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INTERVISTA a DANIELA MACCARI - di Michele Olivieri

Daniela Maccari. Foto Maurizio Maltoni Daniela Maccari. Foto Maurizio Maltoni

Daniela Maccari, nata a Pisa, inizia lo studio della danza all'età di cinque anni nella sua città con Elsa Ghezzi per proseguire poi con Ioana Butnariu, solista dell'Opera di Bucarest e Bryan Poer, del Ballet du XXe siècle di Bejart. Studia e si perfeziona in seguito con Marina van Hoecke, facendo tesoro del bagaglio professionale e umano di questa grande maestra e diventandone successivamente anche assistente. Con assoli creati appositamente per lei da Marina van Hoecke, danza come solista ospite in Gala in numerosi teatri italiani. Nel 1991 vince il concorso internazionale "Giovani Talenti". Nel 1994 consegue il diploma di Attore Scenico, al termine del corso di formazione professionale diretto da Micha van Hoecke. Consegue la laurea in lettere classiche con il massimo dei voti e la lode. Dal 1991 al 1994 danza nella compagnia "Effetto Parallelo" di Michele Arena, partecipando a tutte le produzioni. Danza in varie produzioni liriche come "La Traviata" e "Orfeo e Euridice", con la regia di Micha van Hoecke, "Macbeth", "Un ballo in maschera", "La Vedova allegra". Danza dal 1995 al 1998 in una delle più importanti compagnie del panorama italiano, "L'Ensemble di Micha van Hoecke", nelle produzioni "Carmina Burana", con Luciana Savignano, "La Derniére Danse?", "Orfeo ed Euridice"; continuando ad avere anche in seguito altre collaborazioni con il Maestro van Hoecke. Successivamente fa parte della compagnia "Sizicondi Loble" del coreografo belga Serge van de Velde, con Maître de ballet Marina van Hoecke, danzando come Solista in tutte le creazioni: "Chants élidés", "Comptoir des peines", "Bagatelles", "Sacre du Printemps", "Inferno Bianco". Collabora costantemente come danzatrice e coreografa con il teatro Verdi di Pisa. Nel 2006 l'opportunità di seguire il "Wuppertal Tanztheater" di Pina Bausch come stagista, le permette di osservare da vicino il lavoro della straordinaria coreografa. Successivamente prende parte come danzatrice ed assistente alla creazione "Pathos, la tragedia delle donne troiane", di Micha van Hoecke, che dopo un'anteprima a Roma e il debutto per il "Ravenna Festival" è stato portato in tour in Sicilia nei più suggestivi teatri greci, Tindari, Catania, Morgantina ed altri. Nel gennaio 2009 avviene il fortunato e decisivo incontro con il geniale Lindsay Kemp che dà inizio ad una intensa collaborazione: da allora lo segue infatti come danzatrice, coreografa ed assistente in tutte le sue produzioni. Coreografa ed assistente alla regia in "Sospiri di Balera" e "I Sing Ammore", in cui danza anche il primo solo creato per lei da Kemp. Coreografa ed assistente per la rimessa in scena di "Cinderella", per il Teatro Goldoni di Livorno e "The Illusionist", per il Teatro dell'Opera di Roma. Kemp le affida poi il ruolo della Principessa nella nuova creazione "Histoire du Soldat", che dopo aver debuttato a Bari è stato portato nei maggiori teatri italiani. Seguono le opere liriche "Il Flauto Magico" e "La Traviata", in cui ha ricoperto il ruolo di coreografa, assistente alla regia e prima ballerina danzando il celebre passo a due del Torero con Antonio Aguila. Danza come prima ballerina anche nella nuova produzione "Kemp Dances", in cui Lindsay Kemp crea appositamente per lei e Ivan Ristallo "La Femme en rouge" e interpreta il solo "The Swan" di Marco Berriel e Lindsay Kemp. Interpreta inoltre il ruolo della "ballerina" in "Frammenti dal diario di Nijinsky", accanto al grande Maestro. Per "Kemp Dances", Kemp le fa un altro "regalo"; chiede al Maestro belga Luc Bouy di rimontare per lei e Ivan Ristallo "Mi vida", pezzo di forte impatto e suggestione che era stato creato per Luciana Savignano e Massimo Murru. "Kemp Dances" dopo essere stato nei maggiori teatri italiani come Roma, Trieste, Parma, Genova, Firenze, Varese, Sassari, ha continuato a riscuotere consensi anche in Spagna, in teatri di tradizione storica come il Teatro Lope de Vega a Siviglia, il Teatro Cervantes a Malaga, Teatro Calderon a Valladolid, Palacio de Festivales de Santander e poi Bilbao, Vitoria, Cordoba, Pamplona e il Festival de la Porta Ferrada, solo per citarne alcuni. Lindsay Kemp crea per lei "Canto alla Luna" su musica di Dvorak e "The witch" danzata con le percussioni suonate dal vivo da Joji Hirota, per lo spettacolo "Kemp Dreams Kabuki Courtesans", a Firenze in occasione di "Pitti Uomo". Ha affiancato Lindsay Kemp anche in tutta l'attività formativa dei numerosi workshops ed anche progetti laboratoriali con performance finale come "Romeo & Juliet Project" a Verona nel 2013 e 2016, "Illuminations per Dance Base" di Edimburgo, i laboratori alla "Royal Academy of Dramatic Art" di Londra, alla "Guilford School of Acting", "University of Surrey", al "Conservatorio Real de Madrid", a Firenze per l'"Istituto Europeo del Design" e inoltre Roma, Milano, Genova e L'Aquila per il progetto "Il cratere del Terremoto" ed altri. Ha ricevuto con gioia ed onore dalla sua città il premio "Pisani si nasce", riconoscimento dato ad eccellenze nate a Pisa e distintesi in vari campi. Collabora con il cantante inglese Tim Arnold nel progetto multimediale "What love would want"andato in scena a Manchester con Lindsay Kemp nel ruolo dell'Amore. Dopo l'improvvisa morte di Lindsay Kemp, avvenuta lo scorso agosto, con David Haughton, storico collaboratore di Lindsay Kemp, e gli altri membri della compagnia Ivan Ristallo, James Vanzo ed Alessandro Pucci, cercano di mantenere vivo il genio del Maestro, con varie attività, dal vivo ed anche online per renderlo ancora più accessibile. Lo spettacolo "Kemp Dances" si è trasformato in "Kemp Dances Ancora, Un tributo di amore per Lindsay" ed in esso, per precisa volontà del Maestro, Daniela Maccari danza anche i ruoli di Kemp "The Flower", "L'Angelo" e "Ricordi di una Traviata" nel quale quasi "duetta" con Kemp in video. Il Maestro, in un gesto unico e mai avvenuto in passato con nessun altro, le aveva infatti insegnato e curato la preparazione di questi suoi pezzi storici ed aveva espresso il desiderio che, dopo la sua morte, lei continuasse a danzarli per lui, in una sorta di eredità artistica, lasciandole anche i diritti d'autore degli stessi.

