venerdì, 29 marzo, 2024
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INTERVISTA a ODOARDO MARIA BORDONI (II° parte) - di Michele Olivieri

(II° parte)

Hai svolto attività di coreografo presso il Teatro della Commedia e il Teatro dell’Opera di Ekaterinburg. Come nasce la tua passione per la coreografia e qual è il tuo metodo di lavoro in fase creativa?
Per il discorso coreografico non dimenticherò mai le preziose cose che ho visto assistendo al lavoro di Kostantin Sergeev e Pëtr Gusev, all’epoca i più grandi conoscitori del repertorio classico che vi fossero in Russia. Sergeev, direttore artistico dell’Accademia Vaganova era stata la stella incontrastata del balletto sovietico degli anni ‘30 fino agli anni ‘50. In coppia con la Dudinskaja aveva assistito e partecipato alla ripresa dei grandi classici del repertorio ottocentesco, dal “Lago dei Cigni” a “Bella Addormentata”, da “Schiaccianoci” a “Raymonda”. Non dimentichiamoci che subito dopo la Rivoluzione d’Ottobre, in Russia nessun balletto fu rappresentato per circa dieci anni, considerato come una forma d’arte borghese di provenienza aristocratica, e dopo, quando invece per una serie di motivi anche ideologici i governanti sovietici si resero conto dell’importanza del balletto, furono Vaganova e Lopukov i due grandi maestri rimasti in Russia che si occuparono di riprodurre questi grandi balletti che altrimenti sarebbero stati persi per sempre. Tornando a Sergeev, lasciate le scene sostituito anche da un giovane Nureyev, divenne direttore del teatro Kirov e quindi dell’Accademia Vaganova. Pyotr Gusev, più anziano di Sergeev, amava soffermarsi durante le sue lezioni sui ricordi di giovane studente presso la scuola dei Teatri Imperiali, (oggi Accademia Vaganova) quindi prima della rivoluzione, e di aver visto danzare partecipando, ai spettacoli della scuola, Fokin, Nijinskij, Pavlova e le altre stelle del balletto Russo. Durante la sua carriera di primo ballerino aveva lavorato anche al Bolshoij di Mosca. Gusev a differenza di Sergeev, era molto attratto dalle nuove creazioni coreografiche che negli anni ’30, ’40 e ’50 si susseguivano numerose. Fu il primo interprete dei balletti “Fiamme di Parigi”, “La fontana di Bakcisarai”, tanto per citarne alcuni. Anche lui fu direttore del Teatro Kirov, ma la sua carriera di coreografo la dedicò nei teatri d’opera delle principali città sovietiche, mentre Sergeev svolse prevalentemente il suo lavoro di coreografo a Leningrado (San Pietroburgo). Gusev aveva una grandissima memoria, un grande senso estetico, e una conoscenza più ampia del repertorio, soprattutto di quei balletti considerati un gradino inferiore ai grandi classici sopracitati. Se al giorno d’oggi abbiamo balletti come “Le Corsaire”, “Harlequinade”, “La Sosta della Cavalleria”, “Ondine”, il 4° atto di “Bajadére”, “Il Talismano” ed altri, è stato proprio grazie al suo lavoro certosino di riproduzione filologicamente rispettosa degli originali. Io stesso ho avuto l’onore di assisterlo in alcune delle sue riprese e di danzarne anche dei ruoli all’interno dei sopracitati balletti. Di lui mantengo un vivo ricordo e lo considero artisticamente mio padre, perché mi ha insegnato l’amore e il rispetto per la riproduzione filologicamente fedele dei balletti. E come tutti i padri, quando è venuto a mancare, poco prima che mi diplomassi, ha lasciato un grande vuoto nella mia vita affettiva ed artistica, ma altresì mi ha lasciato anche una grande eredità, che cerco di mantenere viva ogni volta che lavoro ad una produzione di un balletto di repertorio.

