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INTERVISTA A FRANCESCO VENTRIGLIA - di Lula Abicca e Giuseppe Distefano

Francesco Ventriglia Francesco Ventriglia

Artista italiano nel mondo, Francesco Ventriglia ha alle spalle una carriera dalle tappe veloci, prima come ballerino, poi come coreografo e direttore di compagnie prestigiose. Il suo viaggio inizia, giovanissimo, al Teatro alla Scala di Milano dove cresce artisticamente interpretando i brani di grandi maestri, da Roland Petit a George Balanchine, da Ailey a Neumeier, Cranko, Kylián e Béjart. Tra i suoi talenti, è quello della coreografia a prendere presto il sopravvento quando, durante la carriera di danzatore, inizia a creare nel suo teatro per la stella Roberto Bolle e per la Scuola di Ballo. Nel 2007 fonda una sua compagnia, Eliopoli, con cui debutta alla Biennale di Venezia, continuando poi a creare per grandi star del balletto: all’Arena di Verona per Eleonora Abbagnato, al Mariinsky per Ulyana Lopatkina e, su invito del Bolshoi, per Svetlana Zakharova e sei primi ballerini della compagnia russa. Nel 2010 il suo Immemoria debutta al Teatro alla Scala e, poco dopo, crea per il Ballet du Grand Thèâtre de Genève.
La nuova svolta è nel 2010 quando, a trentadue anni, viene nominato direttore della compagnia MaggioDanza, mantenendo la posizione fino al 2013. Terminata l’esperienza fiorentina si trasferisce all’estero, nel 2014, per prendere la direzione artistica del Royal New Zealand Ballet, dove potenzia il repertorio dell’ensemble e crea produzioni di successo. Nel 2018, affiancando Igor Yebra, diventa direttore associato del National Ballet of Uruguay (Ballet Nacional Sodre), dove crea una fruttuosa sinergia attiva ancora oggi. Nel 2020, anno della pandemia mondiale, fonda con Neil Christopher il Sydney Choreographic Centre, progetto dedicato alla formazione dei coreografi con una compagnia residente.
Abbiamo incontrato Francesco Ventriglia, all’inizio di questo 2023, in un’altra città del mondo, Dubai, dove ha debuttato con l’ultima creazione A Thousand Tales. Una grande produzione – SAMIT Event Group con il supporto di CMDI Events, Rotary Club UAE, Italian Cultural Institute of Abu Dhabi – che omaggia il balletto italiano. Al centro, le musiche di Alexey Shor, compositore ucraino oggi negli Stati Uniti, che con i suoi concerti per pianoforte ha dato il via alla creatività del coreografo per un balletto ispirato alle più celebri fiabe. Ecco cosa ci ha raccontato Francesco Ventriglia a proposito della recente creazione, tra riflessioni sulla sua carriera e programmi per il futuro.

In A Thousand Tales immagina di far interagire tra loro diversi personaggi di fiabe e balletti: è un’idea che aveva in mente dall’inizio oppure è nata in accordo con la casa di produzione?
L’idea del balletto è nata nel momento in cui ho ascoltato la musica. Il compositore, Alexey Shor, mi ha dato una “lista” di personaggi ai quali lui stesso si era ispirato per la scrittura musicale: nell’immediato, non sapevo bene come accostare figure e racconti così diversi tra loro. Ho scelto allora di scrivere una storia del tutto nuova facendo ruotare il racconto intorno alla ricerca della “scarpetta di Cenerentola”, pretesto per un viaggio dei personaggi e per l’azione coreografica. Scrivendo la “mia” fiaba, mi sono poi affezionato all’idea di creare questo balletto non solo con una grammatica accademica, ma anche con una modalità di produzione “artigianale”: un po’ come si faceva un tempo, con l’apposita ideazione e realizzazione di costumi, scene, libretto, musica… Tenendo presente di dovermi rivolgere ad un pubblico ampio, ho immaginato di creare un nuovo “balletto di repertorio”. Ho fortemente voluto costumi “fatti a mano”, disegnati appositamente da Roberta Guidi Di Bagno e, soprattutto, ho voluto invitare come protagonisti del balletto alcuni dei migliori ballerini italiani, stelle dei nostri teatri e nel mondo: Susanna Salvi e Alessio Rezza dall’Opera di Roma, Anna Chiara Amirante e Alessandro Staiano dal San Carlo di Napoli, Giada Rossi e Alessandro Riga dalla Compañía Nacional de Danza, accompagnati dal talentuoso spagnolo Mario Galindo e dai solisti e corpo di ballo del Ballet Nacional Sodre. È stato un lavoro impegnativo, ma anche molto divertente!

