venerdì, 29 marzo, 2024
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INTERVISTA A ELENA SOFIA RICCI - di Francesco Bettin

Elena Sofia Ricci. Foto Maddalena Petrosino Elena Sofia Ricci. Foto Maddalena Petrosino

Fiorentina di nascita, vincitrice di numerosi premi tra i quali tre David di Donatello e tre nastri d’argento (oltre che due Premi Flaiano per il teatro), attrice molto popolare e a dir poco eclettica Elena Sofia Ricci inizia presto sia in teatro che in cinema. La sua duttile predisposizione alla recitazione la fa subito lavorare in alcune produzioni interessanti diretta da registi come Pupi Avati, Luciano Odorisio, Carlo Verdone, Luigi Magni e ancora da Ozpetek e Sorrentino più recentemente, (alcuni dei premi vinti arrivano con film come “Mine vaganti” e “Loro”). Ha sempre alternato cinema, tv e teatro, in questo periodo è in tournèe con uno splendido spettacolo “La dolce ala della giovinezza” di Tennessee Williams, con regia, scene e costumi di Pier Luigi Pizzi, che sta ottenendo grandi successi nei teatri italiani. La sua interpretazione di Alexandra del Lago è ricca di sfumature, sensazioni, che la decretano ancora una volta interprete di forte personalità. 

Porta in scena Tennessee Williams per la terza volta… 
Si’, ed è la quinta donna, nello spettacolo “I Blues” infatti interpretavo tre personaggi femminili. 

Che personaggio è Alexandra Del Lago de “La dolce ala…”? Eroina? Antieroina? 
Né una né l’altra, è una disperata come tutte le figure di Williams, come tutti noi esseri umani, più o meno, che ci dibattiamo nella nostra esistenza facendo i conti con i propri demoni. Alexandra ha i suoi e uno di questi è il bisogno, tragico, del consenso del pubblico, l’applauso. Il bisogno di esistere e di rappresentarsi, che per lei è l’ossigeno. 

Secondo lei è un tema fondato, esistente, in chi fa teatro o spettacolo in genere? 
Le dirò di più. In questa epoca storica il problema non esiste solo per gli attori o chi fa spettacolo, è generazionale, pensi a tutti i ragazzi, all’utilizzo dei social e al bisogno che hanno di esistere su quelle piattaforme: è una patologia di questa epoca. 

Anticipatorio, Williams. 
Come tutti i grandi autori classici, da Euripide a Seneca, a Shakespeare, Moliére, Cechov, Goldoni. E poi  Pirandello, Miller, lo stesso Williams appunto, autori di classici che rimangono tali non casualmente, perché ci raccontano di esistenzialità che si evolvono e assumono forme diverse di comunicare il disagio. Il tema è quello. 

Come ha “costruito” assieme al regista Pier Luigi Pizzi il personaggio? 
Con Pizzi ci siamo molto divertiti, io soprattutto avevo già “frequentato” talmente tanto Williams, che è un autore che penso di conoscere abbastanza bene pur avendo indagato i suoi testi meno conosciuti. Ma è proprio per questo che ho voluto approfondirli, gli altri sono stati già molto rappresentati, invece penso che sia stato interessante portare in scena le commedie meno note. Anche perché qualche giro all’inferno della vita che lui racconta me lo sono fatto anch’io, nella mia personale esistenza, sono territori che, quindi, parzialmente conosco. 

Una nuova scommessa anche per lei, come ruolo? 
Quello di Alexandra Del Lago è una sfida che aspettavo da molti anni di poter fare: Lessi “La dolce ala della giovinezza” che ero una ragazza e non vedevo l’ora di essere abbastanza grande da poterla interpretare. Purtroppo in un certo senso quel tempo ora è arrivato (ride). Lei è un’attrice, come me che la interpreto, che non si sa bene quando reciti o quando sia vera, e soprattutto è lei stessa che non sa quando sta recitando e quando no e i piani si confondono a livello esistenziale. Un doppio salto mortale che per un’interprete è straordinario, una sfida troppo allettante per non poterla fare, l’asticella è proprio altissima. E a me piacciono le asticelle quando sono alte…

Uno spettacolo molto bello anche dal punto di vista dell’impatto scenografico, ambientale, registico. 
Lì, lo si sa, Pizzi, è straordinariamente bravo. 

