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INTERVISTA a Laccio - di Michele Olivieri

Laccio. Foto Umberto Nicoletti Laccio. Foto Umberto Nicoletti

Giovane, eclettico, poliedrico, Emanuele Cristofoli in arte Laccio rappresenta un talento non convenzionale e rivoluzionario nel mondo della danza e non solo. Il quotidiano più importante della stampa "W" di New York lo definisce "youthquake", terremoto; Vogue invece parla di lui come il giovane talento "with the face of Botticelli angel and the spirit of Johnny Rotten". Le sue esperienze artistiche hanno inizio grazie all'incontro con la danza urbana, conquistando fin da subito approvazione grazie al suo innato talento. I suoi interessi si spingono oltre, infatti si specializza come interior designer all'Istituto Europeo di Design e nel frattempo si dedica anche alla moda: disegna una collezione che riscontra molto successo, da Villamoda nel Kuwait a Bloomingdale's di New York e a seguire sulle pagine di "Vogue" Inghilterra e sulla rivista internazionale "W". La sua carriera intraprende diverse direzioni: prima ballerino, poi coreografo e direttore artistico, Laccio, nel suo essere poliedrico acquisisce esperienza sul campo, è in grado di curare coordinare organizzare e di indirizzare un evento, sia questo di natura teatrale, musicale o televisiva definendolo in ogni dettaglio. La direzione artistica di Laccio si avvale di un'impronta cangiante e innovativa, chiaro ed evidente è il suo stampo nella realtà del "Modulo Project", la compagnia di danza urbana più attiva ed originale nel panorama nazionale, e della Modulo Factory, la prima accademia ad avviamento professionale dedicata a ballerini specializzati nell'ambito delle danze urbane. Nella sua carriera non si è fatto mancare davvero nulla. Ha fatto ballare insieme Raffaella Carrà e Gianni Morandi all'Arena di Verona, ha curato le coreografie del video "Dip It" del rapper americano Coolio, ha incontrato di nuovo Raffaella Carrà nei panni di supervisore artistico e coreografo per la trasmissione di Rai2 "The Voice of Italy" con l'impegno di realizzare le performance dei cantanti assieme ad un cast di dodici ballerini compresi quelli di "Modulo Project". Ha portato la voce di Mina sul palcoscenico del Festival di Sanremo 2017, ha curato le coreografie dello show di Virginia Raffaele su Rai Due e ha partecipato all'edizione 2017 dell'Idaco NYC – Dance Festival. Nell'ultimo anno sono stati diversi i progetti ai quali Laccio si è dedicato, tra questi vediamo: Loro 1 e 2, film di Paolo Sorrentino per il quale ha curato l'intera parte coreografica; Dance Dance Dance, dove per il secondo anno consecutivo ha capitanato una numerosissima squadra di concorrenti, coreografi e ballerini; Calzedonia e Tezenis show, per i quali ha curato la direzione artistica dell'intero show e coreografato le performance.

Ciao Emanuele, con quale spettacolo sei andato in scena per la prima volta e quali emozioni conservi?
Il primo spettacolo è avvenuto in occasione di un festival hip hop. È risultata sicuramente un'esperienza emozionante! Era la prima volta che salivo su un palcoscenico e non avevo idea di cosa volesse dire, condividendolo inoltre con altri danzatori.

Quando hai inteso che la tua vena artistica era orientata verso la danza?
In realtà la danza è arrivata come ultima espressione artistica rispetto a quelle che già avevo sviluppato. È nata come una passione, non avevo fin da subito capito che sarebbe potuto diventare il mio lavoro.

Perché hai cominciato a ballare e com'è nata questa passione?
Ho cominciato perché ho visto in scena i ragazzi con i quali poi ballai al festival. Era un gruppo talentuoso, ma quello che mi piaceva era la loro energia, la loro capacità di stare su un palco senza inibizioni, senza nessuna preoccupazione legata al fatto che fossero così giovani. Questa cosa mi colpì particolarmente, e il mio desiderio divenne quello di riuscire a poterlo fare anche io, usando l'energia in quel modo, senza nessun tipo di imbarazzo!