Carissima Daniela, parliamo subito di Lindsay Kemp, come vi siete conosciuti?
Ero in vacanza a Parigi e ricevo un messaggio da un mio carissimo amico, Simon Blackhall, attore che stava già lavorando con Lindsay, in cui mi chiede se potesse interessarmi lavorare con Lindsay Kemp che aveva bisogno di una assistente coreografa urgentemente per rimettere in scena "Cinderella", e che se fossi stata interessata mi avrebbe fatto subito un'audizione. Be' inutile dire che leggevo e rileggevo il messaggio perché poteva sembrare un tipico scherzo! Ed inutile dire che ho immediatamente anticipato il volo per rientrare dalla vacanza!

La collaborazione ed amicizia con Lindsay ha creato un sodalizio artistico ed umano molto solido. Raccontami qualcosa in particolare del vostro rapporto?
L'audizione per "Cinderella" andò molto bene, e non solo mi volle con sé per quella produzione ma mi ha tenuto per tutte le successive, come prima ballerina, coreografa e collaboratrice. Lavorare con lui era un fatto totale e viscerale. Mi sembrava di non lavorare mai perché tanta era la gioia, il divertimento, le risate, la passione, ma d'altra parte lavoravamo sempre perché, anche in momenti di pausa, in viaggio in treno o in aereo, tra una canzone e l'altra, uno scherzo e un indovinello, poteva avere un'idea o vedere qualcosa che gli desse un'ispirazione e quindi cominciavamo subito a parlarne. Lindsay era un gentiluomo, con un rispetto infinito per il lavoro degli altri, sapeva chiedere ma anche ringraziare, infondere fiducia, essere una continua fonte di ispirazione, di incoraggiamento. Ed è anche forse la persona più simpatica, ironica e auto ironica, che abbia mai conosciuto. Sicuramente è la persona con cui ho riso di più! Ci legava una enorme complicità: due danzatori trasportati dalla musica in un altro mondo, a volte due ragazzini indisciplinati che scalpitano ad una riunione noiosa dandosi gomitate, due amici che si raccontano e confidano, due sognatori che condividono i loro sogni. Mi ha sempre fatto sentire all'altezza. Mi ha sempre ascoltata, incoraggiata e stimolata. La collaborazione era totale e quasi mi sembrava che dove si fermava uno continuasse l'altro. Ha sempre incoraggiato moltissimo la mia creatività e dimostrava di volere a sua volta essere continuamente ispirato da me, cosa che mi rendeva profondamente felice.

Nel periodo precedente alla scomparsa di Lindsay avete portato in scena "Kemp Dances". Mi parli dell'evoluzione nel tempo di questa produzione, rimasta oggi a testamento artistico finale del grande Maestro?
"Kemp Dances" gioca sul doppio significato in inglese di Kemp danza e le danze di Kemp. È uno spettacolo antologico in cui si alternano "soli" storici di Lindsay, come "Ricordi di una Traviata", "The Flower" e "The Angel", con nuovi pezzi creati appositamente per noi. E tutti eravamo in scena insieme in "Frammenti dal diario" di Nijinsky. Il sottotitolo, "Invenzioni e reincarnazioni", sta ad indicare proprio questo ed una delle caratteristiche principali del lavoro di Lindsay; anche i pezzi di repertorio, si reincarnavano ogni volta con nuova ispirazione, nuovo nutrimento, sempre in evoluzione e in cambiamento. Come se scalpitasse sempre di una feconda smania creativa. Dovevano essere sempre "invenzioni". E difatti pur mantenendo la sua identità, lo spettacolo ha visto negli anni cambiamenti nel programma, miglioramenti nei costumi o negli oggetti di scena. Ci ha insegnato che il pubblico, qualsiasi pubblico, ovunque, in un piccolissimo teatro o in un teatro da migliaia di posti, ha sempre il diritto a vedere il più bello spettacolo possibile. Lo abbiamo visto aggirarsi nelle quinte con un pennellino in mano per dipingere fino all'ultimo momento qualche pezzo di attrezzeria o tingere stoffe con le mani tutte sporche e colorate come un bambino. Mi sono sorpresa a vederlo nervoso prima di ogni spettacolo e prima di ogni classe. Nonostante una carriera così lunga, il successo, l'approvazione continua, si è sempre messo in discussione, ha sempre avuto dubbi, sempre curioso, ha sempre cercato di nutrirsi. E penso che anche questo aspetto sia una delle sue grandezze. E così anche "Kemp Dances" si è evoluto attraverso le varie date dei vari tour in Italia e in Spagna.

Per chi non lo avesse visto, cosa deve aspettarsi oggi in scena, nella riproposizione senza Kemp?
Con David Haughton, storico collaboratore di Lindsay, Ivan Ristallo, James Vanzo e Alessandro Pucci, il cast di "Kemp Dances", ed in totale sintonia con tanti membri che hanno fatto parte della compagnia in passato, abbiamo immediatamente sentito il bisogno, la necessità, il dovere di continuare a "far danzare" Lindsay. Di cercare di continuare a spargere la sua luce, certamente con profonda umiltà e grande amore. Lo spettacolo adesso si chiama "Kemp Dances Ancora" e si è trasformato in un tributo a Lindsay. Ci sono immagini di alcuni collages video che, introdotti da David Haughton, mostrano alcune delle straordinarie trasformazioni di Lindsay. Ci sono "Il cigno", danzato da me e "La Femme en Rouge" creato per me ed Ivan che facevano parte di "Kemp Dances". E, per desiderio di Lindsay, io danzo anche i suoi ruoli, "The Flower", "The Angel" e "Ricordi di una Traviata" in una sorta di duetto con lui che appare in video nell'entrata e nel finale. Sì, un paio di anni fa, mi trovavo in sala prove con Lindsay per provare ciascuno i suoi pezzi. Improvvisamente lui mi disse che voleva che cominciassi a provare anche i suoi assoli, che voleva che facessero parte del mio repertorio come i ruoli che aveva creato per me, e che voleva assolutamente che dopo la sua morte o quando lui non avesse più potuto, io continuassi a danzarli. Fui sopraffatta da varie emozioni, sicuramente gioia e gratitudine infinita ma anche turbamento. Per me Lindsay avrebbe per sempre danzato quei pezzi. E sapevo bene anche che non lo aveva mai chiesto a nessuno. Al mio continuo stralunare gli occhi, Lindsay come al solito rispose con qualche buffa espressione e con una canzone. Da quel giorno me li ha insegnati e sempre fatti provare.

