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INTERVISTA a PAOLA MINACCIONI - di Francesco Bettin

Paola Minaccioni. Foto Marco Rossi Paola Minaccioni. Foto Marco Rossi

Impegnata in questo periodo ne “L’attesa” di Remo Binosi, nel ruolo di Rosa (assieme a Anna Foglietta, con la regia di Michela Cescon), Paola Minaccioni è un’attrice attiva su vari fronti, dal teatro al cinema, alla radio, alla televisione, tutti luoghi dove mette passione e istinto, quel “giocare” chiamato recitazione che racconta di altre vite e storie diverse eppure uguali tra loro. Interprete di numerose commedie firmate Ozpetek, Salemme, Verdone, Vanzina, Paola Minaccioni è molto popolare, grazie ai personaggi costruiti e interpretati nel tempo. L’abbiamo incontrata a Treviso, in camerino, prima di una recita del suo ultimo spettacolo, coprodotto da Teatro di Dioniso e Teatro Stabile del Veneto.

Sei in scena con “L’attesa” di Remo Binosi. Ce ne vuoi parlare?
A mio parere il testo di Binosi è ottimo, un grande lavoro di drammaturgia contemporanea, e lo spettacolo ha un impianto strutturale che tiene l’attenzione del pubblico fino alla fine. Un elemento importantissimo secondo me, per la fase che stiamo vivendo, di una ripartenza. Mi sembra un’operazione perfetta per far rivivere il teatro come esperienza, per attirare le persone nelle sale. E’ un testo alto che riflette su temi molto profondi, la maternità, l’amicizia, le differenze sociali e ancora la vita, la morte, la libertà, l’identità, il ruolo della donna.

Il tuo ruolo?
Io interpreto Rosa, una servetta veneta di umili origini condannata a essere tale per tutta la vita, anche lei come Cornelia, che è Anna Foglietta, porta avanti una gravidanza non desiderata e come Cornelia deve nasconderla. Entrambe abbiamo questa “colpa” da scontare. Una delle cose più efficaci del personaggio è che è attaccata al momento presente, porta dentro una grande saggezza che nasce dalla sua condizione, l’impossibilità di immaginare un futuro migliore la fa diventare un animale che rosica il momento, pur nella sua poesia. E’ un personaggio magnifico, che dà la possibilità di interpretare tante facce di una stessa persona.

Un personaggio un po’ diverso da quelli brillanti che spesso ti identificano?
Il mio percorso è stato molto variegato, ho sempre proceduto a zig zag. All’inizio non sapevo bene cosa volessi fare, qual era la strada più giusta per me e poi è diventata la cifra della mia vita da attrice, che mi ha regalato tanto perché non mi sono annoiata. E’ anche impegnativo e forse si è più difficilmente identificabile, si fa più fatica a volte a essere compresi, accettati, certe volte la cosa non viene vista bene. Io invece amo molto spaziare. “L’attesa” per me è stata anche quella di un incontro che è avvenuto adesso, con un progetto teatrale giusto, con delle donne amiche, persone che stimo e quindi ci sono vari elementi che mi rendono soddisfatta del progetto.

Ti stai affermando sempre più come attrice su tutti i fronti: cos’è importante di più, una certa caparbietà?
Sinceramente faccio un po’ fatica a pensare, e a dire di essere affermata, di aver fatto fatto delle belle cose. Da una parte è un mio difetto e dall’altra invece di questo sono contenta. E’ una condizione fanciullesca che vedevo sempre in quelli che ho amato come Piera Degli Esposti, nei grandi attori teatrali. Ho sempre amato le persone che avevano questa delicatezza, questo stupore su se stessi, che sembravano quasi inafferrabili.

Sei certamente un’attrice popolare e amata.
Il bello non è infatti solo essere famosi, è il modo in cui le persone ti amano, ti fermano, è il tipo di affetto che ti viene dato, la riconoscenza. Noi avevamo dei grandi che ci insegnavano, io ho studiato molto e mi sono impegnata su diversi fronti perché mi piaceva. In Italia siamo pronti per avere questo generi di percorsi, c’è bisogno di questo, di fare le cose per il pubblico e farle con amore.

