venerdì, 29 marzo, 2024
Sei qui: Home / Attualità / DAL MONDO / Interviste / INTERVISTA A ANDREA BERNARD - di Francesco Bettin

INTERVISTA A ANDREA BERNARD - di Francesco Bettin

Andrea Bernard. Foto Anna Cerrato Andrea Bernard. Foto Anna Cerrato

Regista, scenografo, curatore di allestimenti e giovane grande talento della scena internazionale, Andrea Bernard collabora inizialmente con nomi come Pier Luigi Pizzi, Damiano Michieletto, Julia Burbach e vince il prestigioso European Opera-directing Prize nel 2016 col progetto messo in scena a Parma l’anno dopo al Festival Verdi di Parma. Altre sue numerose direzioni sono anche di “Lucrezia Borgia” “Carmen”, “L’italiana in Algeri”, “La Cenerentola”, lavorando molto anche in campo internazionale, in teatri di grande importanza. Si occupa anche di prosa, col Teatro Stabile di Bolzano. Dopo l’allestimento della mostra” Palladio, Bassano e il ponte. Invenzione, storia, mito” nel 2021, ha curato un nuovo allestimento di una mostra in corso ora, a Vicenza, al Palladio Museum, “Acqua Terra Fuoco – Architettura industriale nel Veneto del Rinascimento”, e a marzo debutterà a Venezia, Teatro La Fenice, con “Ernani”. 

Lei ha iniziato collaborando subito con dei grandi, come Pier Luigi Pizzi, Damiano Michieletto. C’è un segreto per poter lavorare bene con professionisti ad alti livelli? 
Serve conoscere bene il mestiere e saper attuare le idee, non basta averle ma saper metterle in scena. Rendere comprensiva un’idea al pubblico, essere in grado di trasformare le proprie idee in concretezza trovo che sia sempre la cosa più complessa, e dai grandi professionisti si impara con forza. Bisogna saper coordinare molte persone, è più un lavoro di psicologia, la parte creativa viene sempre prima, dopo c’è la concretezza, il saper gestire. 

Il mondo musicale dell’opera lirica viene seguito dai giovanissimi? C’è qualche soluzione per avvicinarli di più? 
Guardi, l’opera lirica nasce come arte popolare, e solo nel Novecento è diventata qualcosa di “alto” perché era spesso sinonimo di borghesia, di grande evento teatrale dove si andava con lo smoking, abiti eleganti, lustrini. Questa cosa ha allontanato un po’ la gente, i giovani, e per quanto riguarda questi ultimi il nostro compito oggi è quello di riavvicinarli, e di ampliare comunque il pubblico che può ritrovare le storie, nella lirica. Un po’ come per la prosa del resto, Perche si fa ancora Shakespeare, Aristofane? Perché parlano ancora al pubblico di oggi. Semplicemente nell’opera si aggiunge la musica e a volte può essere un po’ difficile, lento da seguire. La differenza sta nella messa in scena, bisogna rendere accattivanti le storie. 

Si sbaglia qualche volta, danneggiandola? 
Sì, l’errore che si fa spesso è quello di essere legati al fatto di non poter toccare niente, rimanendo “ingessati” ma come ho detto è importante come la storia venga raccontata, va fatto un certo lavoro di comunicazione e delle scelte artistiche interessanti. Spesso infatti se ne vedono molto vecchie, polverose. Ovvio è che non possiamo pretendere per le nuove generazioni di diventare arte come è il mondo dei social, Tik Tok, Instagram. Ma a volte vengono fatti interventi che rendono l’opera forse un po’ toppo facile, oppure si vuol dare un’immagine di quello che non è. Se si fa la lirica in un supermercato non vuol dire che questo avvicini per forza i giovani. 

La scuola italiana riesce a tramandare la passione per la cultura, quindi anche per la musica, il teatro? 
Bella domanda. Per avvicinare i giovani e il pubblico di oggi e del futuro serve l’istruzione. E’ una mancanza che c’è già nelle scuole del’infanzia, dove spesso bisogna sottostare a dei programmi scolastici molto rigidi che hanno una bassissima considerazione di quello che è il lato più legato allo spettacolo. Far suonare il flauto a scuola non è secondo me il metodo per insegnare musica e per avvicinare ad essa le persone. Stessa cosa vale per il teatro. Per esempio io lavoro con lo Stabile di Bolzano che negli ultimi anni sta facendo un grandissimo lavoro all’interno delle scuole, con laboratori, spettacoli. Un grande intervento culturale è alla base per formare il pubblico non solo del futuro, ma anche del presente. Bisogna creare interesse e curiosità. 

Delle sue prestigiose collaborazioni cosa le resta dentro? 
Pierluigi Pizzi
è stato un grandissimo maestro, collaborando con lui come assistente ho vissuto dei bellissimi anni. Ho girato il mondo, mi ha insegnato il mestiere, mi ha trasmesso la sua cultura e mi è rimasto tutto, nella mente e nel cuore. Lo sento ancora spesso, ci sono stati grandi momenti di scambio. E’ sempre stato capace di comprendere i tempi, le proprie capacità, cose che mi hanno affascinato. E con Damiano Michieletto lo stesso, con il fatto che ha portato un nuovo linguaggio all’interno del teatro italiano, dell’opera soprattutto. Abbiamo un modo molto simile di pensare, mi trovo molto bene con lui, pur avendo uno stile in qualche modo diverso. 