Lindsay era molto amato, un mito vivente, un artista speciale che ha saputo reinventarsi e al contempo restare fedele a se stesso e alla sua genialità. Per te, Daniela, cosa ha significato lavorare e condividere la scena ma anche la vita quotidiana con un personaggio così totalizzante?
Sono stata consapevole fin dal primo istante di essere stata molto fortunata ad incontrarlo e a lavorare al fianco di un genio da cui impari ogni volta che apre bocca o fa anche un piccolo gesto. Consciamente, ma a volte anche inconsciamente, mi stimolava ad approfondire e a nutrirmi. Non mi sono mai posta questa domanda prima, ma oggi posso affermare che ho vissuto questa collaborazione nella maniera più naturale possibile. Dopo cinque minuti di audizione mi sembrava di aver lavorato con lui da sempre. Evidentemente il percepire di essere così ben accolta mi ha permesso di pormi sempre in modo totalmente sincero. Sulla scena la forza che irradia da lui è enorme, ma mai mi ha spaventata. È una forza, una luce che non offusca gli altri, ma li fa brillare.

La sua presenza come ha arricchito e nutrito la tua anima ma anche il tuo essere donna al di fuori della scena?
Lindsay ci sollecitava a danzare come se fosse la prima volta. Anche sollevare un braccio non è scontato, è un miracolo, e dobbiamo godercelo con la gioia, la sorpresa, l'incredulità della prima volta. Ma ancora più importante ci esortava a danzare come se fosse l'ultima volta, il più generosi possibile, il più coraggiosi, più belli possibile, donando tutto di noi senza risparmiare niente, dando il massimo dell'energia, dell'incoraggiamento e di ispirazione possibile. Lindsay sicuramente ha anche vissuto così. Non c'era differenza tra la danza e la vita. Mi incantava vederlo gioire di una gioia semplice ed infantile per la bellezza della pioggia o del sole, poco importava, di fiori appena acquistati o del colore di un tessuto perfetto per un costume. Ci ha insegnato che dobbiamo portare luce quando entriamo in palcoscenico, che dobbiamo riempire l'universo di luce. Lindsay ha sicuramente portato luce anche nelle nostre giornate. Al di là di tutti gli insegnamenti sulla scena, che certamente sono il mio tesoro, sono questi aspetti che vorrei portare sempre con me. Vorrei portare con me al di fuori della scena un po' della generosità e totalità con cui ci esortava a danzare.

Lindsay amava mettere in risalto l'interiorità esternandola, a cosa dava maggiore importanza durante le prove?
"Voglio vedere il vostro spirito che danza... più pazzi, dovete essere pazzi, posseduti... don't act, be!". E per trovare la nostra libertà, scevra da inibizioni, la musica ci aiuta. "Abbandonatevi alla musica come un albero si abbandona alla brezza, lasciatevi trasportare in un altro mondo, lasciate questo studio e questa città, la musica vi suggerirà tutto, anche la coreografia!". "Danza senza risparmiare niente, in modo totale. Rischia! Rischia di essere ridicolo, di cadere, ma mai di essere noioso!". Le parole che usava più spesso erano: "For you". Per te, per voi. Far capire al pubblico che stiamo danzando per loro. Con il cuore in mano. "Due mani... due cuori!". E poi trovare un paio di occhi per comunicare, scambiare amore, dare ispirazione, perché niente è un fatto privato, ma dobbiamo raccontarlo e condividerlo. "Share, share!" Ci ricordava di fare di ogni nostro gesto, un regalo. Ogni movimento deve essere "una cartolina" dal nostro cuore al cuore degli altri. Ed ogni gesto deve avere un significato, raccontare qualcosa.

Cosa ti ha attratta maggiormente nel percorso professionale al fianco di Lindsay Kemp?
Un nostro motto era: "never boring! Mai noioso!". È un po' l'essenza del percorso professionale con Lindsay! Mi ha sempre sorpreso con richieste nuove e inaspettate. Ed è entusiasmante continuare ad essere sorpresi dopo tanti anni. Mi sono trovata a fare cose che un attimo prima non avrei mai creduto fossero possibili o mi riuscissero. Mi ha chiesto una grande versatilità. Dopo un primo solo che aveva concepito per me, un omaggio al burlesque in cui danzavo con tacchi alti rossi sgargianti, ubriaca e facendo finta di fumare (io astemia e mai fumato!), è arrivata la Principessa di "Histoire du Soldat" con scarpe da punta e fouettés. In "Kemp Dances" e "Kemp Dances Ancora", danzo a piedi nudi, con le mezzepunte, con i tacchi e con una punta sola! Mi piaceva sentirmi così stimolata, messa alla prova ma mai sotto esame. È il famoso insegnamento di cui parlavo prima, "rischiare"!

Mentre del suo percorso professionale, anche prima di conoscervi e collaborare, quali aspetti ti affascinavano?
Mi affascinava soprattutto lui. Questo artista un po' indefinibile da cui non riesci a distogliere lo sguardo, che ipnotizza in scena. È questo un altro suo insegnamento, porre il pubblico sotto il nostro incantesimo. Gli occhi, da cui esce l'anima, devono brillare, incantare. E dopo aver conosciuto il Lindsay uomo così semplice, simpatico e burlone, ancora più in scena mi affascinava la trasformazione. Io bambina avevo già trovato in casa programmi di sala dei suoi spettacoli visti dai miei genitori. Una volta la mia mamma mi aveva anche regalato una maglietta con un suo disegno con Puck e la spilla con i famosi occhi, simbolo di "Flowers". Poi ragazzina, finalmente, i miei mi portarono a vederlo. Era Alice, un turbinio di colori, costumi, semplicità e ricchezza, una sorpresa continua. Tutto così nuovo e travolgente!

Tra tutti i suoi spettacoli a quale sei più legata e perché?
Sicuramente "Kemp Dances" per i ruoli meravigliosi che mi ha regalato in questo spettacolo, così vicini a me e che amo appassionatamente; per aver danzato accanto a lui in uno dei suoi ruoli preferiti, Nijinsky; per gli splendidi ricordi dei vari tour in teatri meravigliosi carichi di tradizione e cito soltanto, tra tutti, il Teatro Lope de Vega a Siviglia con la sua tradizione, o la bellezza mozzafiato del Rossetti a Trieste; per l'incredibile accoglienza che il pubblico ci ha sempre tributato; per momenti di gioia condivisi con una compagnia molto molto affiatata. Ma anche "Histoire du Soldat" con il ruolo della Principessa che ho amato per la sua ironia e quasi comicità irriverente ma che mi spaventava sempre per le difficoltà tecniche, compresi i fouettés fatti con parrucca ed orecchini che temevo volassero via! Non potrei non essere legata a "Flowers" per aver visto per anni, negli occhi delle persone, la gratitudine e l'ammirazione per quel capolavoro che ha cambiato la vita o la visione artistica di tanti.