Come mai ha pensato proprio al Coniglio Bianco (ispirandosi al personaggio di Lewis Carroll) come “collante” delle diverse fiabe? 
Al di là della funzionalità drammaturgica del personaggio, ideale per mettere in relazione le diverse scene del balletto, devo ammetterlo, mi identifico un po’ con il personaggio… C’è di più: devo dire che questa creazione è arrivata in un momento personale difficile, di disequilibrio. Ho lasciato l’Italia tanti anni fa e mi manca molto. Forse anche per questo sentivo il bisogno, in questo preciso momento, di usare il mio lavoro come strumento per rimettermi in piedi. Durante lo studio dei personaggi mi sono “ritrovato” nel Coniglio Bianco, che corre continuamente ma finisce per essere in ritardo, ha sempre qualcosa da fare ma sembra non trovare mai un luogo. È un po’ lo specchio della mia giovinezza, rivedo me stesso dieci anni fa: sempre di corsa, senza nemmeno conoscermi fino in fondo. Ecco, questa produzione, artisticamente e personalmente, è come se mi avesse dato un’identità: sono andato in tante direzioni diverse nella mia vita e forse oggi, che sono più maturo e con alle spalle fallimenti importanti (ai quali sono affezionato come ai successi), sento di aver raggiunto una consapevolezza più forte, direi concreta. 

“Correndo” ha però raggiunto diversi obiettivi e città del mondo…
Sono stato fortunato, da una parte, perché le cose mi sono arrivate molto presto. Dall’altra, probabilmente, non sempre sono stato pronto per riceverle. O forse non tutti erano predisposti verso questa grande energia che mettevo nelle mie azioni. A volte ho avuto una forza dirompente che mi ha consentito di fare tante cose e, nello stesso tempo, mi ha fatto andare incontro a delle delusioni. Mi considero però una persona resiliente e la passione profonda per questo lavoro, che poi ha identificato tutta la mia vita, mi ha permesso di non fermarmi mai. Certo, dopo Firenze (e la direzione del MaggioDanza, ndr) è stato difficile perché pochi amici hanno continuato a sostenermi… Poi ho lasciato l’Italia e si è aperto un nuovo capitolo, in Nuova Zelanda e in Uruguay, con esperienze di direzione completamente diverse che negli anni mi hanno insegnato molto, come ad esempio la più corretta gestione economica di una compagnia o la programmazione artistica e la composizione di un team.

In A Thousand Tales utilizza uno stile prettamente classico: sta maturando in lei l’idea di “rifondare” il balletto e inventare un nuovo repertorio?
Il balletto è una forma d’arte immortale. Credo che le persone continuino ad amarlo per una ragione: desiderano ascoltare e vedere “grandi storie”. Forse in questo momento il valore “educativo” del teatro fa un po’ fatica ad imporsi perché c’è anche un diffuso bisogno di “scappare” dalla negatività del presente. Il balletto aiuta perché ha un doppio piano di lettura: permette di andare a fondo ad una tema o ad un sentimento senza che lo spettatore quasi se ne accorga… Ha un approccio “leggero”, piacevole, felice, ma ugualmente riesce a toccare più livelli e temi. Sono pochi, oggi, i coreografi che insistono sul balletto narrativo con vocabolario accademico perché sono più diffuse le creazioni brevi e astratte così come la ricerca nei linguaggi contemporanei (che personalmente apprezzo molto). Tornare alle grandi storie potrebbe essere una via da percorrere per “inventare” un nuovo balletto, che mantenga la struttura dei classici adattandola al mondo contemporaneo, il cui senso non è legato solo ad uno stile ma principalmente all’approccio e alla drammaturgia.