Come vede la situazione dello spettacolo oggi? 
La prosa la vedo in un momento di stallo, siamo in un periodo abbastanza complesso a livelllo di finanze, pubblico, idee. Ma non voglio generalizzare, ci sono delle realtà interessanti. In generale l’arte italiana, le mostre stesse, spesso ormai devono rivolgersi ai grandi nomi per fare numero, e questa cosa va a discapito della ricerca di nuovi testi, di autori e attori un po’ meno conosciuti ma lo stesso bravi. Colpa soprattutto della mancanza di finanza ma anche dei tempi che corrono, il Coronavirus ha più allontanato che vicinato, L’opera lirica invece ha cercato in questi ultimi anni di aprirsi, trovo che abbia ancora molto da dire, c’è un gran fermento intorno. Si sono organizzati molti festival, c’è stato un cambio generazionale anche nelle direzioni artistiche, anche se è vero che qualche volta manca un po’ il coraggio, sui titoli si deve andare sul sicuro per portare il pubblico a teatro. Un problema italiano, dall’altra parte capisco che il teatro si sostiene anche attraverso lo sbigliettamento…

La politica aiuta il sistema teatrale? 
Pur non essendo in grado di poter fare un discorso politico e giudicare più di tanto, mi sembra che non è molto aiutato. Quello che si discute, alla fine, è sempre il punto di vita economico, giustamente. La politica dovrebbe anch’essa a volte avere un po’ più di visione e coraggio e capire che la cultura non dev’essere per forza paragonata a una grande azienda che deve solo fatturare, dev’essere piuttosto un investimento a lungo termine. Ma non mi addentro oltre, in cose che non conosco così bene. 

Parliamo del suo allestimento della mostra vicentina “Acqua Terra Fuoco”, al Palladio Museum, curata da Deborah Howard, in corso fino al 12 marzo. 
Sono molto contento del successo che sta ottenendo e con Guido Beltramini, direttore del Palladio Museum è stato un amore a prima vista, ci siamo conosciuti a Bassano e ha subito apprezzato l’allestimento che avevo creato per la mostra precedente: la differenza sta nel come si raccontano le cose, con i personaggi, le storie, le immagini. In qualche modo ho cercato di fare lo stesso nell’allestimento della mostra a Vicenza, trovando dei legami eleganti che possano portare in quel mondo specifico, utilizzando gli oggetti, le opere esposte e inserirle in un contesto che faccia apprezzare a tutto tondo il tema della mostra. 

Un’altra sua sfida. 
Con Vicenza la sfida è stata questa, l’industria nel periodo di Palladio non era un argomento facile da raccontare e questo è stato il mio compito, rendere più facile da comprendere con l’allestimento il tema, per portare lo spettatore nel racconto. Questo, attraverso alcune scelte estetiche, cercando di trovare dei modi alternativi. Invece dei soliti cubi e delle vetrine, ad esempio, ho concepito una rete che funge da filo conduttore e ricordi quel periodo, quelle inventive. Insieme poi a dei momenti più installattivi pensati per essere più empatici ed emozionali, per gli oggetti contadini, le cose esposte. Anche l’arte museale deve parlare al pubblico di oggi. 

A proposito di sfide ne ha già un’altra in mente? 
Sono due a dire il vero. In teatro, come regista, debutterò alla Fenice di Venezia a marzo con l’”Ernani” di Verdi, un mio grandissimo orgoglio. Quindi, il 6 aprile inaugureremo un’altra mostra a Vicenza, sempre al Palladio Museum, “Raffaello. Nato architetto”, e ci sarà modo di dover raccontare un’altra storia particolare. Poi ho dei progetti con il Teatro Stabile di Bolzano. Ho un bell’anno pieno, decisamente.

Francesco Bettin

Ultima modifica il Domenica, 05 Febbraio 2023 22:36

Iscriviti a Sipario Theatre Club

Il primo e unico Theatre Club italiano che ti dà diritto a ricevere importanti sconti, riservati in esclusiva ai suoi iscritti. L'iscrizione a Sipario Theatre Club è gratuita!

About Us

Abbiamo sempre scritto di teatro: sulla carta, dal 1946, sul web, dal 1997, con l'unico scopo di fare e dare cultura. Leggi la nostra storia

Get in touch

  • SIPARIO via Garigliano 8, 20159 Milano MI, Italy
  • +39 02 31055088

Questo sito utilizza cookie propri e si riserva di utilizzare anche cookie di terze parti per garantire la funzionalità del sito e per tenere conto delle scelte di navigazione. Per maggiori dettagli e sapere come negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie è possibile consultare la cookie policy. Accedendo a un qualunque elemento sottostante questo banner si acconsente all'uso dei cookie.

Per saperne di più clicca qui.