Mentre la tua passione per la ricostruzione dei balletti del repertorio ottocentesco da cosa prende avvio?
La passione per la ricostruzione dei balletti del repertorio ottocentesco, soprattutto di quelli meno conosciuti e considerati a torto perduti per sempre, penso che sia chiaro da quanto detto poc’anzi parlando dei due maestri Gusev e Sergeev che mi hanno introdotto a questa meravigliosa arte. Io espressi a lui l’idea corrente nella nostra cultura coreografica occidentale, che se alcuni balletti oggi non vengono rappresentati è per il loro scarso valore artistico-coreografico, in altre parole perché non sono più attuali. Gusev ha subito contrastato questa opinione che mi portavo dietro, illustrandomi i motivi principali che hanno portato molti balletti ad essere dimenticati, motivi legati principalmente al grande limite dell’arte coreografica di venir tramandata oralmente. Infatti nella storia della danza i grandi interpreti, abbandonate le scene si dedicavano all’insegnare ai giovani danzatori quei ruoli che loro avevano interpretato per anni e che ricordavano benissimo. Gusev mi diceva che, a parte quei rari casi di balletti che subito dopo la loro creazione si sono dimostrati degli insuccessi a causa dello scarso valore della musica o della coreografia, gli altri, la maggior parte, meritano di essere ricostruiti, costituendo una parte importante del repertorio teatrale e quindi della cultura artistica della nostra civiltà. Avevo appreso dei frammenti del balletto “Le Diable à Quatre” durante le lezioni di Gusev. Nel 1996, mentre lavoravo all’Arena di Verona invitato da Carla Fracci, fui contattato da Alexsandr Dementev, coreografo e direttore del ballo del Teatro dell’Opera di Ekaterniburg, che mi chiedeva se, frequentando il corso del maestro Gusev, avessi appreso dei frammenti de “Le Diable à Quatre” e se ero disposto a rimontarlo per intero. Io risposi affermativamente, però doveva aspettare poiché la stagione successiva avevo già accettato l’invito del “Joffrey Ballet” di Chicago. Dementev aveva già cercato di contattare altri miei compagni di corso, che avevano frequentato i corsi del maestro Gusev, ma invano. All’epoca io ero l’unico straniero che frequentava la facoltà di coreografia del Conservatorio, gli altri studenti erano tutti Russi. Dementev aveva difficoltà a rintracciare i miei compagni di corso, perché dopo la caduta dell’Unione Sovietica, c’era stata una fuga di cervelli in Europa e Stati Uniti; si può dire che la vera scuola russa, quella che veniva trasmessa dai grandi maestri, si era trasferita all’estero. Dementev mi conosceva in quanto andai a lavorare ad Ekaterinburg la prima volta nel 1991 e fui invitato molte volte nel corso degli anni novanta, in qualità di coreografo e maestro ripetitore. Insieme a Dementev avevamo riprodotto la “Bajadére”, compreso il 4° atto, insegnato da Gusev che ricordava benissimo, e che è stato poi di recente ripreso al Marinskij da Sergei Vicarev, il quale si è anche lui basato su quanto aveva insegnato Gusev.

