romagnolo del Monte Falterona. A Vallucciole, Serelli, Monte di Gianni, Moiano, si perpetrò l’annientamento di una mite e pacifica comunità di laboriosi “contadini di montagna”; dall’alba al tramonto furono uccise 108 persone – la più piccola, Viviano Gambineri, aveva 70 giorni – e stuprate molte donne. A 70 anni dallo svolgimento dei fatti, a venti dal ritrovamento del tristemente celebre “armadio della vergogna”, e a seguito del processo intentato dal Comune di Stia ai danni degli esecutori materiali e dei mandanti, di cui un paio ancora in vita; dopo la scomparsa degli ultimi testimoni diretti e prima che gli eventi passino alla narrazione storica, il testo vuole affidare al teatro la possibilità di restituire alla comunità la propria storia, soprattutto dando voce alle vittime. La scrittura parte da un accurato studio dei documenti e delle testimonianze, cercando un equilibrio fra il rispetto totale delle fonti e la possibilità di spingersi oltre la narrazione documentaria e il naturalismo, cercando altresì la lingua adatta per poter dire l’innominabile, per ascoltare la mamma di Viviano. È un testo in cui i morti appaiono, prendono la parola e, ciascuno dal proprio punto di vista, contribuiscono a ricreare il contesto storico, i prodromi e lo svolgersi degli accadimenti, alternando monologhi e scene corali, conducendo nel centro dell’orrore per poi accompagnare verso un ritorno alla vita che è anche la riconquista di una dignità umana.

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