Oggi con gli altri ragazzi della compagnia proseguite il viaggio di Lindsay, conservando la tradizione del teatro kempiano, quali sono gli obiettivi più importanti?
Lindsay ci insegnava e ci ricordava con insistenza, che l'artista ha la grande responsabilità di sollevare lo spirito dello spettatore, portare luce, dare amore al pubblico e a tutte le persone intorno, di danzare "for you". Dobbiamo prendere lo spettatore, sollevarlo dalla platea e portarlo nel nostro mondo. Noi che abbiamo la fortuna di essere liberi, con la nostra danza, abbandonandoci ad occhi chiusi alla musica, dobbiamo aiutare gli altri a liberarsi dalle loro inibizioni fisiche o mentali. Ci diceva che dovremmo sempre sperare e cercare di aver contribuito a rendere il mondo migliore. Tutto questo avremo sempre in mente ogni volta che, con immensa cura e dedizione come quella che ci metteva lui, saliremo sul palcoscenico.

Daniela mi hai raccontato spesso della quotidianità goliardica, al di là della scena, e dell'amore per la gente verso Lindsay, qual era lo stupore e la gioia nell'incontrarlo nella vita di tutti i giorni?
Era lo stupore di vedere il grande artista che continuava a stupirsi di essere fermato per strada per ricevere dei complimenti. Di vedere l'uomo che viveva come ci insegnava a danzare, con il cuore in mano. "For you". Di vedere quanto fosse amato da qualsiasi persona lavorasse in teatro per il rispetto e la simpatia che dava a tutti, che facevano poi accettare con il sorriso anche richieste difficili e pignole. La gioia nel vedere lo stesso amore anche in chi non ha lavorato con lui ma lo incontrava al mercato o in ascensore. E notare che aveva sempre una frase e un saluto per tutti, e vedere con quanta confidenza i livornesi per strada si sbracciavano con un "ciao Lindsay". Di vederlo disperato finché non trovava un fioraio aperto per comprarsi dei fiori e poi vederlo gioire per una piantina come fosse un diamante o perché la distanza dei bottoni dei costumi dei coristi è finalmente giusta!

Come definiresti l'arte di Lindsay?
La sua arte, come del resto la sua giornata, la sua vita, sono una poesia coloratissima, scritta col cuore, con grande attenzione alla "bellezza".

La sua creatività spaziava dal teatro, alla danza, alle arti figurative e visive, al trucco, ai costumi, alla pittura, alla ceramica. Dove trovava continua ispirazione e inediti stimoli per il suo lavoro?
È sempre stato assetato di stimoli e credo fosse una dote saperli trovare ovunque e sempre. Sicuramente principalmente dalla vita di tutti i giorni, dalle persone, dalle storie che sentiva. Fin da bambino piccolissimo per esempio affascinato dalle stampe giapponesi, dai kimono e dai ventagli che il padre, marinaio, portava a casa dopo lunghi viaggi. Dal cinema, a cui la madre, grande amante, lo portava spesso, fino alla rivelazione che fu "The Red Shoes". Dalle pantomime natalizie inglesi con i loro effetti di luce e scenografici. Da qualsiasi stoffa che gli passasse tra le mani. Ma anche un rotolo di carta igienica, in collegio, bastò per diventare le sete che avvolgevano "Salomè" nella sua danza. Dall'amore-devozione per i "Ballets Russes" di Diaghilev conosciuti la prima volta sui libri. E la Commedia dell'Arte. E Isadora. E moltissimo dalla letteratura, dalla pittura e scultura. Ha sempre sentito il bisogno di citare i suoi maestri e le sue fonti con grande consapevolezza e riconoscenza, ed ha sempre sentito la necessità di continuare ad arricchirsi vedendo il più possibile, leggendo molto, tanta poesia, e ascoltando sempre, in continuazione, musica. Nella sua casa non c'era mai il silenzio.

L'umanità e l'umiltà di Lindsay rimangono da esempio per tutti?
Sono fermamente convinta che Lindsay abbia lasciato il segno non solo nella storia della danza e del teatro. Non lo percepisco solamente ora dopo la sua scomparsa, ma l'ho sempre sentito nelle parole delle persone e visto nei loro occhi.

Raccontami qualche episodio legato ai "famosi" scherzi bonari di Lindsay ai suoi collaboratori?
In "Histoire du soldat", il soldato doveva estrarre dallo zaino la foto della fidanzata e guardarla ispirato... in quella cornice c'è stato messo di tutto! Per anni mi ha aperto la porta di casa sua ogni volta con uno scherzo diverso, anche ingegnandosi, e quasi sempre con maschere orribili per spaventarmi per poi continuare a riderci per il resto della giornata. Una volta temendo che potessi aspettarmelo, fece l'agguato immediatamente all'apertura dell'ascensore. Per giorni rideva dicendo di aver letteralmente visto i miei capelli ritti, insieme all'urlo. E fortunatamente ero sola in ascensore. Una volta dalla porta è uscita una mano grondante sangue (il sangue che usavamo per Dracula). La porta macchiata di sangue ha poi inquietato chiunque altro andasse a trovarlo. Spesso lo vedevi aggirarsi in teatro con qualche parrucca non sua, anche nei momenti più seri o ufficiali. Ma lo scherzo preferito era urlare a squarciagola, nel silenzio totale, in momenti anche di concentrazione "hi!", facendoci saltare in aria.

Il teatro di Lindsay rispecchiava la vita con tutte le sue sfumature pur nella sua oniricità?
È proprio così Michele! Traendo ispirazione dalla vita, da storie, caratteri e sentimenti profondamente umani, elevandoli in una dimensione più surreale pur mantenendo la loro realtà. Credo che avesse una grande dote nel saper mescolare i diversi tenori con grande equilibrio; gioia e dolore, comicità e tragedia. Ed anche questo vale anche per la vita quotidiana. Sempre, dopo dolore o sofferenza, c'era una luce, sempre speranza.

