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SIPARIO RECENSIONI: Spinella Federica

Menzionato Prosa - Federica Spinella

L'Avaro - regia Arturo Cirillo
Karenina - prove aperte di infelicità - regia G. Bertolucci
Attraverso il furore - regia Massimiliano Civica

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L'Avaro
Karenina - prove aperte di infelicità
Attraverso il furore

L'Avaro di Molière (traduzione di Cesare Garboli)
regia: Arturo Cirillo
con: Arturo Cirillo, Michelangelo Dalisi Monica Piseddu, Luciano Saltarelli, Antonella Romano, Salvatore Caruso,
Sabrina Scuccimarra, Vincenzo Nemolato, Rosario Giglio
scene: Dario Gessati, costumi: Gianluca Falaschi, disegno luci: Badar Farok, musiche: Francesco De Melis
costumi dipinti da Silvia Fantini
produzione: Teatro Stabile di Napoli, Teatro Stabile delle Marche
visto il 17 marzo 2012 al Teatro India

La scatola scenica dell'Avaro di Cirillo

Una macchina scenica ingegnosa e ben funzionante quella realizzata per la messa in scena dell'Avaro di Molière per la regia di Arturo Cirillo. La scenografia è costituita da uno spazio chiuso e scarno che, grazie ad una fuga prospettica di quadrati mobili, diventa una sorta di scatola magica in cui, figurine leggere e ben dipinte, i personaggi entrano ed escono come in sogno. Questa sensazione di realtà sospesa e quasi addormentata è resa anche grazie all'aiuto di una musica dolce che accompagna e scandisce ogni cambio di scena e ci rinchiude in una sorta di incantato carillon.
Il ritmo serrato e ben tenuto per tutta la durata della rappresentazione, la recitazione degli attori, di un uniforme buon livello, i cambi di scena che scivolano così bene gli uni sugli altri, ci danno l'impressione di trovarci di fronte ad un marchingegno perfettamente strutturato in cui l'artificio non distoglie dall'incanto, ma ne costituisce al contrario parte integrante. Anche in questo senso si
può dire che la messa in scena sia fedele alla commedia di Molière, non solo perché fedelmente ne
riproduce il testo, nella bella traduzione di Cesare Garboli, ma perché sfrutta e rispecchia quel felice gioco di incastri di cui questo classico è costituito. La fedeltà insomma è teatrale oltre che letteraria, e in questo spettacolo nulla si perde dei sedimenti della Commedia dell'Arte, né della tradizione colta che su questa si è innestata, resa classica anche grazie al genio di Molière.
Ciò non vuol dire che l'aderenza alla tradizione impedisca a Cirillo di regalarci delle interessanti trovate registiche, dei momenti particolarmente felici in cui il senso del ritmo pare perfettamente sposarsi con un'improvvisa immobilità plastica. Molto bello è ad esempio il momento in cui Arpagone, ben interpretato dallo stesso Cirillo, dopo esser stato derubato del suo tesoro, dà vita ad un delirio ridicolo e disperato che termina con l'ingresso in scena di tutti gli altri attori, fermi sul piano mobile del quadrato, che lo guardano in una posa statuaria da giudicante coro greco.
Di fronte a tante riscritture sbarazzine dei nostri classici, di tragedie universali che vengono rese quotidiane e piccole per puro gusto della contingenza, questa regia di Cirillo ci dimostra come in fondo un classico ci sia sempre contemporaneo, e senza sforzo. Insieme contemporaneo e inattuale.
I difficili amori dei giovani ostacolati dai vecchi, le ruffiane con il loro fascino un po' maleodorante, la rappresentazione esasperata e sopra le righe dei vizi (dell'avarizia, ovviamente, in questo caso), nonché i felici e scontati scioglimenti finali, paiono ancora perfettamente in grado di dare vita ad un puro e sano divertissement, lasciando che il pubblico possa godere di una leggerezza raffinata e mai superficiale.

Federica Spinella (Fonte: Krapp's Last Post - www.klpteatro.it)

Karenina - prove aperte di infelicità da Lev Tolstoj
di Sonia Bergamasco e Emanuele Trevi
regia Giuseppe Bertolucci
con Sonia Bergamasco
produzione: Teatro Franco Parenti - Sonia Bergamasco
Visto il 14 aprile all'India.

