martedì, 16 aprile, 2024
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INTERVISTA a ODOARDO MARIA BORDONI (I° parte) - di Michele Olivieri

Odoardo Maria Bordoni Odoardo Maria Bordoni

(I° parte)

Coreografo, Regista, Direttore artistico, Sceneggiatore e Saggista, Odoardo Maria Bordoni è un artista dalla personalità poliedrica e sempre alla ricerca di nuovi spazi dove poter operare per la promozione della cultura e dell’arte italiana. Nei suoi quattordici anni di lavoro all’estero è stato invitato nei più grandi teatri italiani ed internazionali di Europa (Russia, Francia, Germania, Austria, Belgio, Inghilterra e Lussemburgo), America (Stati Uniti e Messico), Asia (Singapore e Giappone). Laureato in Pedagogia della danza (Accademia Nazionale di Danza), in Regia e Coreografia (Conservatorio di San Pietroburgo, Russia), diplomato in metodologia dell’insegnamento della danza classica e del passo a due (Accademia Vaganova di San Pietroburgo, Russia), in storia del Teatro e dello Spettacolo (in corso di studi a Tor Vergata). Nelle ultime stagioni ha lavorato per il Teatro dell’Opera di Vilniius (Lituania) e per il Kingsport Ballet (Tennessee USA) e ha insegnato alla “School of the Arts” a Jacksonville (Florida USA). Da evidenziare inoltre le coreografie realizzate da Odoardo Maria Bordoni in Russia, presso il Teatro dell’Opera di Ekaterinburg, e la ricostruzione di antichi balletti e musical (tra cui Bajadère in 4 atti, Le Diable à Quatre ed altri).

Carissimo Odoardo Maria, nel 1983 ti diplomi presso l’Accademia Nazionale Danza nell’insegnamento della danza classica, cosa ti ha spinto verso questa scelta e come è nata la passione e il desiderio per la nobile arte coreutica?
Non sempre è facile capire i meccanismi e i percorsi della nostra mente, e come questa ci porta ad effettuare delle scelte. In famiglia ho una zia che aveva studiato all’École de danse du Théâtre du Châtelet di Parigi. Inoltre la prima che iniziò studi regolari di danza è stata mia sorella. Sin da bambino amavo la musica classica, che avevo incominciato a studiare, e seguendo mia sorella rimasi sempre più rapito dalla danza classica fin da decidere di studiarla. L’Accademia all’epoca era diretta da Giuliana Penzi, grandissima insegnante e direttrice che oggi tutti ricordano con grande affetto e gratitudine per il contributo dato all’arte coreutica italiana.

