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Giuliano Pisapia, candidato sindaco, per una Milano culturalmente viva. Intervista di Mario Mattia Giorgetti

Giuliano Pisapia Giuliano Pisapia

1) Nel tempo a Milano abbiamo visto chiudere molti teatri e spazi culturali, che hanno avuto una loro storia e un loro importante ruolo per la comunità cittadina. Cosa pensa di fare per restituire alla città luoghi d'incontro culturale, di diffusione del sapere, aperti alla discussione, alla partecipazione, da affidare magari a giovani attori professionisti?

La cultura è la ragione per cui l'Italia è conosciuta nel mondo, una fondamentale possibilità di rilancio economico e sociale, per il paese, per Milano e per tutti. Oggi quella che un tempo fu una delle capitali d'Europa è avvitata in un progressivo deficit culturale a causa della miopia e del provincialismo della gestione più che ventennale del centrodestra che ha lasciato sul campo morti e feriti. Il fantasma del Lirico ne è drammatica testimonianza. Per troppo tempo alla vita di teatri e spazi culturali è mancata una regia centrale. Anche per questo, da sindaco, ritengo prioritaria la creazione di un "Superassessorato" Cultura, Eventi e Turismo. Le deleghe sulle politiche culturali devono tornare a una gestione unitaria per lo sviluppo culturale della città e per garantire il rispetto della legalità soprattutto sul fronte del rispetto di tempestività, perentorietà e trasparenza nelle assegnazioni e nelle erogazioni dei contributi. Con attenzione agli artisti più giovani.

2) Ci fu un tempo in cui Milano era la città in cui convergeva tutto il mondo teatrale italiano (impresari, attori di chiara fama, organizzatori culturali, ecc), mentre Roma era il luogo d'incontro del mondo cinematografico. Adesso tutto il movimento che convergeva su Milano si è spostato a Roma: a Milano mancano case di produzione cinematografiche per film di portata internazionale, non ci sono più studi televisivi ove si producono opere teatrali, manca un festival teatrale importante. Cosa possiamo fare per riportare gli artisti e i produttori a Milano? Non trova che sarebbe un modo per rilanciare la città, dandole una nuova anima e garantendo più occupazione per i lavoratori dello spettacolo?

Nella Milano incupita dal progressivo senso di insicurezza, a parte la Scala (quando non ha problemi), sembra quasi esserci una paura anche degli eventi culturali. Gli eventi fioriscono e prosperano altrove: il Festival della letteratura a Mantova, quello del Teatro a Napoli, mentre la capitale mondiale del design (per ora) è Torino. Occorre una svolta a 360°. Occorre mettere a punto una rappresentazione concreta dell'industria creativa della città, che pur eccelle sul piano nazionale come internazionale: dall'editoria al teatro; dal cinema al design; dalle performing arts all'architettura; dal rock di tanti gruppi giovanili alla musica sperimentale. Ridiamo a Milano il fermento creativo dei tempi migliori! La cultura non è produzione di effimero: deve essere un asse strategico di sviluppo della città. Dal punto di vista dell'occupazione, del resto, dà un consistente contributo al Pil della città. Eppure i lavoratori di questo settore finora sono stati tenuti sotto schiaffo.

3) La cultura e lo spettacolo possono costituire un importante volano per l'economia della città, ma anche del Paese. Quanto pensa che dovrà essere in percentuale il budget destinato a questo settore, rispetto all'intero budget del Comune?

Al momento non mi sentirei di fare quantificazioni. Certo è che si deve invertire la tendenza attuale, fatta di tagli, chiusure e poca considerazione per un'autentica politica culturale "popolare" a vantaggio esclusivo delle solite élite. Penso che strategicamente possa tornare utile la facilitazione di rapporti permanenti tra gli attori culturali e i principali attori economici (Camera di commercio, Fondazioni bancarie, imprese private) per garantire solidità finanziaria ai piani di sviluppo culturale della città.

