Stampa questa pagina

INTERVISTA A DEBORA CAPRIOGLIO - di Francesco Bettin

Debora Caprioglio Debora Caprioglio

Ha iniziato giovanissima con il cinema, Debora Caprioglio, recitando in Grandi cacciatori di Augusto Caminito, dove è stata notata da Klaus Kinski con cui fece subito dopo Kinski Paganini, lavorando successivamente anche con Lamberto Bava, fino al grande successo di pubblico con Tinto Brass in Paprika. Ben presto però l’attrice, dopo esser stata diretta in altri film (ad esempio da Francesca Archibugi) partecipa a programma televisivi e fiction, serie TV, e da diversi anni in campo teatrale è una delle attrici più attive, con molti spettacoli di successo. Nel 2007 è arrivata seconda nel reality televisivo L’ Isola dei famosi. Ha lavorato con diversi grandi dello spettacolo, e la stagione appena terminata l’ha vista protagonista nei teatri italiani con il divertente Buoni da morire di Gianni Clementi, con Pino Quartullo e Gianluca Ramazzotti e la regia di Emilio Solfrizzi. Ama molto il suo mestiere, e le tournèe non le pesano affatto proprio per questa passione che si porta dentro da sempre. 

Hai iniziato con il cinema ma da diversi anni hai trovato nel teatro la principale tua dimensione…rispetto al cinema e alla televisione, salire sul palcoscenico dà qualcosa di più?
Lavoro in teatro dal 1997, e mi sono resa conto che recitare sul palcoscenico all’attore non dà solo qualcosa, ma molto di più del cinema e della tv, soprattutto in questo momento. Si ha la percezione di quello che si vale in ogni momento, il teatro come si sa è senza rete e bisogna fare tutto bene. Si capisce subito se il lavoro che si fa sul palco è stato fatto in un certo modo, se è gradito e se si sono trasmesse delle emozioni al pubblico, e da questo punto di vista è per l’attore una grandissima palestra. 

E’ anche merito di esser vivi tra i vivi, in presenza reale?
Si’, l’emozione che si ha avendo a che fare con un pubblico che respira ed è lì davanti a te è impagabile. Riguardo per esempio al cinema, è proprio tutta un’altra cosa anche perché fino a qualche anno fa, quando ho iniziato io a farlo, l’emozione era quella di potersi rivedere sul grande schermo, mentre ora le sale cinematografiche soffrono, ci sono le piattaforme che trasmettono i film, è cambiato tutto, è finita quella magia. Vale anche per lo spettatore, che per quanto possa essere grande uno schermo, visto in televisione il cinema non è certo la stessa cosa. Molte persone poi vanno più volentieri a teatro così possono vedere un artista dal vivo, è proprio un’emozione diversa. I teatri dopo il Covid sono ritornati a essere pieni di gente, anche se la fascia di pubblico è sempre un po’ matura, diciamo, e difficilmente si vedono i giovani nelle sale. 

A proposito, quel pubblico di giovani come si può conquistare e coinvolgerlo di più?
Secondo me dovrebbe partire molto dalla scuola, io stessa mi sono innamorata del teatro grazie ai miei insegnanti del liceo Franchetti, di Mestre. Ma anche da prima, le strutture scolastiche mi hanno abituata a frequentarlo. E a studiarlo, molti classici prima di interpretarli li ho approfonditi al liceo. Le passioni si coltivano fin da piccoli, l’amore per l’arte, in generale, dovrebbe iniziare presto. La scuola ha il compito di instradare gli studenti, anche se adesso i giovani sono distratti dai social e da quel che ne consegue, purtroppo. Io dico sempre che il teatro è stata la prima forma di comunicazione a nascere e penso che sarà sicuramente l’ultima a morire. 

Certamente hai avuto molte soddisfazioni in questi anni, ma lo stare in giro, lo spostarsi di continuo quanto può costare fisicamente per un’attrice, una persona?
Per me non molto, amo questa vita, sono un po’ zingara e a me le tournée non pesano assolutamente. Teniamo presente poi che negli ultimi anni sono molto più esigue, non sono più di sei o sette mesi ma durano, se tutto va bene, un paio di mesi, o tre, e neanche consecutivi. Tanti miei colleghi so che non amano molto girare, cercano magari di fare teatro solo nelle città importanti come Milano o Roma. Ma io come ho detto amo questa vita, che mi porta continuamente a vedere cose nuove, l’Italia l’ho conosciuta tutta proprio grazie a questo, da Nord a Sud. Più debutti ci sono e più sono contenta. C’è forse il problema, di questi tempi, ecco, del dopo spettacolo, dei ristoranti che chiudono presto. 

La tua cifra interpretativa è più improntata, forse, sulla commedia brillante, ma qualche classico lo porteresti in scena volentieri?
A dire il vero ho già portato in scena qualche classico, ho interpretato Shakespeare, Sogno di una notte di mezza estate, con Giuseppe Pambieri e poi con Mario Scaccia La dodicesima notte, e fatto testi drammatici come Elephant Man, con la regia di Giancarlo Marinelli, con Ivana Monti o L’innocente di D’Annunzio. In questo momento ho in repertorio anche un monologo drammatico che porto in giro da sette anni, Callas d’incanto, sulla governante di Maria Callas, Bruna, che le ha vissuto accanto fino alla morte. In più sto preparando un altro monologo su Artemisia Gentileschi, la prima donna pittrice del Seicento. SI intitola Non fui gentile, fui Gentileschi, con la regia di Roberto D’Alessandro, e girerà quest’estate. E’ uno spettacolo su una figura molto forte, un’ antesignana del femminismo, se vogliamo. Diciamo che mi piace alternare il brillante al drammatico, per me l’attore deve fare diverse cose. 