Nel 1986 all’Accademia Vaganova di San Pietroburgo ottieni il diploma in metodologia dell’insegnamento della danza classica e del passo a due. Quali sono i ricordi più belli legati al periodo accademico russo?
La borsa di studio mi fu concessa come danzatore, ma quando arrivai a San Pietroburgo (allora Leningrado) dopo le prime settimane vidi che all’Accademia Vaganova vi era il corso per insegnanti (allora biennale) e decisi di iscrivermi pensando che sarebbe stato un buon modo per sfruttare al meglio un’occasione che chissà se poi in futuro si sarebbe presentata. Vorrei far presente Michele che arrivai a San Pietroburgo nel 1984, all’epoca c’era ancora l’Unione Sovietica e di Gorbaciov ancora non si sapeva niente, in quanto fu eletto in seguito. Ricordo che all’epoca era molto difficile essere accettati a studiare in Unione Sovietica. Prendevano solo due studenti per ogni Paese e dovevano avere borse di studio ufficiali rilasciate dai governi delle loro nazioni. Ho dovuto aspettare diversi mesi prima che mi fu concesso il visto. Oggi credo che la mia scelta fu corretta, perché nonostante avessi solo ventidue anni mi resi conto che le lezioni di danza potevo comunque effettuarle sia in Accademia che in Teatro, ma il corso da insegnante mi avrebbe dato un titolo e una preparazione rara in Italia. Ho avuto la fortuna di trovare ancora degli insegnanti, molto anziani, formatisi in quel periodo d’oro del balletto sovietico che tanto lo ha reso famoso. Ad esempio la mia insegnante di metodologia, Irina Trofimova, era stata lei stessa allieva di Agrippina Vaganova, quindi era tra quelle poche che potevano affermare di possedere il vero “stile Vaganova”. Ma vorrei ricordare anche Nikolaij Serebrennikov, colui che ha strutturato il metodo dello studio della tecnica del “Passo a due”. L’esame d’ammissione non è stato facile e ovviamente l’ho potuto fare perché avevo già studiato russo in Italia. Nel corso ero il più giovane, gli altri erano tutti danzatori in pensione, principalmente di San Pietroburgo, ma alcuni provenienti anche da altre città dell’Unione Sovietica. Non bisogna dimenticare che in Russia all’epoca ed anche oggi, per insegnare danza è indispensabile avere un titolo. Corsi per insegnanti di danza c’erano in tutte le principali città, ma ovviamente il più prestigioso era quello della Vaganova e del G.I.T.IS. di Mosca. Gli studenti stranieri erano molto pochi, nove ragazzi e venti ragazze, e la maggior parte seguivano corsi per danzatore. Ero felice di aver raggiunto un mio sogno, forse il più grande. Il trovarmi a studiare e a danzare nell’Accademia, nel teatro dove hanno danzato da Nijinskij alla Pavlova, da Nureyev alla Makarova fino a Baryšnikov ed altre decine di stelle che non nomino per brevità. Io stesso ho avuto l’onore di danzare con Ol’ga Vtarushina prima ballerina del Teatro Kirov che era stata spesso partner di Baryšnikov e che aveva con lui vinto il celebre Concorso Internazionale di Varna.

Nel 1988 sempre a San Pietroburgo, al Conservatorio N.R. Korsakov, ti laurei in coreografia con specializzazione nella ricostruzione dei balletti del repertorio classico. Come avviene tale pratica e quanto è importante la salvaguardia del grande repertorio e come ottenerlo al meglio, soprattutto di questi tempi?