Da evidenziare inoltre le coreografie che hai realizzato presso il Teatro dell’Opera di Ekaterinburg? Parlami in particolare della creazione in omaggio a Goldoni “I Bagni di Albano”?
A proposito della città di Ekaterinburg vorrei prima raccontare come mai sono entrato in contatto con una città all’interno della Russia sui monti Urali, abbastanza fuori dalle grandi vie di collegamento. Tutto iniziò quando il maestro Gusev compì ottanta anni. All’epoca in Russia era d’uso dedicare ai grandi artisti che si trovavano a compiere anniversari importanti, una serata di gala presso il teatro dove avevano lavorato principalmente. Quindi di regola una serata di gala in onore di Pyotr Gusev doveva tenersi al Teatro Kirov. All’epoca il direttore del Kirov era Oleg Vinogradov, che era stato messo alla guida della principale compagnia di danza in Russia per garantire che non vi fossero defezioni durante le tournée all’estero, dopo le importanti e significative fughe della Makarova e di Baryšnikov. Il direttore Vinogradov, per motivi che non ho mai saputo, ma intuibili quali una competitività professionale nei confronti del grande maestro, negò la possibilità a Gusev di organizzare la serata di gala per il suo anniversario. Gusev allora si rivolse al direttore del Teatro di Ekaterinburg nella terza città russa, che ovviamente accettò. Gusev preparò il seguente programma per l’evento: Primo tempo “Harlequinade” di Drigo-Petipa; Secondo tempo, una serie di Pas de Deux tratti da “Talisman”, “La Fille du Pharaon” e la scena dell’ombra dal balletto “Ondine”; Terzo tempo “La Sosta della Cavalleria” di Armsheimer-Petipa. Vorrei far presente che tutte queste coreografie erano assenti dalle scene dei teatri russi da decenni, e che rischiavano di essere dimenticate per sempre. Ho avuto l’onore di seguirlo nei suoi viaggi ad Ekaterinburg e di vederlo personalmente rimontare tali balletti. Seguivo il suo lavoro come un viaggiatore del deserto segue la guida che lo sta portando all’oasi che salverà loro la vita. Proprio in quella occasione capii le sensazioni indescrivibili che si provano quando si riportano in vita dei capolavori dimenticati, e a torto considerati da persone di scarsa cultura e sensibilità artistica “balletti di serie B”. In quelle occasioni conobbi il direttore della compagnia di Ekaterinburg Alexandr Dementev con il quale sono entrato in un clima di amicizia e stima professionale. Ma il destino voleva ancora condurmi ad Ekaterinburg, dove oltre che ad un bel teatro d’opera vi era anche un ottimo teatro per gli spettacoli leggeri, il genere che noi definiamo “varietà”, parlo del Teatro della Commedia Musicale. A seguito della visita ufficiale che fece l’allora presidente Gorbaciov in Italia, furono decisi anche degli scambi culturali; da parte italiana fu disposto l’allestimento di uno spettacolo italiano in Russia e la scelta cadde, non so per quale ragione, sul musical “Aggiungi un posto a tavola” considerato il musical italiano più rappresentato all’estero. Il maestro Garinei, coautore del musical mi contattò per la mia preparazione coreografica e per la conoscenza della lingua russa e della Russia, chiedendomi di seguire i lavori di preparazione. Gli feci subito presente che la danza moderna in Russia non era praticata e quindi i danzatori avrebbero avuto problemi con le coreografie originali di Gino Landi, e quindi ho ricevuto l’incarico di preparare le coreografie del musical. Da studente all’Accademia, ma anche successivamente avevo sempre frequentato le lezioni di Lyrical Jazz arrivando perfino a studiare con il celebre maestro e coreografo Gene Franklin. Quindi mi sono recato ad Ekaterinburg, ho seguito l’allestimento del musical, e ho fatto le coreografie, ricevendo i complimenti del maestro Garinei che venne ad Ekaterinburg proprio pochi giorni prima del debutto. “Aggiungi un posto a tavola” è stato il primo musical rappresentato in Unione Sovietica, tenendo presente che, essendo una forma di spettacolo anglosassone, non veniva coltivato. Dopo un paio d’anni, visto il notevole successo, fu prodotto anche a Mosca. Ad Ekaterinburg rimase in repertorio per dieci anni riempiendo sempre il teatro fino all’ultimo. Generalmente non parlo di “Aggiungi un posto a tavola” nel mio curriculum vitae poiché le cose si sono evolute in modo strano, mi sono ritrovato coinvolto