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SIPARIO RECENSIONI: De Grazia Enrico

Menzionato Prosa - Enrico De Grazia

Boom a Spazio Teatro
Quando il teatro è fatto con la mimica
Solo due passi per l'amore

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Boom a Spazio Teatro
Quando il teatro è fatto con la mimica
Solo due passi per l'amore

La stagione per ragazzi conquista. Per I racconti dell'aviatore posti insufficienti
Boom a Spazio Teatro
Tramontana: «Non pretendiamo fondi ma attenzione»

SpazioTeatro allarga i propri orizzonti e lo fa dedicando un intero filone della propria produzione teatrale ai bambini, attraverso laboratori e spettacoli pomeridiani. Come è accaduto in questo week end, con la rappresentazione "I racconti dell'aviatore", andato in scena presso la sala dell'associazione culturale in via San Paolo, che ha visto una grande partecipazione di bambini e adulti. Talmente grande che i posti si sono esauriti in pochi minuti e molti bambini non hanno potuto assistere allo spettacolo. Puffi, sgabelli e sedie in più, aggiunti all'ultimo momento, non sono bastati per accogliere tutti e chi è rimasto fuori ha dovuto prenotare per le prossime repliche. «Purtroppo ci sono teatri che hanno gli spazi pur non avendo pubblico mentre noi abbiamo il pubblico ma non gli spazi», commenta amaramente il direttore artistico di Spazio Teatro, Gaetano Tramontana. Da più di dieci anni SpazioTeatro produce cultura nella nostra città autofinanziandosi e senza mai avere avuto appoggio dalle istituzioni del territorio. «Noi non pretendiamo di ricevere finanziamenti o di avere spazi pubblici concessi in esclusiva - chiarisce Tramontana - ma che almeno chi di competenza si prenda la briga di conoscere qual è il fermento e l'offerta culturale che c'è a Reggio, studiando i progetti e finanziando quelli che meritano». La distribuzione di risorse per la cultura non segue, insomma, criteri di merito, e questo mette a serio rischio non solo la qualità della produzione culturale reggina, ma la sopravvivenza stessa di associazioni e movimenti che operano sul territorio. Da qui anche la scelta di SpazioTeatro di puntare sulla produzione per ragazzi, perché la cultura del teatro è scarsa in riva allo Stretto e solo educando e coinvolgendo le nuove generazioni è possibile stimolare un movimento che stenta a crescere. «Noi vogliamo creare un appuntamento fisso con il teatro per i più piccoli - spiega il direttore artistico - perché si sente in città questo bisogno. Riscuotiamo successo più con i bambini che con gli adulti». Ogni sabato, dunque, alle 17.30 SpazioTeatro metterà in scena uno spettacolo per ragazzi, perché la richiesta da parte di questa fascia di pubblico è in forte aumento e l'offerta scarseggia. Se il buongiorno si vede dal mattino allora la strada è quella giusta. Il numeroso pubblico de "I racconti dell'aviatore" ne è la prova. Nella commedia, diretta e interpretata da Cristina Merenda, al debutto alla regia, si percepisce la professionalità e la capacità dell'associazione teatrale di utilizzare linguaggi differenti a seconda del pubblico con cui ha a che fare. I bambini apprezzano e restano a bocca aperta, coinvolti e rapiti dai personaggi interpretati da Merenda insieme con gli altri due attori Gabriele Profazio e Roberto Cavallaro. «Quando mi sono accorta di come mi guardavano i bambini in prima fila mi sono commossa», ammette Cristina Merenda. Merito anche della caratterizzazione dei personaggi. Rapida ed efficace, capace di descrivere i sentimenti dei protagonisti solo con una battuta o una smorfia. I genitori ringraziano e si prenotano per i prossimi appuntamenti, consapevoli che nella nostra città non ci siano per i loro figli grandi alternative al guardare la televisione.