Conseguito il diploma di insegnante, grazie al rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di studio e diventato borsista del Ministero della Cultura Russo, decisi di proseguire i miei studi presso la Cattedra di Coreografia del Conservatorio N. Rimskij-Korsakov di San Pietroburgo, la più antica Cattedra di Coreografia in Russia fondata negli anni ’30, vent’anni prima del GITIS. Il corso di laurea in regia coreografica era ed è di quattro anni, ma valendo gli studi fatti all’Accademia Vaganova, ho potuto concludere il corso in soli due anni. Contemporaneamente ero entrato nella compagnia del Teatro Malij (oggi Mikhailovskij), il secondo teatro di San Pietroburgo. Durante gli studi a San Pietroburgo era nato in me il desiderio di studiare il repertorio classico, avendo visto in repertorio dei teatri Kirov e Malij balletti che da noi in Europa erano pressoché sconosciuti o considerati ormai dimenticati. Ebbi la fortuna di capitare nel corso del grande maestro e coreografo Pyotr Gusev, uno dei principali coreografi russi, grazie al quale è stato traghettato il repertorio ottocentesco dal periodo zarista al periodo sovietico. Se oggi abbiamo balletti come il “Corsaro”, “La Najade et le Pecheur”, “Harlequinade”, “La Sosta della Cavalleria” ed altri è stato proprio grazie alla sua immensa conoscenza del repertorio e alle sue doti artistiche e teatrali uniche. Questi furono gli anni in cui anche il direttore artistico dell’Accademia Vaganova K. Sergeev, molto avanti con gli anni, decise di riprodurre alcuni balletti ormai fuori dal repertorio da diversi decenni. Così Sergeev realizzò in forma cinematografica presso degli studi preposti la ripresa di balletti rari e preziosi come “La Fata delle Bambole” di N. Legat, oppure “Carnaval” di Fokin-Schumann, “Cleopatra” di Fokin-Arenskij. In qualità di studente di coreografia ma soprattutto come grande amico di K. Sergeev ho avuto l’onore di poterlo affiancare nella riproduzione di questi balletti, esperienza unica che ha segnato per sempre la mia professionalità. Ma vorrei ritornare alla figura del maestro e coreografo Pyotr Gusev. Ottantenne nel periodo in cui l’ho conosciuto, aveva una memoria eccezionale e ricordava perfettamente balletti ormai usciti dal repertorio e pressoché dimenticati. Per una eccezionale serata di Gala ricostruì il Pas de Deux del balletto “La Fille du Pharaon” di Petipa-Pugni, e del balletto “Talisman” di Petipa-Drigo. Il maestro Gusev aveva danzato l’intero balletto da protagonista e ricordava benissimo la coreografia. Io stesso, entrato in un intenso rapporto professionale, ma anche confidenziale, con il maestro Gusev, l’accompagnavo agli Archivi del Teatro Kirov per prendere gli antichi spartiti scritti a mano con le notazioni coreografiche riportate da Petipa. Dopo pochi mesi ho avuto il piacere e l’onore di affiancarlo nella ricostruzione del balletto “Le Corsaire” ormai assente dalle scene russe e del mondo da oltre venticinque anni, e che rischiava di essere dimenticato per sempre se a Vinogradov non fosse venuto in mente di commissionare a Gusev la sua ricostruzione, ultimo maestro vivente ad averlo interpretato decine di volte e che ne conosceva e ricordava l’intera coreografia. Parlo dell’edizione del Teatro Kirov ripresa l’anno successivo alla prima. Ovvero nel 1988 dalla BBC e che fu diffusa in videocassetta in tutto il mondo. Purtroppo la grande fatica mentale e fisica de “Le Corsaire” risultò fatale al maestro che venne a mancare ad un mese dalla prima, con notevole rammarico per tutto il mondo teatrale russo. Per me fu un duro colpo! Ne rimasi colpito come se avessi perso un familiare. Lasciava un immenso vuoto nella mia vita professionale, ma altresì mi lasciò in eredità l’amore e il metodo di lavoro adatto alla ricostruzione dei grandi balletti ottocenteschi, molti dei quali considerati persi per sempre, ma che invece potrebbero essere ricostruiti, risultanti inaspettatamente interessanti e ancora gradevoli per il pubblico del XXI secolo, come è stato dimostrato in più occasioni, compreso il successo conseguito dalla mia ricostruzione del balletto “Le Diable à Quatre” di Perrot-Adam per il Teatro dell’Opera di Ekaterinburg.

