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INTERVISTA a PEPPE SERVILLO - di Francesco Bettin

Peppe Servillo. Foto Giovanni Izzo Peppe Servillo. Foto Giovanni Izzo

Musicista, attore e cantante, Peppe Servillo si muove in diverse dimensioni tutte però tra loro unite dalla scena. Lo abbiamo visto a teatro, al cinema, su molti spazi scenici assieme agli Avion Travel, del quale è frontman, e si può dire che la sua curiosità per lo spettacolo è a trecentosessanta gradi. Anche se la sua passione principale rimane una, e ce la dice proprio lui: la musica. Lo incontriamo nella tappa bassanese dello spettacolo “La parola canta”, che porta in giro assieme a suo fratello Toni, e ai Solis String Quartet, riscuotendo grandi consensi.

Quando si è artisti polivalenti come te l’emozione è sempre la stessa? Oltre fare l’attore in cinema e a teatro, e il cantante, ci riserverai qualcosa’altro?
L’emozione, certo, è la stessa sempre. Ma io prediligo in assoluto fare musica, che è il mio mondo principale. Naturalmente se mi capitano occasioni interessanti sia al cinema che a teatro, le faccio molto volentieri perché sono sempre occasioni per ascoltare gli altri, per imparare. Infatti da diversi anni seguo progetti anche di piccole dimensioni.

Porti spesso la tradizione napoletana sul palco, in progetti anche diversi tra loro. Sai spiegare perché in tutto il mondo la lingua napoletana riscuote così tanto successo, ed è così amata?
Napoli ha una serie di grandi poeti come Di Giacomo, Viviani, Eduardo De Filippo, Bovio, solo per fare qualche nome. C’è una grandissima tradizione dunque, che il pubblico incontra e probabilmente è proprio questo il segreto, la riscoperta delle proprie radici, della tradizione appunto. Del resto la lingua napoletana gode proprio di una grande letteratura poetica e della tradizione del canto, del teatro musicale. Questo viene molto apprezzato dovunque. Noi da parte nostra, con il nostro lavoro, cerchiamo di contribuire al meglio.

I grandi autori partenopei avevano un metodo di scrittura, o sapevano cogliere qua e là vari elementi di quotidianità riscrivendoli in prosa e canzone?
Tutto parte comunque, sempre, dalla tradizione, più che da un metodo. Una tradizione di riferimento, che ha creato un canzoniere, dei testi importanti dove io stesso attingo, per esempio proprio per lo spettacolo “La parola canta”. Una tradizione che si ispira al teatro musicale, alla storia di una città come Napoli, che come Venezia, ad esempio, aveva una grande quantità di teatri dove si poteva trovare l’identità del popolo, che si riconosceva in questa. Importante è anche la musicalità stessa della lingua, e della gestualità significativa, che spiega molto. Ha un valore quasi matelico, la lingua, ed è proprio corpo. Quello che cerchiamo di fare noi sul palco, in qualche modo “aiutandola”, detto senza presunzione naturalmente.

Oltre ai grandi autori citati prima Napoli è anche ai giorni nostri patria di innovazione, di nuovi e sempre eccellenti “creatori letterari”?
Assolutamente sì, certi nomi come Moscato, Borrelli, Michele Sovente sono autori interessantissimi, che dimostrano continuità e che si accostano ai grandi di un tempo, e nel nostro spettacolo tutto questo c’è.

Una grande lezione arrivata da Eduardo De Filippo?
Dirne una è poco. Sia negli autori che negli interpreti però la tendenza a italianizzare la lingua napoletana, senza banalizzarla ovviamente, per renderla più comprensibile, è una grande lezione, della quale noi interpreti teniamo ben conto.

La letteratura napoletana è fatta anche di alcuni luoghi comuni che forse potrebbero trarre qualche volta in inganno. Come bisogna trattarli?
Bisogna renderli espliciti. Personalmente mi avvalgo della musica che mi dà un aiuto enorme, cosa che anche gli attori come mio fratello Toni, fanno, si avvalgono della musicalità che intrinseca la scrittura. La stessa cosa la troviamo anche in Eduardo, Borrelli, Moscato. In fin dei conti è un linguaggio che esplica in modo definitivo lo spettacolo.

Questo periodo particolare che stiamo tutti vivendo può essere meno traumatico se vissuto in compagnia dell’arte musicale, del teatro, della cultura?
Certamente, teatro e musica contribuiscono moltissimo ad affrontare momenti di crisi, indipendentemente dagli altri problemi che avevano sia il teatro che la musica prima della pandemia, e che purtroppo si sono solo acuiti di più in questo modo. Certo è che riuscendo a risolverli si renderebbe indubbiamente un servizio al mondo dello spettacolo e della cultura per sempre.

Ma il teatro saprà ritornare a una dimensione come quella precedente l’emergenza sanitaria, o avrà imparato qualcosa da questa?
E’ difficile dirlo, non sappiamo che cosa esattamente ci aspetterà e in che modo l’andare in scena cambierà. E’una lezione lunga e difficile, mi sento di poter dire che i veri cambiamenti procedono sempre molto lentamente. Vedremo.

Una curiosità. Che tipo di spettatore è Peppe Servillo. Cosa guarda?
Il cinema lo seguo molto, quello d’autore ma anche quello più popolare. Poi frequento le sale da concerto, come l’Accademia di Santa Cecilia a Roma, trovo che l’esperienza di ascoltare una grande orchestra suonare, anche se non si frequentano quei posti, è unica e consigliabile.

Un tuo ricordo di Fausto Mesolella?
Fausto è presenza e assenza, la sua figura di artista, e quella privata, si mescola e si affaccia tra le pieghe del nostro lavoro sempre. Spero che col nostro album, realizzato con gli Avion Travel, “Privè”, di non dispiacere alla sua idea, a quel progetto artistico che aveva cominciato con noi.

Francesco Bettin

Ultima modifica il Mercoledì, 09 Settembre 2020 12:23

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