Come ricordi l'audizione con Lindsay?
Probabilmente non avevo idea che quella giornata avrebbe segnato una svolta così importante nella mia vita, infatti non mi ricordo di essere stata particolarmente nervosa. Del resto avrei dovuto esserlo, visto che non avevo idea di cosa potesse chiedermi o aspettarsi da me. Ricordo benissimo il momento in cui varcò la porta del teatro accompagnato dal suo storico collaboratore David Haughton. Credo che poi sia scattato subito qualcosa che mi ha messo profondamente a mio agio ed in tranquillità, soprattutto quando sono salita sul palco. Da quel momento ho avuto la consapevolezza che quello che mi chiedeva era solo quello che c'era già dentro di me, che potevo essere libera e naturale come non mai. Dopo un minuto mi sembrava di aver lavorato con Lindsay da sempre. In seguito lui mi ha raccontato di aver avuto la stessa sensazione. Alla fine dell'audizione, prima della comunicazione ufficiale, cominciò a parlare con me dello spettacolo, stava già lavorando con me! E non ci curavamo di chi ci ricordava che forse dovevamo aspettare che mi venisse proposto il contratto! Era già scattata quella complicità che ci ha accompagnati sempre.

Al primo impatto cosa ti aveva colpito in lui?
Io non lo avevo mai conosciuto di persona, prima. Ma quella leggenda che stava entrando in teatro era un uomo di un'affabilità incredibile, che si rivolgeva con massimo rispetto a tutti. Sprizzava gioia di danzare comunicandola ad ognuno, perfino durante un'audizione! Si poneva con semplicità e con la stessa semplicità disarmante diceva sempre qualcosa che apriva un mondo davanti a me.

Cosa rammenti di più entusiasmante nella preparazione di "Histoire du soldat", il primo lavoro al fianco di Lindsay?
Intraprendere una nuova creazione al fianco di Lindsay è sempre stato entusiasmante per la passione travolgente in cui si tuffava anima e corpo nell'ideazione di tutti, e dico tutti, gli aspetti. Per lui ogni cosa aveva la stessa importanza. Dalla scelta di un nastrino alla concezione totale. Lo eccitava l'ideazione dei costumi e la scelta delle acconciature. Il ruolo del Diavolo che si manifesta in svariati travestimenti gli dava quindi un bello stimolo! Ma gli brillavano gli occhi anche nel descrivermi la Principessa, che vedeva come un'attrice del cinema muto anni '40, con parrucca e gioielli. Gli piaceva cominciare a pensare ai personaggi visualizzando da subito anche l'aspetto. Questa produzione gli ha consentito di sbizzarrirsi anche negli oggetti di scena che ideava, cercava e preparava con le sue mani, coinvolgendo tutti noi. Con la Principessa, Lindsay si è divertito più che in altri casi ad attingere alla mia formazione classica, chiedendomi di mischiare momenti molto teatrali, sia comici che drammatici, ad un passo a due col Soldato anche molto tecnico. Entusiasmante sfida!

Prima dell'incontro con Kemp avevi già avuto diverse esperienze artistiche, ma immagino che lavorare al suo fianco ti abbia donato una nuove luce?
Ho sempre voluto danzare con coreografi che mi piacessero e con cui mi sentissi sulla stessa lunghezza d'onda. Non avrei mai concepito di danzare solo per mestiere, routine. E sono sempre stata una danzatrice molto istintiva e passionale. Ma è come se l'incontro con Lindsay avesse fatto letteralmente esplodere la mia anima. Mi sono sentita proprio al posto giusto.

Hai conseguito il diploma di Attore Scenico. Quali sono state le maggiori difficoltà incontrate nel periodo di studio e come le hai superate?
Pur se con una formazione molto classica, non sono mai stata una ballerina con la "fobia" della parola, per cui ricordo che in quel periodo ero curiosissima delle lezioni di canto e teatro e mi sono divertita tanto. Sicuramente non avevo le basi degli altri attori ma gli insegnanti, tra cui il grande Franco di Francescantonio, a volte erano quasi contenti che fossi in alcune materie una tela bianca su cui scrivere.

Mentre il percorso che ti ha portata alla Laurea in lettere classiche da quale esigenza personale nasce?
Un'altra mia grande passione è sempre stata la lingua, la sua storia, le sue radici, sicuramente nutrita da mia madre che, professoressa di latino e greco, mi incantava, fin da piccola con le etimologie delle parole. Forse non è poi una contraddizione con il mio amore per la danza, trattandosi sempre di linguaggi!

Un altro grande artista nella tua vita è stato Micha van Hoecke, con il quale hai lavorato in parecchie sue produzioni?
Micha lo considero "la famiglia artistica da cui provengo". Un grande uomo di teatro. Lo ho inseguito perché, fin da ragazzina, quando vidi i suoi spettacoli "decisi" che volevo danzare con la sua compagnia. Mi colpiva una sorta di "naturalezza" nelle sue coreografie, soprattutto le travolgenti danze di insieme a cui sembrava che tutti potessero unirsi. E trasudavano anima.

Nella tua carriera hai ricoperto diversi ruoli artistici. Come ti sei divisa tra parola e movimento?
La mia espressione naturale, la più vera e sincera, è senza dubbio il movimento. Non si può mentire con il gesto che scaturisce dal cuore. Ma, forse proprio per essermi formata sotto la guida di Marina van Hoecke, proveniente dal mondo di Bejart, ho sempre sentito l'importanza di non porre confini tra i mezzi espressivi. Ho un bel ricordo del giorno in cui Lindsay mi ha fatto registrare, in uno studio di registrazione, dei testi che pronunciava Mina, la protagonista femminile del Nosferatu. Mi valsero il soprannome scherzoso "Sharon", uno dei tanti soprannomi datomi!

Nel tuo attuale ruolo di docente qual è l'aspetto che ti gratifica particolarmente?
Da sempre, mi riempie il cuore vedere gli occhi di chi ho davanti, pieni di gioia e gratitudine, sia al termine di uno spettacolo, quando durante i ringraziamenti si alzano le luci in sala, sia al termine di un workshop. Pensare di essere stati anche un poco utili, vedere un'apertura anche nel corso di poche ore. Ora più che mai mi gratifica anche solo la speranza di aver portato un po' della luce, del messaggio di Lindsay.

Come strutturi i tuoi workshop e le masterclass?
Se si tratta di un progetto lungo con performance finale, o comunque che prevede una creazione, sicuramente cerco di fare una vera e propria classe e di seguito le coreografie. Ma, non voglio che questi due aspetti siano separati. Si danza anche in ogni momento della classe, anche quando ci si scalda o si fa stretching. Dobbiamo goderci la bellezza di ogni singolo gesto e comunicarla. Lindsay in classe diceva di pensare che ci fosse sempre una telecamera, che ci fosse sempre un pubblico tutto intorno e di non tornare mai con i piedi per terra dopo essersi lasciati trasportare. Le sue classi erano uno "spettacolo" dall'inizio alla fine.