nella produzione e nella realizzazione delle coreografie senza neanche sapere bene come sia stato incaricato. Comunque Garinei da grande signore, si sdebitò staccando un bell’assegno, però ufficialmente non sottoscrissi mai un contratto con il Teatro della Commedia Musicale di Ekaterinburg, ragione per la quale, non avendo documenti ufficiali, non inserisco questa mia esperienza nel curriculum. Nella successiva stagione 1992-1993, in virtù del grande successo riscosso da “Aggiungi un Posto a Tavola”, la direzione del Teatro della Commedia Musicale decise di mettere in scena un altro successo del Teatro Sistina, mi riferisco al musical “Anche i Bancari hanno un’anima” di Terzoli e Vaime, all’epoca interpretato dal grandioso Gino Bramieri. Il successo di questo secondo musical superò perfino il primo. Andò in scena per quindici stagioni e fu anche ripreso e trasmesso dalla Televisione di Stato Russa. Se mi avessero pagato i diritti per la coreografia oggi possedevo una Ferrari, comunque noi teatranti lavoriamo principalmente spinti per amore del teatro e tendiamo a porre tutto il resto in secondo piano. Chiudendo la parentesi dei musical e del lavoro svolto al Teatro della Commedia Musicale di Ekaterinburg, e ritornando al Teatro dell’Opera di Ekaterinburg, nel 1993 ricevetti l’invito per realizzare una coreografia tratta da un lavoro di Goldoni, visto che era l’anno in cui ricorreva il bicentenario della sua morte avvenuta a Parigi nel 1793. Il direttore Dementev si ricordava di me quando andai la prima volta in qualità di allievo-assistente di Gusev, inoltre aveva visto le coreografie realizzate per i due musical nelle stagioni precedenti, apprezzando molto, come mi confidò in seguito, il lavoro da me svolto, e quindi decise di invitarmi, pensando di rendere un doveroso omaggio al grande commediografo italiano, e ritenendo altresì che se il balletto fosse stato realizzato da un italiano sarebbe stato di sicuro successo. Accettai l’invito e mi misi immediatamente allo studio della biografia di Goldoni e dei suoi lavori. Durante quelle settimane di approfondimento e ricerche fui nominato direttore artistico del Festival Internazionale “Abano Danza”, all’epoca tra i più prestigiosi subito dopo il “Festival dei due mondi” di Spoleto. Oltre ai lavori di prosa iniziai anche a prendere in considerazione i libretti che Goldoni scrisse per le opere liriche. Ho scoperto che scrisse il libretto per un’opera musicata da Baldassarre Galuppi “I Bagni di Abano”, dedicata alla località termale che Goldoni amava frequentare e della quale adesso ero il direttore del festival. Pensai che era un’ottima occasione per rendere omaggio a Goldoni e al tempo stesso alla città che mi aveva onorato di un incarico così prestigioso. Restava solo da ritrovare le musiche. Decisi di rivolgermi alla “Fondazione Cini di Venezia”, dove un addetto, dopo delle ricerche scoprì che lo spartito dell’opera “I Bagni di Abano” era custodito presso la biblioteca di non ricordo quale università tedesca. La “Fondazione Cini” inoltrò la richiesta e dopo un paio di settimane ho ricevuto il microfilm dello spartito, ma ahimé quello conservato in Germania, unico esemplare al mondo, era solo il 2° atto. Così concentrai tutto il libretto in un atto unico. Il balletto ebbe molto successo ed ovviamente l’estate successiva invitai la compagnia del Teatro dell’Opera di Ekaterinburg ad Abano per eseguire il balletto che riscosse anche in Italia successo di critica e di pubblico. Il balletto rimase in repertorio ad Ekaterinburg per diversi anni e fu inserito nel programma di tour in Corea del Sud e Giappone riscuotendo anche in quei paesi un grande successo. Devo dire che il destino non è stato tenero con me. Infatti alla mia prima creazione di un balletto completo, anche se da solo un atto, mi era capitato un soggetto difficilissimo da adattare in un lavoro coreografico. Infatti chi conosce la commedia dell’arte goldoniana sa bene come vi siano soggetti molto articolati e complessi, con travestimenti, scambi di persona e continui rivolgimenti di situazioni, tutti elementi drammaturgici che male si conformano con il linguaggio muto, semplice e lirico del balletto. Eppure ancora oggi non riesco a capacitarmi come sia riuscito a rendere il soggetto leggibile, anche da un pubblico meno avvezzo al teatro coreografico.