Con la specializzazione in interior design all'IED e con la consacrazione su Vogue e W hai raggiunto il primo grande traguardo per intraprendere poi una carriera in ascesa. Cosa vuol dire per te essere un creativo ai giorni nostri?
Un creativo oggi deve essere una persona sensibile e capace di utilizzare differenti forme di espressione. La creatività non si racconta, è frutto di un istinto legato all'estetica, legato al "fare", perché la creatività non è solo un pensiero ma è un'azione. Oggi un creativo deve essere una figura che conosce, che si sa muovere attraverso le nuove forme di comunicazione. Quindi non si ferma solo alla conoscenza ma all'utilizzo, mediante i mezzi attuali misurandosi con le nuove forme d'arte. Inoltre un creativo deve possedere le capacità di "vendere" ed esprimersi ad un pubblico più ampio, perché la creatività non rimane solamente nel garage di casa ma deve avere la forza di uscire dal proprio ambiente, e di poter arrivare a chiunque, o comunque ad un bacino di utenti esteso, un pubblico che sia legato all'interesse del creativo stesso.

Tu sei uno dei fortunati coreografi che dirigono una propria compagnia, com'è nato questo progetto e qual è la filosofia del tuo gruppo?
La compagnia nasce per il desiderio di poter portare in scena tutto quello che a livello commerciale non è concesso, qualcosa che possa fare ricerca o comunque trattare temi più delicati rispetto a quello che è invece la parte maggiormente commerciale del mio lavoro. Il progetto nasce per scherzo, per gioco, ho messo insieme dei danzatori, ho provato a costruire con loro ed ho scoperto che in realtà erano tutti quanti legati da questo interesse di cercare una nuova forma d'espressione e comunicazione rispetto a quello che facevamo solitamente, e ancora oggi è una compagnia che lavora insieme!

Da interior design a ballerino, coreografo, direttore artistico, come si sono evolute nel tempo tali esigenze?
Le cose si sono evolute nel tempo perché c'è stata sempre più esigenza di portare in scena queste conoscenze. L'interior design mi ha permesso di comunicare bene con gli scenografi, e quindi di poter trovare insieme a loro soluzioni che fossero adatte alle performance da allestire. Per questo in scena da direttore artistico, piano piano, ho cercato di portare tali conoscenze, attraverso la comunicazione e la collaborazione con figure come scenografi e costumisti, cercando di riunire tutti sotto lo stesso obiettivo. Quest'evoluzione mi ha aiutato a comunicare con altri professionisti in modo più facile.

Continuando la tua carriera, in seguito, sei approdato alla televisione. Chi ti ha proposto tale opportunità e com'è stato l'impatto con un mondo completamente differente da quello teatrale?
Il primo approccio con la televisione è stato attraverso un talent, in cui fui invitato da Fabio Canino, un talent su Sky che era una sorta di "Italia's Got Talent" di oggi, dove si cercavano talenti. Con i "Modulo Project" abbiamo partecipato, inconsapevoli che fosse un talent, vincendo la puntata alla quale avevamo partecipato! Da lì ci hanno chiesto di prendere parte ad altre puntate, fino a quando non abbiamo vinto il talent. Fortunatamente eravamo liberi da quelli che erano i canoni televisivi, per cui abbiamo portato qualcosa che risultasse nuovo, novità che ha fatto sicuramente parlare tante persone del settore e questo ci ha dato parecchia visibilità. Subito dopo ci fu un programma con Ambra Angiolini del quale firmai le coreografie insieme a Luca Tommassini e fu un'esperienza di grande formazione, fino a quando non sono arrivato a Mediaset e infine in Rai. La mia prima serata su Rai1 come coreografo fu per un programma che si chiamava "Italiani".