Daniela, da bambina, come hai scoperto l'amore e la passione per la danza?
I miei genitori sono grandi amanti della musica, soprattutto musica classica e mio padre suona il pianoforte. Sembra che ogni volta che ascoltavano qualcosa io, piccolissima, cominciassi immediatamente a ballare in giro per la casa. A volte venivano convocati ufficialmente nella mia camera per assistere allo spettacolo. Mi hanno portato in giro fin da bambina a vedere balletti e anche concerti ed opere liriche. Ancora oggi credo di sentire l'emozione che provai a quattro anni all'Arena di Verona assistendo alla "Giselle" di una giovanissima Carla Fracci. Il pianto alla morte di Giselle ma anche l'emozione dello spettacolo delle candeline accese in tutta l'Arena prima dell'inizio. Devo tutto ai miei genitori, non solo l'ispirazione iniziale, ma il continuo appoggio morale e materiale.

Sei considerata l'erede di pensiero e di sostanza di Lindsay Kemp, come pensi di salvaguardare la sua memoria e il suo lavoro?
Continuando a danzare, con umiltà e amore, cercando di ispirarmi soprattutto alla sua generosità. Sento una grande responsabilità, ma ne sono anche profondamente onorata. Ed ogni volta che mi mancherà e sentirò il bisogno di chiedere al mio Maestro, mi ricorderò quando mi incoraggiava dicendomi "tu sai benissimo cosa devi fare".

Nel pezzo su Nijinsky, tu prendevi parte calandoti nei panni di una ballerina pazza, quali emozioni hai provato ad interpretare quel ruolo?
Me lo diceva sempre che i ruoli da pazza mi stavano particolarmente bene! È un ruolo molto intenso e molto sfaccettato; è pazza, in manicomio come Nijinsky, ma è tormentata anche da sentimenti estremamente umani. Follia, nostalgia, amore, compassione e empatia per Nijinsky, coraggio, complicità, femminilità. Ci sono tantissime "citazioni" dei Ballets Russes, "Petrouchka", "Lo spettro della rosa", "La Sagra della Primavera". Ma soprattutto interpretando la Ballerina ero in scena accanto a Lindsay. Il suo Nijinsky era talmente potente, forza magnetica pura che dava una grande energia a tutti noi. Il momento in cui Nijinsky si fa prendere per mano dalla Ballerina è un'esplosione. E non dimenticherò mai i suoi occhi nel momento in cui avanzava verso di me protendendo la mano.

Daniela per tutti sei la "prima ballerina di Lindsay". Il Maestro ha ritagliato sulla tua figura dei ruoli stupendi, a quale empaticamente sei più legata?
Li considero dei regali meravigliosi tutti. E un dono era rinchiudersi con lui in sala prove per lavorarli. Amo molto "La femme en rouge" perché sono proprio io. Mi ha dato un personaggio ben preciso ma mi ha permesso di muovermici molto liberamente dentro. E mi permette di danzare con Ivan, partner, artista e persona molto generosa e attenta. Adoro il "Canto alla Luna". Fu molto felice quando ebbe l'idea di creare un solo per me sulla musica celestiale di Dvorak. Riguardo a questo pezzo abbiamo anche riso tanto perché, alla fine di ogni prova, faceva finta di essere geloso e pentito di averlo creato per me e non per sé!!! Il "Canto alla Luna" faceva parte di un omaggio al teatro giapponese, spettacolo che mi permise anche di danzare con le musiche suonate dal vivo da Joji Hirota, esperienza mozzafiato che condivisi col bravissimo ed intenso Alessandro Pucci. Ho molta simpatia per la Princess per l'autoironia, e comicità che mi permetteva di tirar fuori.

Il pezzo "La femme en rouge", che porti in scena con Ivan Ristallo, com'è nato?
Lindsay voleva creare per me e per Ivan un pezzo che parlasse di amore e di vita ma che anche facesse riflettere sui grandi drammi della vita. Ed ecco "La femme" un semplice racconto nel tipico stile del teatrodanza di Lindsay. Nell'atmosfera di un cafe parigino, nel '40, un incontro tra due anime sole che si trovano, danzano insieme, nasce un amore ma viene interrotto dall'annuncio alla radio della conquista di Parigi da parte dei tedeschi. Ricordo come è stato toccante portarlo in scena dopo l'attacco terroristico al Bataclan, quasi una sorta di omaggio a Parigi. Ivan ed io amavamo molto provarlo sotto la guida di Lindsay ma, incredibilmente, eravamo molto meno preoccupati delle parti danzate, che presentavano prese e difficoltà tecniche, che della scena in cui beviamo al tavolino! Tanta era la cura dei dettagli con cui Lindsay aveva montato quel momento!!

Mentre "Il cigno"?
Per il cigno, pezzo meraviglioso, raccolgo un'importante eredità. Fu creato da Lindsay e Marco Berriel per la bravissima Nuria Moreno. Molto generosamente Marco Berriel ci raggiunse in Spagna per darmi anche i suoi consigli. Mi sono immediatamente sentita in questo pezzo come in una seconda pelle, vivendo delle fortissime sensazioni. Lo amo profondamente, è sicuramente uno dei miei preferiti.

"Mi vida", coreografia rivista da Luc Bouy, venne creata qualche anno fa per Luciana Savignano in coppia con Massimo Murru. Come ti sei avvicinata a questo pezzo, ben conoscendo la splendida interpretazione delle due étoile scaligere?
Il ruolo di "Mi Vida", e quindi l'incontro con Luc Bouy, lo considero un altro regalo che mi ha fatto Lindsay, chiedendo al maestro Luc Bouy di rimontare la sua bellissima creazione per Ivan e per me. Il Maestro accettò subito con enorme gioia ma io ero comunque molto preoccupata del confronto con la grandissima Luciana Savignano. Ma anche con il Maestro Bouy si instaurò in pochi minuti un bellissimo rapporto. Mi ha permesso di farlo mio, di seguire con libertà il mio istinto, la mia naturalezza, la mia forza. Ho cercato di fare tesoro di ogni suo consiglio e di imparare anche dalla interpretazione della stella Savignano, e di non esserne solo spaventata! È un ruolo che sento prepotentemente vicino alla mia personalità e vita. Permette di toccare tante corde profonde ed intime, dalla maturità di una donna, al ricordo tenero di un amore giovanile, alla disperazione del distacco, dal dramma alla leggerezza, alla follia, al tema della maternità. C'è un pazzesco alternarsi e susseguirsi di stati di animo. Sono in scena con Ivan Ristallo, con il quale, anche in questo caso, la sintonia è totale e molto profonda e con James Vanzo, altra bella anima sul palco e fuori, insostituibile presenza.