Accostarsi in qualità di coreografo alle grandi e celebrate opere liriche quali sfumature apportano alla fase creativa?
In merito alle danze presenti nelle opere liriche posso iniziare con un distinguo tra le danze e gli intermezzi coreografici. Gli intermezzi coreografici come ad esempio “Le Notti di Valpurga” dall’opera “Faust” di C. F. Gounod, “Le Quattro stagioni” dall’opera “I Vespri Siciliani, le “Danze polovesiane” del “Principe Igor” sono veri e propri divertissment che poco si legano alla struttura drammaturgica dell’opera e che venivano inseriti dai compositori per assecondare la tradizione francese della grande opera. Questi divertissment avevano ragione di esistere perché rappresentano un momento di brio e di energia indispensabile a ridare vita allo spettacolo che altrimenti rischiava di risultare troppo lungo e pesante. Ma la struttura musicale di tali divertissment permetteva anche di essere omessi nei casi in cui le opere venissero prodotte in teatri minori con limitate possibilità economiche. Situazione molto diversa troviamo invece per le danze, della durata di pochi minuti. Queste danze, come ad esempio quella spagnola dell’opera “La Traviata” o la Polonaise dell’opera “Eugenio Onegin”, o la danza dei moretti dell’opera “Aida” sono ballabili che non hanno una funzione marginale puramente decorativa, ma sono completamente inseriti nella struttura drammaturgica, risultano indispensabili sia all’ambientazione che alla continuità dello svolgimento dell’azione che le figure principali sviluppano. Quindi queste danze, pur essendo più brevi sono di gran lunga per il coreografo professionale un lavoro scrupoloso per collaborare a stretto contatto con il regista. Non dovranno essere una semplice macedonia di passi legati insieme in modo più o meno musicale, ma coreografie con un significativo senso estetico che ben si fonde con l’ambientazione, con le azioni dei personaggi e con il loro stato d’animo ed infine contribuire al pathos che il compositore trasmette al pubblico. Questo breve incipit sulle coreografie delle opere l’ho illustrato non solo per far emergere le basi sulle quali il coreografo deve operare, ma anche per sottolineare quello che è stato e sarà sempre il mio modo di lavorare, un metodo che ha riscosso ovunque il plauso della critica, del regista ma soprattutto dell’apprezzamento da parte degli spettatori.