4) Una città come Milano conta 48 teatri di prosa, considerando anche i più piccoli, mentre altre città ne vantano molti di più, come Parigi, Berlino, Londra. Non trova che il rapporto tra teatri e cittadini a Milano sia deficitario e penalizzante?

Certo che sì. Com'è deficitario l'afflusso di artisti e fruitori di cultura internazionali, almeno rispetto ad altre realtà estere, non solo europee ma ormai anche emergenti. Vogliamo parlare del Louvre o del Guggenheim di Abu Dhabi? A questo riguardo penso a una politica di marketing territoriale e di diplomazia culturale che promuova l'immagine di una Milano capitale internazionale della produzione artistica e di spettacolo, della cultura nel suo complesso. Obiettivo: favorire un turismo culturale inter-generazionale.

5) Teatri che chiudono, stagioni teatrali che subiscono tagli, scarsa forza produttiva dei teatri, giovani artisti che fuggono dalla città privi di prospettive. Tutto questo determina un vuoto culturale che, a nostro parere, si insinua nel tessuto sociale logorandolo. Non le sembra che sarebbe necessario cominciare a ricucirlo? Cosa si può fare in questo senso?

Per riannodare i fili di una rete tra grandi istituzioni culturali e realtà indipendenti si può pensare a progetti di residenze multidisciplinari dove artisti e operatori di generazioni e linguaggi diversi possano dar vita a centri di produzione artistica ad ampio raggio in grado di mescolare i pubblici di riferimento e attrarre l'attenzione internazionale sul fermento milanese. Propongo inoltre di rendere la cultura più pervasiva nell'intero tessuto della città attraverso la creazione di una "Cittadella dello Spettacolo", centro motore degli eventi artistici, della moda e del design, con quattro "Villaggi" ad essa collegati, con eventi minori a livello decentrato per un risveglio culturale delle periferie. Il tutto per un più generale risveglio di cui la metropoli Milano ha estremo bisogno, dopo tanti anni di catalessi culturale e di sudditanza casalinga e televisiva.

6) Una volta, grazie ad un sindaco illuminato come Greppi, i cittadini di Milano si riconoscevano negli attori che stabilmente agivano presso i teatri cittadini (il Piccolo Teatro di Paolo Grassi e Giorgio Strehler, il Teatro Nuovo con Remigio Paone, l'Odeon, il Manzoni), mentre adesso ciò non avviene perché i Teatri, compresi quelli finanziati dal Comune, più che un'attività stanziale fanno un'attività di giro, con periodi di scrittura cortissimi per le singole compagnie. Non trova che quei teatri convenzionati, finanziati dal Comune, dovrebbero garantire periodi di programmazione più lunghi per la città, scritture più solide agli artisti in modo da consentire a giovani lavoratori dello spettacolo di organizzare la propria esistenza nella città di Milano?

Sono d'accordo. Ma amo ricordare quel che diceva ai suoi collaboratori proprio il sindaco Greppi, l'uomo che volle la ricostruzione della Scala distrutta dalle bombe come simbolo della rinascita della città: <Facciamo in fretta, i poveri non possono aspettare>. Io dico <Facciamo in fretta, Milano non può aspettare>. Gli artisti, i teatri, le biblioteche, le compagnie di attori di Milano non possono più aspettare. Con me sindaco non aspetteranno.

7) Stiamo perdendo la memoria storica di ciò che Milano ha dato al teatro nel tempo, (drammaturghi come Testori, Buzzati, Bertolazzi, Fontana ecc, sono spariti dal campo delle produzioni). Non potremmo incentivare e chiedere, non imporre, a chi riceve finanziamenti dal Comune di dare più attenzione a queste realtà?

E' una delle mille cose cui si può pensare. Anche perché la memoria storica è base irrinunciabile per la costruzione di un futuro sostenibile. A partire soprattutto dalla cultura.

Ultima modifica il Giovedì, 21 Marzo 2013 11:26
La Redazione

Questo articolo è stato scritto da uno dei collaboratori di Sipario.it. Se hai suggerimenti o commenti scrivi a comunicazione@sipario.it.

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