Un tuo ritratto per il Maestro e coreografo Luc Bouy?
Luc Bouy è un vero Maestro, nel senso più alto del termine. Che dispensa consigli ed insegnamenti con grande generosità. E con la stessa generosità accolse Ivan e me nella sua casa e nel suo studio. Ha una visione molto aperta, per questo credo non esitasse ad incoraggiarci ad essere liberi. Ma nello stesso tempo è molto preciso. Ricordo con grande gratitudine anche le lunghe chiacchierate, durante le quali gli confidai le mie paure sul riuscire a ritrovare una nuova dimensione, altrettanto forte, dopo un'interpretazione particolarmente sentita, io la chiamo la "sindrome della seconda volta" e lui con grande generosità mi raccontò della sua esperienza nella celeberrima "Giselle" di Mats Ek con le sue centinaia di repliche!

Che ricordi conservi della tua prima maestra di danza a Pisa, Elsa Ghezzi e poi di Ioana Butnariu?
La signora Ghezzi, signora di un carisma unico. La mia prima maestra di danza! Questo dice tutto. Le prime gioie, il primo tutu, le prime scarpe da punta, il primo assolo piccolissima. È stata la prima a passarmi l'amore e il rispetto per la danza. L'anno scorso con mio grande onore sono stata invitata alla cerimonia di inaugurazione di un parco a lei intitolato nella mia città. Ioana, tanto competente quanto appassionata maestra mi travolgeva con il suo entusiasmo per il balletto di repertorio, riversava su di noi l'incredibile bagaglio che aveva maturato come prima ballerina all'Opera di Bucarest. Ha "liberato" molto il mio modo di danzare, sciogliendomi e facendomi "scoprire" l'importanza delle braccia,

Mentre di Marina Van Hoecke?
Con Marina ho vissuto il mio punto di svolta. Marina era una grande Maestra con una visione molto moderna della danza classica, essenziale, scevra di fronzoli esteriori, basata sulla consapevolezza e che andava sempre oltre quello che si vede. Ci spingeva a scavare nell'interiorità e trovare freschezza ogni giorno, anche alla sbarra. Marina era una persona che ti vedeva oltre la pelle, da come appoggiavi la mano alla sbarra conosceva il tuo stato d'animo, ed aveva la dote di saper tirare fuori il meglio da ognuno. Usava immagini potenti. Un épaulement o un movimento, prendeva vita dal passato, attraversava il presente per proiettarsi nel futuro. E questa era la sua visione e la porterò sempre con me come tutti gli altri insegnamenti di cui mi sento ricca. Si era creato un bellissimo rapporto di stima e fiducia reciproca. E sono felicissima che abbia potuto vedere il mio realizzarmi con l'incontro con Lindsay. Quando, come sempre, le raccontai dell'occasione dell'audizione con Lindsay, mi disse: "corri perché quell'uomo è speciale!".

Raccontami la tua prima coreografia com'è nata, a cosa ti sei ispirata?
Be', forse, lo dico ridendo, la prima quando a tre anni mi rotolavo in camera mia sulla Sinfonia de "La forza del destino", per i miei genitori. Oppure sempre bambina, per gli spettacoli che tenevamo in giardino per i parenti, montavo delle cose per le mie amiche, o meglio per me e le mie amiche! A parte gli scherzi le prime coreografie sono state per i laboratori di "Fare Teatro" al Teatro Verdi di Pisa, una bella collaborazione con registi e docenti che stimo molto in un ambiente riempito di vitalità e purezza da tantissimi ragazzi. In questo momento ricordo con particolare affetto un Rock'n Roll danzato seduti, un Can Can quasi interamente gestuale che apriva "Misura per Misura" di Shakespeare. Le prime coreografie a fianco di Lindsay furono le danze dei soldati e delle fate per "Cinderella", appunto il primo lavoro con lui, dove capii subito come funzionasse perfettamente questo lavoro di squadra, dove riuscire a tradurre le sue idee e i suoi stimoli, saperli percepire, era fondamentale ed illuminante. Lindsay inoltre diceva sempre: "chiudi gli occhi ed ascolta la musica, è lei che ti detta la coreografia".

Il ruolo dell'assistente è assai difficile ma al contempo ricco di soddisfazioni. Che metodologia hai usato con Lindsay in questa veste?
Ma, guarda Michele, sinceramente non ci avevo mai pensato... Sicuramente posso dirti di non aver usato nessuna metodologia ma di essermi sempre posta in modo molto naturale, e chissà forse era proprio questo che funzionava. Sai, se poi hai la fortuna di essere assistente di una persona estremamente simpatica, rispettosa, divertente, buffa, autoironica e geniale e che ti fa fare delle cose bellissime... be', che devo dirti?! Sicuramente ci sono stati momenti che sembravano un po' più difficili, Lindsay era instancabile di fronte alla cura dei dettagli! Ed a volte mi innervosiva il suo cambiare continuamente i piccoli particolari delle coreografie, per quella sua esigenza di reinventarle sempre! Sai, essere assistente di Lindsay Kemp vuol dire essere assistente non solo alla regia o alla coreografia, ma trucco, attrezzeria, costumi, scene, parrucche, gioielli! Ma... che bellezza! E quanto ho imparato!

Che anni sono stati quelli presso la compagnia "Effetto Parallelo" di Michele Arena?
Anni felici e giovani! Bellissimi ricordi di quel tempo, bei momenti e belle amicizie. Con l'"Effetto Parallelo" ho capito che mi piaceva anche esprimermi con la danza contemporanea, è la prima volta che sono uscita dal tutu e le punte e ho messo i piedi in "parallelo"!

L'opera lirica quale gioco ha avuto nella tua carriera professionale?
Ritengo che danzare nelle opere liriche sia un'opportunità importante nella vita di un danzatore perché ti immerge in una grande produzione, ti fa respirare il palcoscenico fin da bambina, se hai la fortuna. Io mi sono divertita da piccola con i "Moretti" dell'Aida, ovviamente, ho danzato in opere con regia e coreografie di Micha. Anche queste bellissime esperienze, amicizie, produzioni importanti, coinvolgenti. Impari a conoscere la vita di teatro. I primi tour. Per poi avere la fortuna di "collaborare" con Lindsay Kemp anche nelle produzioni di opere, come assistente alla regia, coreografa e prima ballerina. Il passo a due del torero che ho danzato nella produzione di "La Traviata" a Lecce, con il formidabile Antonio Aguila rimarrà per sempre come uno dei più bei momenti della mia carriera. E, Michele, affiancare Lindsay in un'opera, immagini quanto possa essere stimolante ed esaltante?! Ti ho già parlato del suo scatenarsi nella concezione di ogni singolo aspetto. Certo, a volte ci vuole pazienza! Quando ha abbinato ad ogni singolo costume di ogni singola corista una parure di gioielli diversa ed un boa di piume in scala di colore!!

