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Locandine

Locandine (28)

Mercoledì, 09 Ottobre 2013
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AGE

Il progetto age declina con nove teenager kamikaze l’analisi sul ruolo dello spettatore e sul concetto d’indeterminazione che attraversa le ultime produzioni di CollettivO CineticO. Il rapporto tra l’aspetto accademico/normativo e il profilo biologico/chimico tipico della soglia dei 18 anni produce una capacità di assunzione di rischio che rende gli adolescenti i candidati ideali per abitare lo spazio ludico, allo stesso tempo indeterminato e regolamentato, della scena. La performance è strutturata come un atlante in cui, capitolo per capitolo, gli “esemplari” umani sono chiamati a esporsi su un palco-ring dove la durata delle azioni è scandita dal gong della regia. Classificati con implacabile datità secondo i parametri più disparati, gli “esemplari” di age rispondono in diretta a un corpus di quesiti legati alla definizione di sé per caratteristiche, opinioni, gusti ed esperienze. I performer condividono una serie di regole e un inventario di comportamenti ma non sanno in base a quali parametri di selezione verranno chiamati in gioco.

Mercoledì, 09 Ottobre 2013
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CLOTURE DE L'AMOUR

L’autore e regista Pascal Rambert è un protagonista di spicco della scena francese dagli anni ’80. Con la pièce Clôture de l’amour, che ha debuttato al Festival di Avignone nel 2011, ha vinto in Francia il premio della critica 2012 per la “Miglior creazione di un testo teatrale in lingua francese” e il Gran premio della drammaturgia 2012. Lo spettacolo è stato tradotto e rappresentato in tutto il mondo. Dopo essere stato rappresentato nella sua versione originale francese a Modena, nell’ambito del Festival Vie, edizione 2012, Rambert dirige in questa occasione due attori italiani, Luca Lazzareschi e Tamara Balducci. Direttore del parigino Théâtre de Gennevilliers, esploratore curioso del mondo, Rambert prosegue con Clôture de l’amour la sua personalissima indagine scenica. In una grande stanza bianca, una donna e un uomo si parlano attraverso due lunghi monologhi - che non arriveranno mai a farsi dialogo - interrogandosi sulle ragioni della fine della loro storia d’amore. Il flusso ininterrotto di parole, le domande-risposte che si scatenano e la respirazione bloccata creano una sorta di maratona tra paura e liberazione: è proprio lì, nel mezzo del momento doloroso, che Pascal Rambert ci porta, senza temere di disturbare, di creare dubbio, di immergerci nei meandri di una storia che porta inesorabilmente alla rottura.

Mercoledì, 09 Ottobre 2013
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IL RITORNO A CASA

Sin da quando ho visto la prima londinese, quasi 50 anni fa, ho desiderato mettere in scena Il ritorno a casa. È forse il lavoro più cupo di Pinter, che tratta dei profondi pericoli insiti nelle relazioni umane e soprattutto nel rapporto precario tra i sessi. La giungla nella quale si combatte è, naturalmente, la famiglia. I comportamenti formali, più o meno stabili, si tramutano in aggressività fatale e violenza sessuale quando uno dei fratelli con la sua nuova moglie ritorna dall’America. Tutte le ossessioni sessuali maschili in questa famiglia di serpenti si proiettano sull’unica donna presente. Nelle fantasie degli uomini, e nel loro comportamento, viene trasformata in puttana e non le rimane che la possibilità della vendetta, assumendo quel ruolo e soddisfacendo la loro bramosia più del previsto. Come sempre nei finali di Pinter tutto rimane aperto. L’immagine finale mostra la donna imponente, con gli uomini frignanti e anelanti ai suoi piedi e nessuno sulla scena e nell’uditorio saprà quello che può accadere. È un lavoro esclusivamente per attori. L’iniziativa di questo allestimento è partita dai membri del cast de I Demoni, che era abituato ad un lavoro di stretta interazione. Speriamo, quindi, con il nostro lavoro di poter essere all’altezza dell’opera.
Peter Stein

Mercoledì, 09 Ottobre 2013
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L'AMORE E' UN CANE BLU