Anna Karenina prima del capolavoro: le prove di infelicità di Sonia Bergamasco

Anna Karenina prima di diventare un capolavoro, colta allo stato di semplice abbozzo, figura sfuggente e indefinita che non ha ancora trovato il proprio nome, non ha neppure un volto, ma solo un braccio, un braccio bianco e bellissimo che inizia ad ossessionare l'autore. In Anna Karenina: prove aperte di infelicità, andato in scena nei giorni scorsi al Teatro India di Roma, il lento processo di costituzione del personaggio viene ripercorso attraverso le diverse stesure dell'opera, le note conservate nei quaderni di Tolstoj, le testimonianze della moglie e alcune lettere private. Così questo spettacolo, scritto da Emanuele Trevi e Sonia Bergamasco, per la regia di Giuseppe Bertolucci, non vuole porsi né come una riscrittura né tantomeno come un adattamento del grande romanzo di Tolstoj, ma come una ricerca, una prova aperta.
Tutti gli altri personaggi della complessa trama svaniscono, resta solo la protagonista, evocata più che interpretata dalla stessa Sonia Bergamasco. Un pianoforte a coda posto al centro di un palco quasi completamente vuoto diviene nel corso dello spettacolo uno strumento scenico essenziale; oltre a suonarvi alcune note di una marcia funebre di Caikovski, l'attrice vi girerà intorno, ci si sdraierà sopra e alla fine vi entrerà dentro, trasformandolo in una sorta di grande sarcofago nero. La regia di Giuseppe Bertolucci è essenziale, semplice il gioco di luci, non sufficientemente fluido forse il passaggio in cui dalle tracce di Anna Karenina si arriva al momento in cui il personaggio trova, nella scena del lungo monologo finale, il suo tono e il suo corpo definito. Si percepisce dietro la costruzione dello spettacolo una cura filologica attenta e appassionata, ma l'impressione finale è che, nonostante le numerose piste seguite, il capolavoro sia stato solo evocato e mai colto. Sembra uno spettacolo dedicato ad Anna Karenina nella paradossale assenza di Anna Karenina. Resta tutta la distanza impalpabile e incolmabile che separa un capolavoro dal suo abbozzo. Distanza che non viene colmata neppure nel finale, nella scena del lungo delirio della protagonista che precede il suicidio; scena lunga, estenuata, articolata su un crescendo esasperato di toni, e in cui pur qualcosa continua a mancare. La bravura di Sonia Bergamasco non concede crepe alla sua interpretazione, non regala un cedimento al suo personaggio, che così non trova mai un momento di debolezza veramente umano. Manca quella semplicità eroica e disarmata che costituisce forse la grandezza di Anna Karenina e che permette di amarla pur all'interno di tutte le sue contraddizioni irredente. È come se qui non vi fosse nulla di inerme. È possibile che una sensualità, e una femminilità, meno rabbiosa e animale, ma più morbida e imperfetta, avrebbe restituito a questa Karenina la verità, l'umanità e la grandezza che le sono proprie e che qui sembrano mancare.

Federica Spinella (Fonte: Krapp's Last Post - www.klpteatro.it)

Attraverso il furore "Tre sermoni tedeschi" di Meister Eckhart
"Tre storie" di Armando Pirozzi
uno spettacolo di Massimiliano Civica
con Valentina Curatoli, Marcello Sambati, Diego Sepe
costumi Grazia Materia per Viola
si ringrazia il professor Marco Vannini
produzione: Armunia/Festival Inequilibrio Castiglioncello, Compagnia Massimiliano Civica
visto al Teatro India il 3 marzo 2012

Il furore, la mutevolezza, la quiete. La danza immobile di Civica

Più che uno spettacolo, paradossalmente una danza, ferma, articolata su una perfetta partitura di corpi e di parole. Lo scenario è rigido, austero. Un grande tavolo di legno e tre sedie su cui gli attori andranno a sedersi e su cui resteranno per tutto il tempo della rappresentazione come intrappolati.
Tutto è statico, eppure l'impressione complessiva è di una grande levità, come se questi corpi fossero attraversati da un'irrefrenabile mutevolezza, fremente e umana. Le parole di Meister Eckhart non possono nulla su questa mutevolezza in cui non può esservi quiete, eppure questo non impedisce loro di risuonare.
"Attraverso il furore", per la regia di Massimiliano Civica, si articola su una serie di contrasti e ci presenta una scissione insieme dolorosa e soave. I dialoghi fra un uomo e una donna, scritti da Armando Pirozzi, rispondono ai sermoni di Eckhart come la mutevolezza risponde alla quiete, l'incostanza alla grazia. Il contrasto avviene per una sorta di contrappunto musicale e si anima attraverso una danza sopita dei corpi. Si rivela forse alla fine impossibile "traversare il furore dell'incostanza delle cose transitorie", perché l'uomo e la donna che ci vengono presentati sono e restano dei derelitti, impossibile per loro dirsi addio, o provare ad andare a morire. Nelle loro voci spezzate, nella semplicità del tono e della forma, non può però fare a meno di manifestarsi una fragilità lirica, anche se inerme e subito pronta a perdersi e a svanire.
Sul volto della donna, interpretata da Valentina Curatoli, scorrono emozioni contrastanti, che prima di cadere hanno il tempo di fermarsi in una posa esterrefatta. Le posizioni in cui il suo corpo seduto sa adagiarsi acquisiscono una grazia immateriale, i piedi nudi sotto al tavolo più di tutto il resto sanno danzare fermi e davvero danno luogo ad un'inebriante coreografia muta. Ma tutto danza, le mani, il collo, i capelli. A questa danza solitaria a tratti va ad unirsi quella dell'uomo, e i movimenti delle teste iniziano a rispondersi in una simmetria sempre più scoperta, che è precisa senza mai perdersi in un vuoto estetismo. Il volto di lui, Diego Sepe, appare come un controcanto immobile all'esasperante mutevolezza di lei, nulla sembra attraversarlo, se non alla fine, e passando per gli occhi. Le loro voci e il loro difficile scambio, che avviene senza mai guardarsi, ci presentano un dolore quotidiano, che viene però sublimato dal contrasto con la quiete che emana dalle parole di Eckhart, lette con cadenza liturgica, a volte ipnotica, da Marcello Sambati.
È possibile alla fine che il furore non sia stato veramente attraversato, perché tutto resta nella mutevolezza, "sia essa dissimulazione, collera, tristezza", e in fondo sappiamo che non avrebbe potuto essere altrimenti; ma questo controcanto sacro trasfigura le impossibilità dell'uomo e della donna e dona loro una fragile assolutezza. Quella dell'arte, forse.

Federica Spinella (Fonte: Krapp's Last Post - www.klpteatro.it)

Letto 7308 volte Ultima modifica il Lunedì, 29 Ottobre 2012 18:27
La Redazione

Questo articolo è stato scritto da uno dei collaboratori di Sipario.it. Se hai suggerimenti o commenti scrivi a comunicazione@sipario.it.

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