Sei stato poi Direttore Artistico del Festival Internazionale di Abano Terme, quali sono state le maggiori soddisfazioni in tale ruolo?
Nell’inverno del 1992 ero rientrato in Italia per trascorrere le vacanze in famiglia e ho saputo che il Comune di Abano Terme aveva indetto un concorso per un nuovo Direttore Artistico, non avendo rinnovato il contratto con il precedente. Tra le condizioni si richiedevano almeno 5-6 spettacoli con compagnie straniere ed almeno due spettacoli di compagnie italiane; il budget a disposizione era di 250 milioni di lire, ed allora era una grande somma. Riuscii a proporre una programmazione con 8 spettacoli di cui 2 compagnie italiane, come da bando, e tra le compagnie ne inserii due russe e una tedesca. Sia russi che tedeschi non erano mai stati presenti nella programmazione del festival ed erano ben accetti, soprattutto i tedeschi visto che ad Abano la maggior parte dei turisti vengono da paesi di lingua germanica. Nei tre anni della mia direzione ho portato il numero di spettacoli da 4 ad 8, ho portato all’introduzione di sponsor privati, che all’epoca costituì una novità in quanto la mentalità corrente era quella di lavorare solo ed esclusivamente con i soldi dello Stato, che comunque ne erogava a sufficienza alle realtà artistiche diffuse su tutto il territorio nazionale. Ma con orgoglio affermare dire che la media degli spettatori, sotto la mia direzione, passò da poco meno di 140 spettatori a spettacolo, a oltre 600 spettatori a spettacolo, tenendo presente che il teatro all’aperto poteva accogliere 800 spettatori. Questo risultato, di cui ne vado orgoglioso, è stato conseguito grazie ad una programmazione idonea al tipo di pubblico, ma anche ad una informazione capillare tramite radio, stampa e televisione degli eventi che si susseguivano sul palcoscenico del festival. Mentre lavoravo alla programmazione del terzo anno del mio mandato triennale, il neoeletto Sindaco, infischiandosene dei risultati ottenuti, ritenne di inviarmi una lettera che non mi avrebbe rinnovato il contratto; probabilmente essendo di colore politico avverso al Sindaco uscente, aveva ritenuto che il mio mandato fosse avvenuto su base politica e quindi immaginava una non compatibilità con la nuova amministrazione, mentre invece all’epoca ero totalmente apolitico, ero romano ed in Veneto non conoscevo nessuno e comunque una programmazione di un festival prescinde dal colore politico in quanto l’arte tutta, compresa l’arte coreografica è apolitica; ma questo i politici non lo sanno o fanno finta di non saperlo. In conclusione quella esperienza mi fu molto utile in seguito nel mio lavoro di coreografo e di direttore di compagnia, in quanto mi ha fatto comprendere come sia importante nella programmazione di una stagione, tener presente del contesto in cui si opera se si vuole ottenere un giusto riscontro di pubblico.