In un paese dove la passione è scomparsa ovunque, nei legami sentimentali come in quelli con la propria comunità (un tempo chiamavasi politica). Dove il caos regna principesco sia nei rapporti economici che in quelli affettivi: un uomo si perde. Si perde in una notte assolutamente e terribilmente magica sull’altopiano del Carso. Una terra che non conosce anche se c‘era nato a poco più di 300 metri. Tra grotte, fiumi sotterranei, rovi e pietre questo sarà per lui l’unico luogo dove ormai vivono ancora le fiabe degli amanti perduti e delle passioni tradite. Questo spettacolo è un diario, un disegno, diventerà un film, per ora un concerto visionario popolare lirico e umoristico. Narra di un tragico smarrimento e di una comica rinascita.
“Io sono un uomo che non deve chiedere più… anche perché da un po’ di tempo mi dicono sempre di no” (aforisma dell’autore). Paolo Rossi

Mercoledì, 09 Ottobre 2013
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LA GRANDE MAGIA

Continuando il lavoro di approfondimento sulla drammaturgia di Eduardo del primo dopoguerra, la Compagnia di Teatro di Luca De Filippo propone La Grande Magia, commedia tra le meno rappresentate del grande drammaturgo napoletano, messa in scena solo dallo stesso Eduardo con la sua compagnia e poi da Giorgio Strehler con il Piccolo Teatro di Milano dal 1985 in poi. A chi gli chiedeva cosa avesse voluto dire con La Grande Magia, Eduardo rispondeva che aveva voluto esprimere che “la vita è un gioco, e questo gioco ha bisogno di essere sorretto dall’illusione, la quale a sua volta deve essere alimentata dalla fede… Ogni destino è legato ad altri destini in un gran gioco eterno del quale non ci è dato scorgere se non particolari irrilevanti” (“Il Dramma”, marzo 1950). Il tema sostanziale de La Grande Magia è il rapporto tra realtà, vita e illusione: il Professor Otto Marvuglia fa “sparire” durante uno spettacolo di magia la moglie di Calogero Di Spelta per consentirle di fuggire con l’amante, e fa poi credere al marito che potrà ritrovarla solo se aprirà con totale fiducia nella fedeltà di lei la scatola in cui sostiene sia rinchiusa.

Mercoledì, 09 Ottobre 2013
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THE END

Oggi la morte non esiste. Non se ne parla. Non la si affronta, né la si nomina. È un tabù. La morte viene occultata, nascosta. La consideriamo come qualcosa che non fa parte della vita.
Non basta sapere che la vita ha un ciclo, che i propri genitori invecchiano, che ammalarsi è possibile. La morte rimane tale. Uno spettro scuro di cui abbiamo infinitamente paura. In modo estremamente tragico. In modo estremamente comico. Invecchiare come ammalarsi non è consentito. Il mito dell‘eterna giovinezza dilaga. Ci stiamo trasformando in un mondo di Dorian Gray. Vecchi e malati vivono separati dal resto della popolazione. Anche i morti per definizione vivono separati dai vivi. Il modo in cui viene affrontata e trattata la morte oggi è profondamente bruciante e carico di contraddizioni. È una combustione lenta e sotterranea, forse per questo più dolorosa e non cicatrizzabile. Ogni tanto riesce a zampillare all’esterno prima di tornare a scorrere sotto traccia. Coperta da una cenere che non è mai in grado di spegnerla. Ma che si ostina a relegarla nell‘alveo di un individualismo che nega una sua elaborazione collettiva.

Mercoledì, 09 Ottobre 2013
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L'UOMO PERFETTO | HAND PLAY

