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APULEIO - Asino d'oro, regia di Renzo Giovampietro

regia di Renzo Giovampietro
Tempo nº 20, 19 maggio 1962

Che Apuleio di Madaura, il letterato alessandrino, quello dell'Asino d'oroper intenderci, fosse un fior di galantuomo è cosa che rimane da dimostrare. Come rimane da dimostrare che il processo "per magia" che gli accadde di subire a Sabrata, nella Libia romana, nel 158 dopo Cristo, fosse proprio un processo fondato sul niente, e non piuttosto quello che sarebbe stato rubricato ai nostri giorni come un caso di "circonvenzione d'incapace". Apuleio infatti era accusato davanti al proconsole romano di aver "affatturato" la ricca vedova Pudentilla e di averla convinta a sposarlo, contro il parere dei figli, diventando lui da povero ricco e da chierico vagante rispettabile cittadino dell'elegante centro libico. Degli avvenimenti che precedettero e seguirono la vicenda giudiziaria non sappiamo quasi nulla. Non sappiamo neppure quale sia stato il verdetto. E la sola cosa che ci rimane è la stupenda, letterariamente stupenda, difesa che l'accusato fece di sé stesso.

Ora, valendosi della traduzione, e di alcune battute di rottura, di Francesco Della Corte, che si rivela una volta di più elegante scrittore oltre che esperto filologo, il Teatro Stabile della Città di Torino ha fatto propria la coraggiosa iniziativa di uno dei suoi attori, Renzo Giovampietro, e ha messo in scena, ha trasformato in fatto teatrale, l'autodifesa, l'apologia come si dice, di Apuleio, e in questi giorni la sta rappresentando a Milano in quel delizioso, anche troppo, salotto dell'intelligenza che è il Teatrino di Palazzo Durini. Diciamo subito che dal discorso in giudizio del letterato alessandrino è nata una cosa teatralmente delle più convincenti. All'orazione di Apuleio si arriva per gradi: dopo aver ascoltato l'accusa del suo avversario Tannonio e dopo aver sentito le deposizioni, qualche volta grottesche e qualche volta drammatiche, dei testimoni che l'accusatore adduce. E non mancano neppure i colpi di scena: come l'improvvisa e inaspettata chiamata in causa, da parte di Apuleio, della nuora di Pudentilla Erennia, che sale sul banco dei testimoni per sentirsi rivolgere da parte dell'imputato gli insulti più atroci. L'orazione di Apuleio, che è, come tutti sanno, un piccolo prodigio di eloquenza forense, scorre su questo fondo e assume la piena legittimità di un testo teatrale. Tanto più che, nella finzione scenica, come del resto nella realtà, l'oratore non sta facendo una difesa professionale, ma sta cercando di salvare sé stesso. E la posta in gioco, secondo le richieste dell'accusa, è una posta pesante. Si tratta per Apuleio di distogliere dalla propria testa una condanna a morte e una morte delle più atroci. Tannonio infatti aveva chiesto che venisse applicata, nel caso di Apuleio, una "legge di Pompeo" che prometteva al condannato cose assai poco piacevoli. E dunque la difesa di Apuleio, che è brillante, vivace, elegantissima, piena di sorrisi e di citazioni, mordente come può essere mordente la parola di un uomo di grande cultura che deve replicare a dei goffi ignoranti, ma che si rivolge a un uomo di cultura pari alla sua, ha un sottofondo di intenso dramma, è detta nell'ombra di una vigorosa e non trascurabile paura. Questo sottofondo Renzo Giovampietro lo ha sottolineato come andava, non ha dimenticato nella sua dizione l'autentico gelo che si celava dietro i sorrisi e dietro le astuzie verbali e dietro la lucentezza delle battute. Coadiuvato del resto molto bene dagli altri attori, tra cui ricorderemo Carla Parmeggiani, un po' travestita da Sofia Loren, ma efficace nella sua piccola parte.

Tutto bene dunque, anzi benissimo. C'è un'obiezione sola da fare, ed è un'obiezione di fondo. Che lo spettacolo viene presentato con una intenzione che senza dubbio lo trascende. Il processo per magia subito da Apuleio dovrebbe esplicitamente simboleggiare la caccia alle streghe di tutti i tempi e naturalmente anche del nostro, dovrebbe implicare una compromissione politica, essere un grido ala libera intelligenza contro le persecuzioni dell'oscurantismo di ogni età. Ora, bisogna proprio dire che né Apuleio di Madaura, né i luoghi nei quali visse, e mentre correvano per la terra arie di ben altre persecuzioni, erano i più adatti a fare da pretesto a una tesi di questo genere. Insomma il distico dantesco "fatti non foste a viver da bruti – ma per seguir virtute e conoscenza" che precede a velario chiuso la rappresentazione, non direi proprio che si addica a un personaggio come Apuleio, e alla sua dubitabile vicenda con la matura vedova Pudentilla. Non importa: l'amore per la cultura può giocare anche di questi scherzi, e magari è giusto che li giochi. Lo spettacolo vale la pena, e alla fine non è neppure escluso che dalle eleganti argomentazioni con cui il poeta nordafricano cerca di salvare la propria testa, in via subordinata la propria reputazione, qualche cosa rimanga che vada bene anche per noi, per le "magie" di cui esiste sempre il pericolo di essere imputati.

Carlo Terron

Ultima modifica il Martedì, 09 Dicembre 2014 08:01
La Redazione

Questo articolo è stato scritto da uno dei collaboratori di Sipario.it. Se hai suggerimenti o commenti scrivi a comunicazione@sipario.it.

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