Né Alexandra né Chance, il suo giovane amante, sono capaci di accettare che la bellezza e la giovinezza passano. Perché? 
Sono dei narcisisti patologici, come quasi tutti oggi. Ritorno al discorso di prima, alla forza e alla potenza dei social nell’imporre un’immagine di un certo tipo tanto che son stati creati una serie di filtri per renderci tutti uguali, dove vince l’estetica in generale, no? E’ una tragedia totale di questi anni. Questo spettacolo parla anche ai più giovani, quelli delle scuole che sono venuti a vederlo hanno tremato, perché hanno sentito battute che li riguardavano, anche se i social ovviamente non ci sono nella commedia. Ormai non basta nemmeno solo apparire rispetto all’essere ma avere un seguito, sennò non esisti, molto semplicemente. E’ una tragedia epocale, oltre che esistenziale. Non poter accettare il decadimento del corpo, il tempo che passa, la trasformazione e non riuscire a capire quanto invece può essere più interessante lasciare che la vita ti attraversi e lasci su di te dei segni precisi è qualcosa, oggi, di difficilissimo da poter sopportare. Anche se ogni tanto si prova a fare un’inversione di tendenza. 

Come, ad esempio? 
Guardi, io stessa nel mio piccolo nella fiction appena andata in onda, “Fiori sopra l’inferno”, ho voluto onorare in qualche modo il romanzo di Ilaria Tuti dove la protagonista tutto era fuorchè bella. Ho pregato il regista, il direttore della fotografia e la mia truccatrice di “peggiorarmi” quanto più possibile, di lasciare che si vedesse il segno del tempo passato, per essere una donna vera. 

Comunque la sua Alexandra a teatro riesce a conquistare gli spettatori, ne siamo certi. 
Sì, alla fine si empatizza con quel “mostro”, che poi è la cosa che noi attori cerchiamo di fare sempre, di riuscire a far si’ che il pubblico provi una certa comprensione del personaggio che portiamo in scena, sia che esso sia positivo, e allora è più facile naturalmente, che negativo, e lei lo è di sicuro. Appena lessi l’adattamento di Pizzi glielo dissi subito che volevo fare di quel personaggio il mostro che lei stessa dice di essere, e lui mi disse di sì, che dovevamo avere il coraggio di proporlo così.  Se si ha l’audacia di andare fino in fondo si vede che il personaggio negativo nasconde dentro sé una tragedia esistenziale. Se quella emerge il personaggio è umano, e lo si ama. Perchè ci si riconosce, qualche pezzo di Alexandra si nasconde dentro di noi. E anche qualche cosa di Chance, di tutti i personaggi della piéce, che sono personaggi straordinari e ci riguardano, ci piaccia o no. 

Parliamo di teatro in senso allargato ora, Elena. Si è finalmente riappropriato del suo ruolo, dei suoi spazi, dopo la pandemia ? 
Si’ certamente, molto meglio del cinema. D’altra parte l’esperienza del teatro la possiamo esperire solamente dal vivo, mentre il cinema ha cambiato il suo modo di essere seguito, tutti abbiamo un televisore più o meno grande in casa. I film stessi arrivano presto sulle piattaforme e i cinema non si riempiono, anche se l’esperienza condivisa con il pubblico in sala è sempre diversa da tutto ciò, è più bella, emozionante. Se si vuole invece vedere un attore, un testo, bisogna fisicamente andare a teatro, non si scampa. Il nostro è stato anche lo scorso anno il primo spettacolo che ha ripreso appena i teatri si sono riaperti con la capienza al cinquanta per cento, ma già allora il calore del pubblico ci faceva sembrare che fossero esauriti in tutti i posti. Rispetto allo scorso anno, poi, anche a quando si era riaperto con la massima capienza, quest’anno constato che i teatri sono strapieni. 

Ci si abitua a questi consensi, quando si ha tanta esperienza? 
No, è sempre una vittoria, niente è mai scontato, non ci si abitua mai. Ed è sempre un’emozione gigantesca per me. 

Dev’essere una bella cosa, un bel segnale per un artista, vuol dire che si rimane puri nella professione. 
Si’, e si rimane anche un po’ bambini. Poi, nel mio caso, dopo quarantadue anni di carriera, il pubblico si aspetta tanto da me. Ha imparato a volermi bene e io sento la responsabilità, il dovere, in qualche modo, di accontentarlo essendo quella che ho cercato di essere in tutto il mio percorso, sempre proponendo qualcosa di diverso, di diventare un’altra tutte le volte e non riproporre me stessa all’infinito. Questa è la mia peculiarità e quello che gli spettatori si aspettano da me, e allora la paura di tradirli, di non soddisfarli e di non essere all’altezza delle aspettative c’è sempre. 

Ultima cosa, Elena. Dopo tanti successi, continuerà sempre ad alternare teatro, cinema e televisione, a dividersi tra tutti e tre? 
Sempre. Finchè me lo consentiranno e sarà possibile. Io prediligo i progetti, i ruoli, mi piace anche fare lo slalom, sono una specialista.

Francesco Bettin

Ultima modifica il Mercoledì, 08 Marzo 2023 07:56

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