Daniela hai fatto parte anche della compagnia "Sizicondi Loble" del coreografo belga Serge van de Velde. Come si articolava il lavoro e qual era il repertorio dell'ensemble?
Con Serge van de Velde era un lavoro interessante e particolare, lui non viene infatti dalla danza ma piuttosto dalle arti visive. Era come se lui giocasse con i nostri corpi a plasmarli in forme, molto ispirate dalla pittura e dalla scultura. Ogni prova creava pochissimi minuti di coreografia, il lavoro era lento, perché "scolpiva" anche ogni singolo dito o sopracciglio. I suoi primi lavori furono trovati molto nuovi e suggestivi.

La collaborazione con il teatro della tua città, il bellissimo Verdi di Pisa, continua ancora oggi?
Sì, certamente. Il Teatro Verdi è la mia casa. Ha proprio l'odore di casa. Certo il rapporto è molto diminuito in quantità perché sono stata molto impegnata e ho viaggiato tanto con Lindsay, ma è sempre forte. E sono stata felicissima di tornarci con "Il Flauto Magico" e di far conoscere Lindsay ai ragazzi del "Fare Teatro" attraverso un workshop.

Hai avuto l'onore e la grande opportunità di seguire da stagista il "Wuppertal Tanztheater di Pina Bausch". Immagino sia stata un'esperienza incredibile il poter scorgere da vicino il lavoro dell'insostituibile coreografa tedesca e della sua compagnia?
Un altro momento di quelli in cui hai bisogno di darti un pizzicotto per crederci. Ho fatto classi insieme alla compagnia, assistito a tutte le prove ed osservato come nascevano le opere e come venivano riprese. Ho fatto tesoro di tanti momenti ed osservato come lei si poneva con la compagnia, il famoso momento della "kritica", quando ascoltava attentamente i pensieri o i problemi dei danzatori dopo uno spettacolo. Ero incantata dall'energia che emanava da questa donna, magra, che parlava a voce bassissima .

Cosa significava assistere ad un workshops di Lindsay Kemp, quale valore aggiunto dava agli allievi partecipanti?
Ho visto studenti in lacrime di commozione e gioia al termine delle classi di Lindsay, tanto profonda era l'esperienza che permetteva di toccare corde a volte a loro stessi sconosciute. Questo era il vero valore aggiunto. Se ti riferisci anche al fatto che mi volesse come assistente? Lui voleva fortemente che io portassi tutto il mio bagaglio, voleva che fosse una collaborazione, gli piaceva dire che eravamo un "team", ci lanciavamo la palla in modo molto naturale e mi dava tantissimo spazio all'interno di ogni workshop, oltre a creare le coreografie. Riteneva inoltre che l'avermi accanto fosse un stimolo per gli studenti, perché riteneva che danzassi sempre oltre il cento per cento senza risparmiarmi. Posso raccontarti un altro episodio buffo? A volte faceva finta di perdermi di vista tra gli studenti, era un complimento perché voleva dire che gli sembravo una ragazza, e diceva a tutti "Dove è sparita? È scappata di nuovo al bar?"

Un tuo pensiero per David Haughton, storico collaboratore di Lindsay Kemp e per gli altri membri della compagnia Ivan Ristallo, James Vanzo ed Alessandro Pucci?
Conoscere David Haughton persona, oltre che l'artista, ti fa capire perché Lindsay se lo sia scelto come più vicino collaboratore per tutta la vita. Gran lavoratore, attento agli altri, sempre positivo. David conosceva perfettamente Lindsay ed aveva un forte senso di protezione nei suoi confronti. Era l'Angelo in "Flowers" ed ha condiviso con Lindsay i successi dirompenti della "Lindsay Kemp Company" in tutto il mondo, in scena come attore fortemente carismatico e come principale collaboratore per la drammaturgia, la regia e successivamente anche per le luci. Ivan, James ed Alessandro, oltre a grandi professionisti, sono persone con un cuore bellissimo, cuore "che tengono in mano" come voleva Lindsay! Ci sentiamo quasi una famiglia. La collaborazione con queste splendide persone ed artisti è una bellissima eredità che Lindsay mi lascia. A volte mi stupivo e quasi innervosivo che Lindsay volesse fare audizioni molto lunghe, intrattenendosi anche a parlare dopo la vera e propria audizione. Diceva che al di là di capire il valore artistico era altrettanto importante capire la persona. In un momento di un tour in Spagna, mi si riempì il cuore a pensare a quanto fossi fortunata a lavorare in tanta serenità e con persone splendide.

Lindsay Kemp ti ha scelta per custodire la sua opera quale eredità artistica, lasciandoti i diritti d'autore, quali sono i progetti legati ad una possibile Fondazione che salvaguardi il ricordo e l'integrità del suo lavoro e cosa ne sarà di tutti gli oggetti, i mobili, i ricordi, i disegni e l'immenso materiale appartenuto al grande Lindsay?
Sento fortissima questa "missione". Con David Haughton e in accordo con gli altri membri della compagnia del passato cerchiamo di fare di tutto per continuare a far vivere Lindsay. Sia, come ti dicevo Michele, con lo spettacolo "Kemp Dances Ancora", con altri eventi dal vivo, mostre ed anche con la creazione di un archivio anche online in modo da poter essere visto e consultato da più persone possibile in tutto il mondo. Fortunatamente in questo cammino possiamo contare anche sull'esperienza, professionalità ed amicizia di Paola Autera, validissima collaboratrice che Lindsay aveva scelto. Desidereremmo anche costituire una Fondazione, stiamo cercando di orientarci attraverso la burocrazia di cui non siamo esperti. Inoltre il Comune di Livorno, città dove Lindsay aveva scelto di vivere e dove era amatissimo dalla popolazione, sta mostrando entusiasmo per esempio nel ricreare una parte della sua casa-studio in qualche luogo pubblico, dove si possano anche esibire parte dei disegni e libri.

Oggi come vivi il distacco materiale da Lindsay pur nella consapevolezza che il suo spirito sopravvive al tuo fianco?
Ricordo che lui diceva di sentire le sue fonti di ispirazione ancora più vicine dopo la loro morte... Sentiva Nijinsky dietro la sua spalla che lo guardava, sentiva Isadora, Pina... Ecco diciamo che ora Lindsay mi osserva molto più di prima e non posso nascondergli nessun momento. E per trovare coraggio voglio ricordare quando gli chiedevo qualcosa e lui mi rispondeva: "sai benissimo cosa devi fare".

Michele Olivieri

Ultima modifica il Giovedì, 07 Febbraio 2019 17:48

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