In qualità di danzatore ti sei esibito spesso in Francia e in Russia, entrando anche a far parte della mitica compagnia del Teatro Kirov di San Pietroburgo, oggi meglio conosciuto come Marinskij, divenendo il primo italiano inserito nella Compagnia. Com’è avvenuto il tuo ingresso? In questo lasso di tempo professionale ed artistico quali sono stati i ruoli che hai prediletto e perché?
Come avevo già detto, inizialmente la mia borsa di studio era finalizzata al perfezionamento di danzatore. Quindi sin dal primo anno avevo iniziato a partecipare a serate di gala in vari teatri di San Pietroburgo interpretando Pas de Deux del repertorio classico. I primi due Pas de Deux che ho ballato sono stati “Sylvia” nella coreografia di George Balanchine e il Pas de Deux di August Bournonville da “Infiorata a Genzano”. Entrambi li ho replicati in diverse occasioni sempre in coppia con Ol’ga Vtarushina, prima ballerina del Kirov, esigente ma anche prodiga di preziosi consigli sia tecnici che artistici. Riuscii ad attirarla proprio perché conoscevo il Pas de Deux di “Sylvia” in quanto l’avevo studiato a Parigi con il maestro dell’Opéra Lucien Duthuit. In Russia le coreografie di Balanchine non erano ancora in repertorio e la Vtarushina era molto interessata a danzarlo. Evidentemente in questi primi spettacoli venni apprezzato poiché un bel giorno, dopo aver assistito ad una lezione della Dudinskaja, la più prestigiosa maestra dell’Accademia, lei stessa una delle quattro più famose allieve di Agrippina Vaganova passata alla storia per essere stata una delle ballerine maggiormente virtuose del balletto sovietico della prima metà del ‘900, mi chiese di danzare in una serata commemorativa per un evento storico, il Pas de Deux del balletto “Harlequinade” nella versione originale di Marius Petipa che lei stessa aveva ballato sotto l’insegnamento della Vaganova che a sua volta l’aveva appreso da Petipa stesso, quindi una tradizione estremamente diretta che raramente oggi si riesce ad avere visto che ormai i balletti di repertorio, sono in qualche modo violentati da pseudo coreografi con scarsa cultura storica e coreografica. Il preparare il Pas de Deux di “Harlequinade” con la Dudinskaja fu per me una delle esperienze artistiche più stimolanti ed entusiasmanti. Studiavo tanto e dedicavo tutto il mio tempo a migliorare il mio fisico. Facevo esercizi anche a casa, tanto che i miei compagni presso la casa dello studente mi prendevano per pazzo. Crescevo tecnicamente con rapidità, anche grazie ai consigli dei maestri e ballerini con i quali lavoravo. Con loro c’era una bella atmosfera, scevra da invidie e gelosie, molto leale e amichevole. Presa fiducia in me stesso pensai che per accrescere la mia professionalità avevo bisogno di lavorare in teatro per interpretare dei ruoli in modo completo e non solo dei Pas de Deux. Così mi sono presentato al coreografo Nikolaij Bajarcikov, all’epoca direttore del ballo del Teatro Malij e chiesi un’audizione e fui preso. Seguirono diversi ruoli nei balletti “La Silfide”, “Schiaccianoci”, Lago dei Cigni”, “Harlequinade”, “Le Corsaire”. Il caso volle che Nikolaij Bajarcikov diventò anche uno dei miei docenti del corso di coreografia al Conservatorio di San Pietroburgo, esattamente del corso di composizione coreografica. Vorrei ricordare che oggigiorno la realtà teatrale va lentamente trasformandosi anche in Russia, ma all’epoca a San Pietroburgo e a Mosca c’erano due grandi teatri d’opera e balletto; i principali erano il Kirov a San Pietroburgo e il Bolshoij a Mosca, che erano i teatri detentori della tradizione del balletto classico ottocentesco, mentre il Teatro Malij a San Pietroburgo e il Teatro Stanislavskij a Mosca erano i due teatri dedicati ai lavori sperimentali, dove insieme al repertorio classico presente solo con i titoli principali, venivano dedicate grandi energie e spazi per le nuove creazioni coreografiche, innovative sia nelle soluzioni plastico-coreografiche come anche nelle tematiche, e di conseguenza erano diretti da veri coreografi, a differenza del Kirov e Bolshoij che invece miravano al mantenimento della tradizione, e davano poco spazio a nuove creazioni peraltro non eccessivamente innovatrici dal punto di vista del linguaggio coreografico e dei temi trattati. Quando iniziai a studiare alla Cattedra di coreografia del Conservatorio mi trovavo un uomo in un momento di grande euforia artistica, grazie anche ai successi che stavo ottenendo come danzatore e pensai di trasferirmi al Teatro Kirov, dove fui preso dopo la relativa audizione. Lavorai sotto la direzione del maestro Semionov, amico ed assistente del maestro Pushkin, a lui subentrato nelle lezioni e prove dei solisti della compagnia del Kirov. Rimasi subito colpito dalle sue lezioni, complete di tutti quegli elementi tecnici indispensabili al danzatore per mantenere un alto livello tecnico. Semionov usava ripetere che la preparazione fisica di un danzatore è una componente essenziale del livello della sua professionalità. In effetti se ci soffermiamo a riflettere: interpretare un ruolo in un balletto in due o tre atti significa stare in scena per almeno novanta minuti, come in una partita di calcio, ed eseguire un Pas de Deux completo con adagio variazioni e coda in ogni atto. La cosa che ancora oggi ricordo con estrema lucidità era che noi tutti al termine delle sue lezioni uscivamo sudati e stanchi, ma di una stanchezza positiva nella quale i muscoli erano non contratti e stressati ma caldi