Hai lavorato molto anche per l’Arena di Verona con la nomina a Maître de ballet, curando le lezioni per la compagnia. Cosa rimane di quel periodo così florido per la danza italiana?
Nel periodo che mi trovavo ad Abano per lavorare al Festival sono stato contattato da una giovane compagnia la “Compagnia Veneta di balletto” che mi ha invitato a lavorare da loro come coreografo e Maître de ballet. Così iniziai a viaggiare continuamente da Abano a Verona. La compagnia aveva stabili otto ballerini e viveva grazie al contributo dell’Associazione degli Industriali di Verona, che all’epoca aveva una florida attività e si poteva permettere di dedicare soldi alla cultura e al teatro, cosa oggi impensabile. Ricordo che la compagnia era diretta da una giovane ballerina Gloria Grigolato, che aveva delle grandi potenzialità ma ancora acerba artisticamente. Nei due anni che ho lavorato con loro sono riuscito a farla crescere sia tecnicamente che artisticamente, tanto da farla poi prendere come solista e prima ballerina a Dresda, all’epoca un teatro con una compagnia di ballo di alto livello diretta da Vladimir Derevianko, ed in seguito come solista e prima ballerina all’English National Ballet, dove ha lavorato fino al ritiro dalle scene. Trovandomi a Verona sono entrato in contatto con Carla Fracci e suo marito Beppe Menegatti, che all’epoca avevano appena preso la direzione del ballo all’Arena di Verona. L’invito come coreografo è avvenuto casualmente, quando il maestro Menegatti decise di organizzare uno spettacolo in omaggio al leggendario danzatore Vasvlav Nijinskij. Aveva già contattato Sally Wilson dall’ABT per rimontare “Les Sylphides” secondo l’ultima redazione curata dallo stesso Fokin a New York, invitò Millicent Hodson (la coreografa che aveva curato la ripresa filologica della “Sagra della Primavera” ricostruita con le coreografie originali di Nijinskij per il Joffrey Ballet di Chicago) per ricostruire “Jeux” su musica di Debussy, invitò la coreografa Ann Hutchinson Guest, anche lei grande esperta di notazioni coreografiche, che ricostruì “L’Apres-midi d’un Faune” e stava cercando un coreografo che conoscesse il “Carnaval” di Fokin-Schumann per intero. Ricordo che un giorno dopo la lezione entrai nell’ufficio di Menegatti per salutarlo e sentii che in inglese, parlando al telefono con la Ann Hutchinson Guest, le chiedeva se fosse riuscita a trovare un coreografo che potesse rimontare il “Carnaval” intero nella coreografia originale, e lei rispose negativamente. A telefonata conclusa feci presente al maestro Menegatti che conoscevo benissimo la coreografia del “Carnaval”, avendola studiata in Russia. Il giorno seguente, dopo la lezione, entrò in sala Menegatti e chiese al maestro accompagnatore se avesse portato lo spartito del “Carnaval”, gli chiese di suonarne un brano a caso, quindi si avvicinò a me domandandomi: “che scena del balletto è questa?”, “quali personaggi sono in scena?”, “cosa accade?”. Io risposi a tutte le sue domande, poi Menegatti chiese al pianista di suonare un altro brano a caso e quindi mi rivolse le stesse domande alle quali io risposi senza esitazione. Premetto che ai corsi di maestro ripetitore richiedevano che tutte le coreografie studiate le imparassimo a memoria e poi dovevamo mostrarle agli esami. Ricordavo bene il “Carnaval”, anche perché scrissi la tesi su Fokin e rimontai l’altro suo balletto “Cleopatra” proprio come lavoro di laurea. Comunque il pianista suonò un paio di frammenti del “Carnaval” e io mostrai le coreografie che erano presenti in quelle musiche, mostrando sia le parti del corpo di ballo che quelle soliste. Menegatti rimase stupito e mi fece il contratto che mi commissionava la riproduzione del balletto. La serata in omaggio a Nijinskij ebbe un grande successo. Arrivò un pubblico di appassionati da diverse città italiane ed estere, come anche critici di danza che recensirono la serata e il “Carnaval” con elogi per la coreografia che per l’allestimento di costumi e scene. La grande sorpresa costituì per me l’interpretazione della compagnia. Ritenevo erroneamente la compagnia della “Fondazione Arena di Verona” una compagnia senza troppe pretese, una compagnia per danzare gli intermezzi coreografici nelle opere liriche, invece mi ritrovia all’epoca con una compagnia che, anche grazie alla direzione della Sig.ra Fracci era di altissimo livello, tra le migliori in Italia, che si dedicarono con inaspettata passione al lavoro di ricostruzione di un balletto tutto sommato sconosciuto e che inoltre conteneva delle grandi difficoltà stilistiche oltre che tecniche, come del resto sono tutte le creazioni di Mikail Fokin, facendo diventare la ricostruzione del “Carnaval” un evento di portata mondiale anche grazie al suo alto valore interpretativo.

Sei stato assistente coreografo per l’Aida di Franco Zeffirelli. Un tuo ricordo personale del grande Maestro e regista?
Ricordo che ero maître nella stagione estiva. Zeffirelli iniziò a lavorare alla “Carmen” di Bizet e fece invitare quella che all’epoca era la più prestigiosa compagnia di flamenco diretta da Lucia Real e El Camborio. Insieme a loro arrivarono dei danzatori che comunque avevano tutti ruoli solistici, e dovevano interagire con il corpo di ballo della fondazione. Ecco quindi che mi trovai a lavorare a stretto contatto con El Camborio che ovviamente stava preparando il corpo di ballo con coreografie in autentico stile flamenco. Pur essendo un coreografo classico, mi è stata di grande aiuto la formazione ricevuta in Russia in merito alle danze di carattere e al flamenco in particolare. Generalmente nelle opere danzano ballerini classici che interpretano coreografie che per plasticità, dinamiche e colore rendono l’atmosfera del carattere dell’opera. C’era da immaginarsi che Zeffirelli, dall’alto della sua attenzione maniacale per i particolari volesse ed ottenne dalla Fondazione degli autentici ballerini di flamenco. Da coreografo che nel lavoro con i danzatori si trova quotidianamente a far fronte e risolvere problemi di ordine pratico, quando si è già compiuto lo studio della partitura e di tutti gli elementi che compongono la coreografia, non mi soffermerò a considerazioni dai carattere estetico o musicologico del lavoro di Zeffirelli. Preferisco spendere alcune parole sul suo lavoro pratico che avveniva in scena. Generalmente i registi dedicano gran parte della loro attenzione al lavoro con gli interpreti principali, mentre lui, con la mediazione dei suoi validi assistenti, dedicava un’attenzione quasi paritaria alla posizione e ai movimenti delle masse in scena, coro, danzatori o mimici che fossero. Guardava i movimenti di ogni persona che fosse in scena e pretendeva che partecipassero in modo discreto ma appropriato all’azione del momento. Questo è uno degli aspetti del lavoro di Zeffirelli che mi colpirono e che ho fissato nella memoria facendo tesoro del prezioso e irripetibile lavoro al quale stavo assistendo. Mi fece molto piacere vedere fianco a fianco come due fratelli Zeffirelli e Menegatti, che da giovani avevano lavorato insieme come assistenti del grande Luchino Visconti e che dopo una vita di teatro contornata da grandi successi si ritrovavano di nuovo a lavorare vicini come in gioventù. Dalla collaborazione di questi due grandi personaggi non poteva che uscire un capolavoro, ed anche se alla prima vi furono delle recensioni dal carattere non esattamente positivo, perché Zeffirelli regista pur nel rispetto filologico dell’opera e dell’idea del suo creatore, ha sempre avuto uno spirito innovatore e quasi provocatorio, l’opera è ancora in repertorio e riscuote grandi successi risultando estremamente viva ed attuale nel suo allestimento, nonostante siano trascorsi più di vent’anni.