Per la stagione prossima qual è il tuo progetto?
Farò Plaza Suite, di Neil Simon, con Corrado Tedeschi, un testo brillante, a conferma che mi piace alternare. 

Interessante questo tuo lavorare su figure particolari, da far conoscere meglio al pubblico.
Sono comunque degli spunti anche per portare avanti in certi casi dei messaggi, ad esempio la violenza di genere come nello spettacolo sulla Gentileschi, cose che purtroppo sono esistite sempre. Infatti, nel caso specifico trovo che il testo sia molto appropriato per il periodo che stiamo vivendo, nonostante si parli del Seicento. 

I tuoi incontri fondamentali quali sono stati?
Per quanto riguarda il teatro ho iniziato paradossalmente con un regista cinematografico, Mario Monicelli, facendo Una bomba all’ambasciata, di Woody Allen, e lui è stato determinante, anche se avevo fatto teatro sette anni prima la Lulu di Wedekind, con Tinto Brass. Per quei sette anni però non ho voluto più farlo, non mi sentivo pronta. Monicelli mi ha riportato sul palcoscenico e grazie a lui ho avuto la fortuna di poter lavorare con dei grandi maestri come Scaccia, Mariano Rigillo, Franco Branciaroli, con Gianfranco Jannuzzo e attrici come Lucia Poli, Ivana Monti, Manuela Kustermann, Paola Quattrini. Nel cinema, certo, importanti sono stati Klaus Kinsky, Tinto Brass, Francesca Archibugi, Ugo Chiti, tutti nomi che mi hanno insegnato tanto. Ho sempre cercato di imparare questo mestiere rubando, osservando. 

Mai pensato di fare una regia tua, o di scrivere un’autobiografia?
Per la regia, mi è venuto qualche volta un pensiero. Per quanto riguarda il libro, ora lo scrivono davvero tutti, se io sapessi scrivere più che un’autobiografia scriverei qualcosa che non parla di me, non so, magari un romanzo. Autobiografie in giro ce ne sono davvero tante, un’overdose. Mi piacerebbe piuttosto scrivere un testo teatrale, alcuni spunti ce li ho, chissà. 

Parliamo del tuo mestiere. Cosa serve avere per farlo al meglio?
Rigore, studio, tanta disciplina, e lavorare, lavorare. La fortuna ha sicuramente il suo peso, ma io credo molto nelle energie proprie, l’impegno viene quasi sempre premiato. Il teatro stesso dà molta disciplina, mi ricordo Mario Scaccia che mi diceva che il teatro non è un albergo a ore, ci si sta e basta…Lui, ad esempio quella disciplina me l’ha insegnata molto, che significa anche mettersi in discussione. Come tutte le professioni anche quella dell’attore ha bisogno di un’evoluzione e di uno studio continuo, è sempre un esame e non bisogna mai dare niente per scontato. E la passione fa sì che la disciplina venga tollerata bene. 

Un monito che indirizzi anche ai giovani attori che iniziano?
Certo, sono tanti i giovani che vogliono fare l’attore o l’attrice con serietà, dedizione, chiaramente ci vuole tanta costanza e non tutti hanno la fortuna di poter vivere di questo lavoro. Sappiamo infatti che come caratteristica principale ha la precarietà. Alla base occorre sicuramente una grande passione, questo è sicuro. Sono anni difficili, la figura dell’attore è un po’ tornata come quella che era nel Medioevo. 

Un’attrice che ti ha sempre ispirato, che hai guardato con ammirazione?
Ce ne sono diverse, nel cinema Meryl Streep, che trovo straordinaria. In teatro ce ne sono tantissime, anche del passato, come Anna Proclemer, Valeria Moriconi, grandissime. Peccato che il teatro non lasci traccia, o poca, rimane qualche ripresa televisiva nelle teche ma tante interpretazioni notevoli si perdono, valgono solo nelle critiche, nelle recensioni, negli articoli e nella memoria degli spettatori. Fortunatamente qualche grande interprete ho fatto in tempo a vederla recitare dal vivo. 

Oltre il teatro e lo spettacolo in generale, che passioni hai?
Quando sono nella mia terra, il Veneto, amo molto stare a contatto con la natura, ascoltare i suoi rumori, fare delle belle passeggiate, delle escursioni in bicicletta. La natura mi sorprende sempre molto. Quando invece sono a Roma, mi piace andare per mostre, ad esempio. Non molti giorni fa ho visto a Palazzo Bonaparte quella di Van Gogh, un grandissimo artista, bellissima. Mi piace anche andare a teatro a vedere i colleghi, diciamo che sono una persona eclettica con diversi interessi. Possiamo dire con certezza che amo la vita… 

Francesco Bettin

Ultima modifica il Lunedì, 22 Maggio 2023 16:38

Articoli correlati (da tag)

Questo sito utilizza cookie propri e si riserva di utilizzare anche cookie di terze parti per garantire la funzionalità del sito e per tenere conto delle scelte di navigazione. Per maggiori dettagli e sapere come negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie è possibile consultare la cookie policy. Accedendo a un qualunque elemento sottostante questo banner si acconsente all'uso dei cookie.

Per saperne di più clicca qui.