Enrico De Grazia

La mimica del corpo è ciò che fa della commedia dell'arte uno dei generi più caratteristici e peculiari del teatro all'italiana. «Togliendo la potenza espressiva del volto, la fisicità diventa molto importante». Così Stefano Angelucci Marino spiega il lavoro che c'è dietro alla nuova commedia "Il malato immaginario", interpretata da Marino insieme a Tommaso Bernabeo e Rossella Gesini e andata in scena nel week-end a SpazioTeatro. Per la compagnia abruzzese del Teatro del Sangro è già il secondo lavoro tratto dalla letteratura di Molière, dopo "L'avaro", rappresentato a Reggio durante la stagione teatrale dell'anno scorso. Il testo, burlesco e ironico, è stato riscritto dal regista Marino, contaminandolo con il dialetto abruzzese, che rende l'opera ancora più divertente e più vicina a noi. Un espediente già utilizzato nel famoso film interpretato da Alberto Sordi nel 1979, che funziona a meraviglia. «Abbiamo voluto raccontare un malato immaginario meridionale - spiega il regista - impastando il testo con il dialetto e utilizzando le musiche napoletane del '700 rielaborate e manipolate dal dj Globster». Il risultato è buono, il pubblico sorride e si diverte. Come si divertono gli stessi attori: «Lavoriamo con le maschere e le guarattelle (burattini, ndr) da molto tempo. Il loro linguaggio è molto imparentato, sono codici simili. Quello della commedia dell'arte è un teatro composto da figure drammatiche che servono per raccontare la realtà senza imitarla». Una realtà quella del Malato immaginario di Molière, intrisa di ipocondria, ipocrisia e luoghi comuni. La commistione tra gli attori, mascherati ma in carne e ossa, e i burattini è ben riuscita grazie alla bravura della burattinaia Rossella Gesini e al gioco prospettico creato con la scenografia. «È un lavoro su più piani narrativi che facciamo da sempre - continua Marino - Da quando utilizziamo le maschere per gli usi più disparati. Ci diverte farlo e, in più, notiamo che è apprezzato». Qualsiasi espediente però, senza la bravura dell'attore risulterebbe vano. Nella pièce del Teatro del Sangro, spicca per versatilità e caratterizzazione dei personaggi l'istrionico Tommaso Bernabeo, che con grande disinvoltura interpreta i ruoli più disparati, dalla governante al notaio, fino al promesso sposo della figlia di Argante. Nella seconda parte dello spettacolo c'è anche il tempo per un breve excursus sulla professione dell'attore. Argante deve far finta di essere morto per certificare la sincerità dell'amore di sua moglie, interessata solo al suo patrimonio, ma si rifiuta di impersonare quel ruolo perché lui non è un attore, non si alza a mezzogiorno e non fa uso di droghe e alcol. «Un po' di autoironia per riflettere sullo stereotipo dell'attore perdigiorno, che è senza lavoro e fa il bohémien. Io mi sveglio sempre alle 7», scherza il regista. Che poi in anteprima svela il prossimo lavoro: «Un classico dell'antologia contemporanea: "Ferdinando" di Annibale Ruccello (del 1985, ndr). Un testo sull'unità d'Italia, uno spaccato meridionale molto espressivo».

Enrico De Grazia

Due passi sono. Quelli che ci separano dalla vita, quella vera, al di là delle quattro mura che ci rinchiudono in casa. Una vita vera, fatta di amore e di rischi. È la storia dei due protagonisti della pièce andata in scena nel week end a Spazioteatro, "Due passi sono" appunto. Scritta e interpretata dalla messinese Cristiana Minasi e dal reggino Giuseppe Carullo, e vincitrice del Premio Scenario Ustica 2011. Crì è la donna, apprensiva e protettiva, che dice al compagno Pe', malato, quello che può, o meglio, quello che non può fare: tutto. È pericoloso uscire, mangiare e anche fare l'amore. Il cibo si assimila in pillole e le carezze si danno solo con i guanti di gomma. La vita esterna entra nella casa di Crì e Pe' solo attraverso una piccola finestra, come i raggi del sole che fanno crescere il fiore sul davanzale. Chissà com'è là fuori. È il pensiero fisso di Pe'. «Andare fuori vuol dire rischiare - spiega Carullo (Pe') - Non si deve vivere ovattati, chiusi in casa e con i guanti». No, questa non è vita. È solo sopravvivenza. E non basta. Il dialogo tra i due amanti è continuo ed è fatto di semplicità e autoironia. Ed è proprio attraverso le semplici dinamiche di questa coppia che si presenta il racconto, mai pesante e il più delle volte divertente. «Questa piccola favola vuole essere un dono alla vita - dice Minasi (Crì) - L'abbiamo voluta glorificare in maniera semplice. Giocando». Uno spettacolo che fa riflettere sui limiti e le paure di tutti i giorni che ci attanagliano e che ci suggerisce di uscire dal nostro guscio per affrontarli. Solo così, mettendosi in gioco, la vita può avere significato. Ognuno di noi è diverso e merita di esprimere la propria esistenza fino in fondo. «Solo se si riconosce la diversità si può ottenere una vera uguaglianza», aggiunge l'attrice. E l'amore è l'ingrediente essenziale per spingersi a varcare quella soglia che è così vicina, giusto due passi. Perché è l'amore a insegnare all'uomo il coraggio di affrontare i rischi della vita. «L'amore non è solo una faccenda tra uomini - dice Minasi - ma serve d'aiuto per arrivare alla conoscenza». Crì e Pe' lo hanno capito e decidono di lasciare la loro piccola realtà fatta di divieti e prescrizioni. Si mettono in gioco e decidono di sposarsi. Gli invitati sono il loro pubblico, che applaude, sorride e si commuove per il buffo e tenero racconto a cui ha assistito.

Enrico De Grazia

Letto 6939 volte Ultima modifica il Giovedì, 30 Agosto 2012 10:56
La Redazione

Questo articolo è stato scritto da uno dei collaboratori di Sipario.it. Se hai suggerimenti o commenti scrivi a comunicazione@sipario.it.

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