Il rapporto col successo che hai come lo vivi?
Benissimo, per me è una soddisfazione gigantesca, amo il successo, amo le persone. Tutti noi abbamo superato delle fatiche, dei limiti personali, del sistema. Alla fine devi essere molto intelligente, metodico, avere grande fortuna. E bravo in tutto, anche nelle relazioni, il nostro è un lavoro totalizzante per cui bisogna lavorare su se stessi 24 ore al giorno, tutta la vita. Che poi è la tua ricerca, perché quando interpreti i ruoli ti sei fatto il bagaglio. Poi non c’è un motivo se uno ce la fa a diventare popolare, noto, o no.

E’ un lavoro che consiglieresti di fare?
Consiglierei a tutti di fare una ricerca su se stessi il più possibile libera. Ora sono in tanti che vogliono fare l’attore, e sono sicura che ci sono tanti giovani che non sanno che ci sono delle vite bellissime di approfondimento, di lavoro. A causa dei social molte persone sviluppano dei desideri che non sono i loro, che li portano a una vita di frustrazione, lontani dalla loro natura. Bisognerebbe riflettere molto bene prima di scegliere cosa fare nella propria vita. Fare l’attore, ripeto, è totalizzante, faticosissimo, serve lavorare sul proprio carattere, sul corpo, essere in grado di avere relazioni, magari rinunciare a una famiglia o tenerla con fatica, e i giovani non lo sanno questo, pensano che basta fare una fiction e si è attori. C’è stato tutto un condizionamento culturale che viene dalla televisione che glielo ha fatto credere.

Adrenalina, paura di sbagliare in scena si sentono sempre anche dopo anni di carriera. E come convivono?
Si’, esistono, e sono una forza. Io non vorrei rinunciare né all’adrenalina né alla paura di sbagliare. Chiaramente, poi, addosso si ha l’esperienza, che conta. Per fortuna anch’io c’ho i miei mattoncini che mi rendono molto libera sul palco, tanto che mi sento a casa quando sono su quelle tavole. Quando recito non ho paura perché sul palcoscenico so chi sono, chi è il personaggio. Anche se pensi cosa farai, cosa succederà, quali saranno gli intoppi li conosci già. La vita è piena di domande, in palcoscenico le risposte le hai già trovate tutte.

Qualche ruolo che prediligi particolarmente?
Solo quelli scritti bene.

Torniamo a “L’attesa”. In questa prima parte della tournée come vi segue il pubblico?
Benissimo, sembra che ci stia spiando, a volte commenta, si muovono sulla sedia, sono presi dalla storia. E’ un testo che ha la grazia di raccontare, ad esempio, anche la sessualità in modo dirompente, anticonvenzionale, ed è bellissimo capire le reazioni.

Un sogno nel cassetto di Paola Minaccioni?
Sicuramente fare un mio film, da regista. Spero succeda presto.

Il ruolo dell’attore nella società italiana oggi?
Sono sicura che abbiamo tutti i mezzi, le strutture, i teatri per fare come in Inghilterra, dove il teatro è la terza industria dell’economia. Il teatro è vivo, è vita ma ricasca sempre su di noi attori, sui produttori, gente che resiste. Andrebbe certamente strutturato, pensato come industria, e bisognerebbe cambiare il concetto su di esso, che non è una cosa da subire ma una rappresentazione di noi stessi.

Ma c’è una ricetta per poter arrivare a questo?
No, non c’è, o meglio, bisogna continuare a combattere, aprire gli schemi mentali, bisogna cominciare a lavorare aprendosi un po’, che non significa abbassare il livello ma arrivare a più persone. Quindi averne ancora più cura dando importanza al lavoro sociale, renderlo un fenomeno anche di massa il più possibile E’ un processo molto lungo ma bisogna farlo, non si può rinunciare.

Progetti futuri?
Il 13 aprile esce la serie di Ferzan Ozpetek “Le fate ignoranti” su Disney+, dove son protagonista insieme ad altri attori. Poi mi sono lasciata un po’ più di spazio proprio perché non desidero fare progetti cinematografici che non mi soddisfano o che non mi danno dei ruoli dove non mi vedo. Mi sono presa un tempo per scegliere cosa fare, ho delle cose che devo capire come si svilupperanno. Una delle mie isole felici è comunque la radio con Marco Presta e Antonello Dose, con i miei personaggi ne “Il ruggito del coniglio”. Riesci a entrare nella testa delle persone, è un mezzo potentissimo. Mi dà grande soddisfazione.

Francesco Bettin

Ultima modifica il Mercoledì, 16 Marzo 2022 00:03

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