Qual era il biglietto da visita del “Joffrey Ballet of Chicago” nel periodo in cui tu sei stato Maitre?
Il modo in cui sono arrivato ad essere invitato al “Joffrey Ballet” è stato legato ad una serie di coincidenze, poiché non avevo mai lavorato prima negli Stati Uniti e quindi non avevo contatti. Tutto è iniziato durante il lavoro di ricostruzione del “Carnaval” a Verona. Ricordo che la Sig.ra Fracci provava sempre alla fine della giornata, quando tutti avevano provato e le sale del ballo della fondazione diventavano vuote. Bisogna tener presente che “Jeux” nella versione originale di Nijinskij che Millicent Hodson stava ricostruendo a Verona era una coreografia di circa 15-20 minuti interpretata da soli tre danzatori, un uomo che era Nijinskij e due donne che nella prima furono Tamara Karsavina e Ludmilla Schollar. Il ruolo maschile veniva interpretato da Alessandro Molin, che negli ultimi anni era stato partner della Sig.ra Fracci, e per i ruoli femminili a fianco della Sig.ra Fracci la Sig.ra Hodson volle Beatriz Rodriguez già prima interprete della ricostruzione della “Sagra della Primavera” avvenuta per il “Joffrey Ballet”. La Rodriguez ricordo che raramente frequentava la classe la mattina, però arrivava molto prima dell’orario delle sue prove, quando io stavo provando il “Carnaval”, si metteva in un angolo della sala e faceva esercizi di stretching e di riscaldamento per essere pronta alle prove che aveva con la Fracci. Avevo notato che osservava con attenzione il mio modo di lavorare, e ci salutavamo sempre quando lei entrava in sala e quando io, finite le prove uscivo. Un giorno mi disse “Può dire al suo maestro da parte mia che è stato fortunato ad aver trovato un assistente come lei”. All’epoca nel 1996 avevo trentaquattro anni ed ero quindi molto più giovane di tutti i coreografi che stavano lavorando alla realizzazione di quel prestigioso programma. Sul momento non capii l’affermazione, rimasi un attimo interdetto e replicai: “mi scusi ma di quale maestro lei sta parlando?” e lei “del maestro per il quale sta lavorando in qualità di assistente” e io avendo finalmente capito le risposi: “la ringrazio ma non ce ne sarà bisogno, lei sta già parlando con il maestro al quale faccio da assistente”, adesso fu lei a guardarmi interdetta e io per toglierla dall’imbarazzo dissi “sono l’assistente di me stesso, sono io che sto riproducendo il ‘Carnaval’.” Il dialogo continuò con qualche altra domanda che la Rodriguez mi pose su dove avevo appreso la coreografia, dove mi ero formato come coreografo eccetera. Nacque una bella amicizia. Ogni tanto ci frequentavamo dopo le prove, la portavo a fare qualche passeggiata per Verona e facevamo lunghe chiacchierate, ovviamente di danza come fanno inevitabilmente tutti i ballerini nel tempo libero. Rimanevo stupito nel dialogare con lei in quanto raramente avevo visto una ballerina con una grande cultura di danza così ampia, che si soffermava ad analizzare scrupolosamente ogni momento della coreografia che doveva interpretare e capivo finalmente come mai era la prima ballerina di una delle principali compagnie americane e come mai fosse stata scelta come prima interprete della “Sagra”, e fosse stata invitata a Verona a danzare al fianco della grandissima étoile Carla Fracci. Parlavamo molto anche delle coreografie di Fokin, il coreografo che amo di più in assoluto, e amavo ascoltare le sue testimonianze di come aveva visto lavorare i vecchi maestri che all’epoca erano ancora vivi, che collaborarono alla ricostruzione di alcune coreografie di Fokin e dei “Ballets Russes”. Infatti fu proprio Mr. Joffrey, fondatore della compagnia, coreografo e uomo di grande cultura, che decise negli anni settanta di produrre una serata in omaggio ai “Ballets Russes”, ricercò ed invitò gli ultimi danzatori rimasti in vita che avevano lavorato per i “Ballets Russes” e che avevano danzato quelle coreografie che Joffrey decise essere tra le più rappresentative. Così fu realizzato il programma che conteneva “Petruška”, “L’après-midi d’un faune”, “Lo Spettro della Rosa” e “Noces”. La stella del programma fu Rudolf Nureyev, il quale, alcuni anni dopo, divenuto direttore dell’Opéra di Parigi, ripropose lo stesso programma. Probabilmente se Mr. Joffrey non avesse deciso di realizzare una serata dedicata ai capolavori dei “Ballets Russes” probabilmente queste coreografie sarebbero state perse per sempre. Non solo, dopo questo meraviglioso programma si diffuse presso in altri teatri e compagnie la moda di riprendere i lavori dei “Ballets Russes”, e furono riprodotti da “Parade” a “La Sagra”, a “Le Train Bleu”, compresi in Russia “Carnaval” e “Cleopatra” tanto per citarne alcuni, facendo ritornare in vita le coreografie di un momento fondamentale della storia della danza, spesso a torto non valorizzato dagli storici, che costituisce a mio avviso il fondamentale anello di congiunzione tra la danza classica arrivata alla sua massima evoluzione estetica e la danza moderna che si stava sviluppando inevitabilmente, inconsciamente e meravigliosamente nelle menti e nelle energie creative di coreografi e compositori. Finite le repliche Beatriz Rodriguez ritornò a Chicago, città sede del “Joffrey Ballet”; ebbi presto modo di verificare che i complimenti che mi aveva fatto in merito al mio modo di lavorare, di organizzare le prove, di mostrare e spiegare la coreografia, non erano complimenti d’occasione ma sentiti in quanto mi fece avere un invito direttamente dal direttore della compagnia Mr. Gerald Arpino già collaboratore di Mr. Joffrey. A Chicago ebbi un periodo di lavoro emozionante davo la classe alla compagnia alternandomi ad altri due maître e curavo le prove delle coreografie in repertorio. In quel periodo le coreografie classiche che il “Joffrey Ballet” aveva in repertorio per la stagione non erano molte, però il lavoro fu particolarmente entusiasmante, proprio perché mi trovai a collaborare e curare le prove di alcune parti di “Billboards”. “Billboards” che all’epoca era stato prodotto di recente è il primo balletto rock realizzato interamente sulle canzoni di Prince, alla produzione collaborarono diversi coreografi americani e per me rappresentò una grande esperienza lavorare con coreografie aventi dinamiche, estetica, plasticità moderne, tra il punk e il modern-jazz e il neoclassico. Ancora adesso ricordo quel periodo con nostalgia, avendo rappresentato per me non solo l’entusiasmante esperienza di lavorare per una delle principali compagnie americane, ma anche di aver appreso numerose cose nuove inerenti alla danza moderna di alto livello. Durante la stagione fui contattato dal direttore del Teatro dell’Opera di Ekaterinburg per ricostruire il balletto “Le Diable à Quatre” basandomi sui frammenti originali di J. Perrot che avevo appreso dal mio maestro Gusev. Questo incarico era per me molto entusiasmante, ma al tempo stesso non volevo lasciare il lavoro al “Joffrey Ballet”. La decisione se accettare o meno l’incarico a Ekaterinburg è stata molto sofferta, ma alla fine accettai ed avvertii Mr. Arpino che alla fine della stagione non avrei rinnovato il contratto perché dovevo recarmi a Ekaterinburg. Oggigiorno, con il senno di poi, non sono convinto che la mia decisione fu la cosa migliore, forse sarebbe stato meglio restare a Chicago. A Ekaterinburg “Le Diable à Quatre” ebbe grande successo; durante il lavoro il direttore della compagnia Alexandr Dementev già molto anziano, fu colto da un ictus. Mi fu chiesto dalla direzione del teatro di occuparmi della stagione e quindi oltre alle prove de “Le Diable à Quatre” mi occupai anche dei cast dei balletti in programma e che le prove degli spettacoli avessero un andamento regolare. “Le Diable à Quatre” ebbe un grande successo e mi fu chiesto di rimanere come direttore della compagnia, ma a causa di alcune intimidazioni fui costretto agli inizi del 2000 a sospendere il lavoro e a ritornare in Italia.

Intervista a Odoardo Maria Bordoni - I° Parte

Intervista a Odoardo Maria Bordoni - II° Parte

Intervista a Odoardo Maria Bordoni - III° Parte

Intervista a Odoardo Maria Bordoni - IV° Parte

Michele Olivieri

Ultima modifica il Mercoledì, 05 Febbraio 2020 00:59

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