ed elastici, pronti ad eseguire nelle prove che seguivano qualsiasi elemento tecnico, le gambe volavano leggerissime e il corpo era flessuoso e reattivo. Lo stile di Semionov era quinta essenza dello stile del Kirov dove la tecnica non era mai portata agli eccessi, ma si manteneva sobria ed era sempre finalizzata ad evidenziare il carattere del personaggio e l’estetica di quel balletto, tutti elementi tipici della filosofia coreografica di tradizione francese. Questi elementi la facevano differenziare dalla tecnica del Bolshoij più portata al limite e all’effetto, quasi diventando fine a se stessa, concezione dell’estetica coreografica di derivazione italiana che paradossalmente se Cecchetti lavorò a San Pietroburgo la sua eredità è stata recepita maggiormente dai danzatori e maestri che si sono trovati a sviluppare la scuola moscovita nel periodo post rivoluzionario. Vorrei citare un aneddoto: nel primo periodo nel quale avevo iniziato a studiare nella classe di Semionov al Kirov mi sono trovato nello stesso periodo della sessione di esami al Conservatorio; studiavo fino a tardi e la mattina mi alzavo con difficoltà e di conseguenza arrivavo in teatro a lezione finita, mi riscaldavo da solo e iniziavo le prove. Dopo qualche giorno, prima di iniziare a provare, Semionov si avvicinò e mi chiese: “Tu hai un’assicurazione contro gli infortuni?” “No” risposi e lui replicò, “Strano, ho lavorato molto in Occidente e so che da voi i danzatori stipulano polizze per gli infortuni. Da noi non ci sono compagnie assicuratrici private, ma nonostante tutto anche da noi i danzatori hanno un’assicurazione contro gli infortuni, sai qual è?” “No” risposi. E lui proseguì “L’assicurazione contro gli infortuni che noi abbiamo è la lezione. Una buona lezione ti permette di affrontare le prove con il corpo pronto nelle migliori condizioni, e di danzare la sera mettendolo al riparo da logorii e traumi.” Ancora oggi ricordo queste parole e penso che avesse ragione. All’epoca i teatri d’opera russi rappresentavano tre balletti a settimana, e la stagione durava dieci mesi. C’erano diversi primi ballerini e prime ballerine e tutti andavano in scena almeno due-tre volte al mese. Nessuno che cercasse di rubare la recita al collega, anzi c’era una bellissima collaborazione. Il repertorio del teatro comprendeva una ventina di balletti. Ricordo che ho avuto il piacere di danzare con partner eccezionali come Tatiana Terekhova, Lubov Kunakova, Altynai Asylmuratova, Ol’ga Vtarushina, tanto per citarne alcune, con le quali ho danzato “Don Chisciotte”, “Giselle”, “Le Corsaire”, “Bajadére” ed altri. Quindi a San Pietroburgo fui colpito dal rapporto amichevole e fraterno che c’era nelle compagnie dei teatri, molto diverso dal clima di gelosie e rivalità che dominano nei nostri teatri. Soprattutto fui colpito dal rapporto che esisteva tra il maestro e il ballerino. Il rapporto era quasi un rapporto che c’è tra genitore e figlio, scevro da qualsiasi interesse economico. Le grandi maestre che generalmente non avevano avuto figli per dedicarsi completamente alla carriera di ballerine, avevano nei confronti delle loro allieve un rapporto che non avevo mai visto prima. Seguivano i loro allievi anche una volta diventati professionisti ed erano entrati nei teatri, e si dedicavano a loro come un genitore si dedica al proprio figlio, seguendolo non solo durante le prove, ma anche per tutto ciò che concerne i costumi, la dieta, e anche in caso di malattia o traumi. Ricordo che la prima volta che danzai al Kirov, anche se ormai avevo già danzato al Malij e in altri teatri di San Pietroburgo e di Novgorod partecipando a spettacoli nei quali vi erano primi ballerini del Kirov, eppure ero emozionatissimo. Semionov, il maestro che curava la mia preparazione sicuramente si accorse del mio stato d’animo e mentre mi riscaldavo in scena, pochi minuti dall’inizio, si avvicinò a me con un bicchierino e mi disse: “bevi tutto d’un sorso” vedendo un liquido trasparente pensai ad acqua con sali minerali, che generalmente veniva dato dopo le prove, invece era Vodka. Per me che non ero abituato a bere quel bicchierino mi fece uscire le fiamme perfino dalle orecchie, però fece il suo lavoro. Mi sentii subito più tranquillo e rilassato e in scena riuscii ad essere sufficientemente concentrato e non teso da poter dare un’esecuzione di ottimo livello. Ci tengo a precisare che gli effetti dell’alcool su un danzatore sono devastanti in quanto avendo tra gli effetti quello di alterare l’equilibrio, penalizza molto la coordinazione ma soprattutto l’esecuzione di qualsiasi tipo di giro, sia a terra (pirouettes e tours nelle grandi pose) che in aria (tours en l’air, assemblé en tournant ecc.), quindi non consiglio di seguire l’esempio; però in quella determinata situazione, quel bicchierino peraltro mezzo vuoto mi fu d’aiuto. Comunque anche negli spettacoli successivi sentivo sempre una grande emozione. Danzare al Kirov significava misurarsi con la storia della danza; pensare di calcare quel palcoscenico dove da Perrot a Saint-Léon a Petipa avevano riprodotto coreografie e creato capolavori immortali, pensare che sul quel palcoscenico si erano esibiti dalla Taglioni alla Grisi, da Cecchetti alla Legnani, da Nijinskij a Fokin, fino ad arrivare a Nureyev, Makarova, Soloviov e Baryšnikov, non poteva che dare un grande senso di responsabilità ma anche degli stimoli eccezionali per dare il massimo, sia dal punto di vista tecnico che artistico-interpretativo.