Desidera lanciare dei messaggi attraverso i suoi balletti?
Mi piace che le persone si portino a casa qualcosa, qualsiasi essa sia. A volte tendo a mettere un po’ troppo… però mi piace creare un luogo in cui sia possibile riconoscersi, come quando si legge un romanzo e si finisce per scegliere il personaggio a cui si sente di somigliare di più. Cerco sempre di guardare ai miei lavori con occhio critico e sono aperto a diversi giudizi, anche a quelli negativi, che possano portarmi a ripensare o rielaborare le mie creazioni. Spero sempre che le mie coreografie possano avere vita lunga, anche per poterle rimodellare con il tempo e con la giusta distanza… 

Ha già in mente nuove versioni per il suo ultimo balletto?
In generale penso sempre a dei cambiamenti, perché sono esigente verso me stesso e voglio perfezionare quello che faccio… Certo, in questa occasione ho avuto la possibilità di lavorare con ballerini straordinari: con alcuni di loro ho una storia antica (Susanna Salvi e Alessandro Riga hanno lavorato, giovanissimi, al MaggioDanza, ndr). Poi sono cresciuti e sono diventati étoile e primi ballerini: sono artisti che stimo profondamente e, soprattutto, persone a cui sono molto legato! La casa produttrice di A Thousand Tales immagina un’intensa tournée, per cui è possibile che lo spettacolo possa adattarsi a diverse città, teatri, occasioni… Tra l’altro anche la modalità di creazione è stata piuttosto innovativa: ho creato separatamente i diversi ruoli, spostandomi tra Madrid, Roma, Napoli per montare le parti dei principal, che poi hanno incontrato il corpo di ballo del Ballet Sodre a Dubai dove ho messo insieme l’intero disegno coreografico. Poteva essere un disastro e invece, come per magia, appena entrati in sala si è incastrato tutto nel modo in cui avevo immaginato!

C’è un suo spettacolo a cui si sente particolarmente legato?
Il prossimo! Ho scritto un soggetto in cui credo molto e che voglio realizzare: meno “fiabesco”, dal linguaggio classico ma dai temi contemporanei. Parlando del passato, voglio bene al mio Immemoria perché è stato creato per il “mio” teatro (Scala di Milano, ndr) e su una partitura importante (Dmítrij Šostakóvič), insieme a Il mare in catene che creai per la Biennale di Venezia e che mi aprì in un certo senso le porte della coreografia. Mi piacerebbe anche rimettere in scena Immemoria: cambierei tante cose e gli darei una vita nuova. Si lega un po’ al mio desiderio di rientrare in Italia: sono via dal 2013 e mi piacerebbe tornare, almeno in Europa. Per la coreografia, la direzione, per qualsiasi cosa bella possa accadere…

Cosa può dirci del suo attuale progetto artistico a Sidney?
Il Sydney Choreographic Centre intende fornire ai coreografi gli strumenti di cui hanno bisogno ancor prima di entrare in sala per creare un balletto. Non è propriamente una scuola, ma un centro di “approfondimento” di competenze coreografiche. Si parte dalla storia della danza, passando per la scrittura di una drammaturgia, l’elaborazione di un budget economico, la ricerca di sponsor, la comprensione di aspetti legali per contratti e diritti d’autore: conoscenze, insomma, creative ma anche tecniche.  Organizziamo corsi di lighting design e scenografia, ad esempio, anche per studiarne i termini specifici di base. Accanto naturalmente a corsi di composizione coreografica, laboratori in diversi stili (street dance, flamenco, tip tap, body percussion…), incontri con le comunità locali. All’interno del centro coreografico ho aperto poi un ensemble di sei/otto ballerini (a seconda del progetto) con cui presento i miei lavori, dando anche la possibilità ai coreografi del master di creare per il gruppo. Ho una collaborazione attiva con Riverside Theatres di Sydney, dove ho già presentato gli spettacoli Grimm e Galileo, che hanno avuto un bel successo. E poi c’è la meravigliosa Sylvie Guillem, che ha amato molto il progetto e oggi è la nostra international patron

La aspettiamo in Italia dunque?
Ne sarei felice... Mi piacerebbe tornare anche con una creazione o una bella tournée. E intanto: riapriamo i corpi di ballo! 

Su Sipario, la recensione di A Thousand Tales di Francesco Ventriglia

Ultima modifica il Giovedì, 16 Marzo 2023 13:20

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