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INTERVISTA A PIERGIORGIO FASOLO - di Francesco Bettin

Piergiorgio Fasolo Piergiorgio Fasolo

Ha finito da poco a teatro “Il mercante di Venezia” che lo ha visto tra i protagonisti accanto a Franco Branciaroli, in una commedia che ha riscontrato ottimi consensi di pubblica e critica, firmata da Paolo Valerio alla regia. Piergiorgio Fasolo nasce nell’entroterra veneziano e si forma al Teatro a L’Avogaria diretto da Giovanni Poli, lavorando ben presto con maestri indiscussi tra i quali Giorgio Strehler, Giulio Bosetti, Castri, Luca De Fusco, Calenda, Maurizio Scaparro, Luigi Squarzina. Anche in quest’ultimo lavoro di Shakespeare, con la sua interpretazione di Antonio, il mercante veneziano appunto, ha offerto un’interpretazione potente, di grande esperienza. Un gran bravo attore, Fasolo, di quelli puri, d’essenza.

Tanto teatro nella tua vita Piergiorgio. Una scelta, un privilegio?
Ho iniziato col teatro e ne ho fatto tanto e qualche excursus in televisione l’ho fatto, il punto è che bisogna dedicarsi pienamente all’espressione artistica che si sceglie. Lavorando molto coi teatri stabili non ho mai avuto modo, anche se ne avrei avuto piacere, di fare cinema e televisione anche se personalmente penso di non essere molto adatto a questi mezzi, credo che bisogna avere determinate caratteristiche. E poi sul palco mi sento proprio a mio agio, come fossi a casa.

Una grande passione, forte?
Credo di essere un po’ una bestiolina teatrale, come recitazione, più portato a quello. Anche la faccia poi ha la sua importanza, alcune sono più adatte altre meno, al cinema e alla tv.

Da giovane attore, ma anche ora, hai sempre avuto un bell’aspetto. La cosa rischiava di tramutarti in un belloccio, talento a parte naturalmente?
Io in particolare pensavo solo di diventare un bravo attore, un po’ come tutta la mia generazione, era la mia vera aspirazione. Credo che le cose nel tempo siano cambiate da parte dei giovani attori, perché è sempre più difficile fare questo mestiere. Io ho sempre lavorato tanto, otto, nove mesi l’anno, adesso mi sembra molto più difficile quindi bisogna arrangiarsi a trovare anche altre strade per sopravvivere, come quella della televisione, in particolar modo una scorciatoia per certi attori. Non mancandomi mai il lavoro sono andato avanti per la strada teatrale, non pensando molto al resto. Oggi è comunque cambiato tutto, non so se sia meglio o peggio.

Quindi pensi anche tu come molti che il teatro sta finendo?
Ecco, questo no. Penso che ci sarà una svolta, certo il teatro ora ha grandi difficoltà, anche di ricambio generazionale. Pensa ai registi, ai nomi che c’erano, i grandi. Adesso chi c’è? Qualcuno, pochissimi. E’ un momento di transizione, secondo me, e passerà.

Che ricordi ti porti dentro del Teatro a L’Avogaria, di Giovanni Poli, di Strehler?
Il ricordo di Giovanni Poli è di grande stima e grande affetto, lui mi ha dato delle basi che mi son servite tantissimo nella professione. La commedia dell’arte, il muoversi in scena, l’impostazione della voce me le ha insegnate tutte lui e lo ringrazierò sempre. Il primo provino lo feci con Strehler per “Il campiello”, era il 1972 e stavo facendo ancora la scuola di teatro dell’Avogaria.

Una grande scuola, grandi insegnamenti dunque.
Certamente, e Strehler mi prese subito, sono stato l’unico veneziano. Poi con lui feci anche “Arlecchino servitore di due padroni”. La mia storia teatrale è partita da lì, fu l’unico provino della mia vita, e da lì in poi non mi sono mai fermato.

Che situazione vivono oggi i giovani attori?
Completamente diversa, non c’è confronto. Forse anni fa c’era più lavoro, forse eravamo meno ma si lavorava. Oggi anche il contratto sindacale, per esempio, non viene neanche più rispettato, è peggiorato tantissimo e per questi poveri ragazzi cercare di portarsi a casa 120 giornate lavorative l’anno si fa fatica.

Non lo consiglieresti allora come lavoro?
E’ diventato difficile lavorare ovunque, non solo in questo settore se è per quello. Certo, in questo devi avere una grande passione, direi a chi volesse provarci di valutare bene perché è molto faticoso, ma se sentisse di doverlo fare davvero, con convinzione, gli direi di coltivarlo.

Hai appena terminato di interpretare Antonio nel “Mercante di Venezia”. Un testo sempre attuale?
Penso che abbia una modernità non da poco. E’ sempre stato considerato un testo antisemita, ma io non sono d’accordo su questo, Shylock diventa cristiano per soldi, il Bardo dall’alto della sua genialità infinita penso abbia fatto una critica anche alla cristianità. Lo stesso Antonio non è un personaggio così simpatico al pubblico. E’ una prosa che rimane immortale come tutto il teatro di Shakespeare, sono testi che non muoiono. Antonio si dona molto nei confronti di Bassanio, e io, da parte mia, non ho voluto fare una persona depressa ma piuttosto combattiva, mettendoci soprattutto della rabbia.

Lasciamo il Covid alle spalle, ormai sembra. Cosa ci ha lasciato umanamente? Come ha condizionato professionalmente gli artisti?
Quel periodo è stato molto duro, l’ambiente del teatro, della musica è stato molto tartassato, io stesso avevo pensato di smettere, del resto le tournèe cominciano un po’ a pesarmi. Il teatro per me dev’essere anche divertimento mentre adesso è tutto diventato più monacale, viene fatto con fatica. Ma così non va bene.

L’esperienza cosa ti consiglia oggi?
Ad esempio che un tempo ci si divertiva molto anche quando si finiva, a cena,, si stava fuori e si faceva festa, si rideva molto di più. E anche che con lo Stabile del Veneto, prima Venetoteatro, con cui ho fatto in tutto trentacinque spettacoli, adesso sarebbe bello far parte di progetti di insegnamento, di riconoscenza, fare un teatro davvero stabile visto il gran patrimonio veneziano, Goldoni e tutto l’Ottocento veneto ad esempio. Invece si pensa agli eventi importanti e non a puntare sul patrimonio che si ha, peccato. In questo modo va via anche la voglia di fare certe volte. Ma io, ripeto, son fortunato, scelgo solo personaggi che mi interessano.

Cosa sarebbe il mondo senza il teatro, ipoteticamente?
Non so se sia giusto o sbagliato ma io penso che solamente la bellezza possa portare l’uomo a un livello più alto. Se si vuole avere una vita migliore bisogna alzare il proprio stato mentale, l’intelligenza, e il teatro, la danza, l’arte lo fanno. Solo così si può sopperire a tantissime cose non buone che ci circondano. Se leviamo al mondo la bellezza sono guai…

Francesco Bettin

Ultima modifica il Lunedì, 23 Gennaio 2023 23:45

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