Mentre del periodo legato alla compagnia Euroballet nel Lussemburgo quali sono stati i momenti di maggior arricchimento artistico?
Della compagnia Euroballet non ho un ricordo particolarmente brillante. La compagnia è durata solo due stagioni. Io vi ho lavorato solo una, la seconda. Avevo finito i miei studi a San Pietroburgo e sentivo il bisogno di rientrare in Italia. Avevo nostalgia e volevo dare il mio contributo, portare al teatro coreografico italiano la mia esperienza e le mie conoscenze. Poi ho fatto l’audizione a Lussemburgo e ho accettato il lavoro pensando che le coreografie neoclassiche in programma potessero costituire per me un ulteriore arricchimento. Gli spettacoli erano pochi, e tra una produzione e l’altra c’erano dei lunghi periodi di inattività. Per questo ho potuto lavorare in tour con un’agenzia francese che organizzava Galà in tutta Europa ma anche in Giappone. 

Chi sono stati i tuoi maestri non solo pratici ma anche ideali dai quali hai attinto maggiore slancio per crescita e condivisione?
I grandi maestri che mi hanno lasciato un’impronta indelebile sono stati Irina Trofimova docente di Teoria della danza e metodologia al corso per insegnanti di danza dell’Accademia Vaganova, eccezionale conoscitrice del metodo Vaganova essendo stata lei stessa sua allieva e collaboratrice, anche se ebbe una breve carriera di danzatrice. Tra gli insegnanti che ho avuto per la preparazione tecnica di danzatore ho un vivo ricordo di Yuri Umrixen all’Accademia Vaganova e Vladlen Semionov al Teatro Kirov, entrambi due grandi personalità artistiche che amavano profondamente il loro lavoro di maestri e facevano sentire noi danzatori come loro figli. Erano severi nel senso più positivo del termine, pretendevano sempre il massimo sia a lezione che nelle prove, ma erano comprensivi e rispettosi. Non si rivolgevano mai con termini umilianti o dispregiativi, ci davano del Voi anche quando si aveva un rapporto professionale consolidato negli anni, erano molto premurosi per le nostre condizioni fisiche, un po’ come un allenatore di una squadra di calcio prima di un importante torneo, ma soprattutto notavo la loro sincera soddisfazione quando i danzatori che lavoravano con loro raggiungevano traguardi tecnici ed avevano successo in scena.

Intervista a Odoardo Maria Bordoni - I° Parte

Intervista a Odoardo Maria Bordoni - II° Parte

Intervista a Odoardo Maria Bordoni - III° Parte

Intervista a Odoardo Maria Bordoni - IV° Parte

Michele Olivieri

Ultima modifica il Mercoledì, 05 Febbraio 2020 00:59

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