Due brani, in un’unica serata, per esplorare il rapporto tra corpo ed immagine proiettata. Mara Cassiani e Davide Calvaresi, coreografi emergenti della nuova scena marchigiana, propongono le loro riflessioni sull’essere umano e sul bisogno di tessere relazioni, attraverso la contaminazione tra i linguaggi del video e della performance. L’Uomo Perfetto si ispira, rielaborandolo, all’omonimo cortometraggio del danese Jorgen Leth, Det perfekte Menneske, e alle sue variazioni elaborate nel 2001 da Leth e Lars Von Trier. In scena un set televisivo: una voce e delle immagini ci descrivono “l’essere umano perfetto”. L’uomo perfetto viene osservato nella sua funzionalità e nel suo esistere. Uno sguardo sulla commedia dell’umanità e su cosa sia per l’uomo, l’essere umano perfetto. Hand Play è la tappa finale di un percorso visivo portato avanti dalla compagnia 7-8 chili che riflette sulla dimensione relazionale tra un uomo e una donna. L‘idea centrale è il dialogo tra una figura in scena e la proiezione di una mano gigante, un dialogo tra due mondi, tra due visioni, tra due personaggi che interagiscono a due dimensioni. Il gioco di immagini è visibile solo attraverso una proiezione video che svela le crudeli dinamiche del rapporto di coppia.

Mercoledì, 09 Ottobre 2013
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DON GIOVANNI IN CARNE E LEGNO

Il mito di Don Giovanni rivive attraverso una nuova visione della vicenda: il dissoluto ingannatore risorge dal suo castigo eterno per perpetuare il proprio desiderio di conquista e libertà terrene.
Le sue rischiose avventure inducono il suo servo Pulcinella, ingiustamente accusato delle sue malefatte, a compiere un atto definitivo quanto rivoluzionario: Don Giovanni viene impiccato su pubblica piazza “fino a che non sopraggiunga la morte” ma una morte “umana”, per nulla eroica. Perché scomodare nuovamente il Cielo? Nessun artiglio, nessun fuoco infernale, dunque. Don Giovanni è punito dal gioco del caso, o forse soltanto dal gioco, non meno pericoloso, di un servo esasperato; un gioco che solo un servo-non servo come Pulcinella può permettersi di giocare.
Attori e burattini si muovono in scena invadendo reciprocamente gli spazi loro assegnati per tradizione, colmando così l’antica distanza fra teatro “alto” dei comici in carne e ossa e teatro “altro” dei girovaghi di piazze e mercati. Uno spettacolo in cui l’impertinenza del burattinaio si fonde con l’inventiva e il grottesco della maschera.

Mercoledì, 09 Ottobre 2013
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SPAZI TEATRALI E NON CONVENZIONALI

Per definizione gli spazi teatrali non sono convenzionali, rappresentano una realtà immaginata a volte lontano a volte vicino alla verità. Una verosimiglianza che spesso utilizza ambienti marginali, inconsueti, inaspettati, proprio per la capacità suggestiva di questi luoghi occupati dalle parole recitate. Queste occasionali scene, private della loro funzione originale, dimostrano la naturale capacità di accoglienza dell’architettura amplificata dalla trasfigurazione teatrale che riesce a enfatizzare gli spazi costruiti come memoria di ogni epoca. Secondo questo principio teatro e architettura confondono valori e identità in un ottimistico intreccio che se da una parte esalta le singolarità dall’altra dimostra una sintonia implicita. Architettura, teatro, arte e rito discutono i diversi punti di vista.
Massimo Ferrari

Mercoledì, 09 Ottobre 2013
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LA STANZA

Una cosa non è necessariamente vera o falsa, può essere sia vera che falsa allo stesso tempo. Harold Pinter All’interno della finestra di un palazzo di periferia, macchiato dall’ombra di una presenza misteriosa, si svolgono vicende umane di solitudine, insicurezza, pericolo incombente dai risvolti comici ed inquietanti. Un testo prototipo di molti dei temi che dominano l’opera migliore di Pinter: una donna chiusa in un appartamento di un oscuro caseggiato e il suo silenzioso marito sentono la loro casa misteriosamente minacciata da presenze enigmatiche, da sospetti e preoccupanti personaggi in stato di guerra psicologico. L’aria della stanza si addensa, si carica di incertezza, di ansia, di violenza. In bilico tra realtà e finzione, tra falso e vero, due attori danno vita a sei personaggi dando modo ai protagonisti di manifestare la propria ambiguità attraverso maschere iperrealistiche in grado di deformarsi e sorprendere, in un vortice di apparizioni che amplifica l’enigma e l’attualità del testo.

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