Che cosa rappresenta, in senso lato, la danza intesa come arte e come mezzo di comunicazione ma anche veicolo culturale?
La danza è una delle forme espressive più forti, perché riesce a portare in scena, quasi come la prosa, dei momenti di vita, raccontando aspetti anche importanti. Quindi è assolutamente un veicolo culturale e a differenza della prosa, lo fa senza parlare. Per questo riesce a toccare corde che vanno al di là della percezione diretta ma che toccano l'anima. Questo ti permette di poter entrare nel cuore e nella testa delle persone, in una maniera più diretta, attraverso un sistema poetico. Per cui sì, può essere un veicolo culturale, ad oggi decisamente sottovalutato.

Nelle vesti di danzatore come ti accosti all'interpretazione del ruolo?
Come danzatore, l'interpretazione del ruolo è frutto sicuramente di prove, tante prove, di laboratori, di esperimenti! Per arrivare ad occupare un ruolo bisogna tentare, testare e viverlo, anche al di fuori del palcoscenico. È fondamentale interpretare, si diventa quasi attori e la differenza è che l'attore lo fa attraverso le parole, il danzatore lo fa con il linguaggio del corpo.

Hai lavorato con Raffaella Carrà, il mito italiano per eccellenza. Quanto ti ha arricchito, qual è il suo genio artistico che la differenzia da tante altre con una carriera da record?
Raffaella Carrà è stata certamente la più grande professionista con la quale io abbia mai lavorato, una donna che ha grande rispetto per le figure, per cui mi ha dato molta responsabilità e credibilità nei lavori che abbiamo fatto insieme. Più era grande la responsabilità e più e grande il mio desiderio di soddisfare queste aspettative, di conseguenza la formazione è stata fondamentale, mi sono spinto oltre quello che sono solito fare. Il suo genio è quello di saper intuire ciò che succede nel tempo che sta vivendo, non è legata solo al passato ma è una donna ben curiosa del presente. Motivo per cui a volte riesce ad avere anche l'intuito di quello che sarà il futuro!

Hai suscitato parole di stima e hai ricevuto prestigiose menzioni ed ottime critiche. Cos'hanno significato questi attestati di stima?
La stima degli altri è assai importante perché ti rende sicuro e ti aiuta a buttarti, a sperimentare senza grandi paure. Non deve però diventare fondamentale perché bisogna anche avere la capacità di sbagliare e di superare i propri errori, imparare da questi e andare avanti! Quindi penso che la stima sia fondamentale per darti lo slancio, ma non deve diventare una dipendenza.

Milano, cosa rappresenta per il tuo lavoro e per la tua vita privata?
Milano è una città che ti permette di connetterti con l'Italia e con l'Europa. È una città che offre parecchio, bisogna però saperla vivere con misura perché pretende anche molto; ti chiede di spingere tutti i giorni e di non staccare mai la spina, bisogna saper vivere anche il suo lato più leggero e quindi riuscire a staccare dal lavoro, da quella che è la continua ricerca del fare. È una città che crea pressione. Bisogna saperla gestire e vivere ma senza dubbio è una città ricchissima di possibilità, è un luogo che ti congiunge agli altri. Personalmente sono molto contento di avere creato l'accademia e altre realtà a Milano!!

La danza è una carriera misteriosa, le qualità necessarie sono tante e non basta solo il talento, ma ci vuole vocazione, tenacia, determinazione, disciplina e costanza. Ti ritrovi in queste qualità e cosa aggiungeresti per tua esperienza?
Mi ritrovo assolutamente in queste qualità! Fondamentale è la determinazione e la disciplina. La disciplina ti permette di creare rapporti e di mantenerli a lungo termine. Che poi alla fine sono proprio questi che ti permettono di lavorare e di continuare a mantenere la passione viva.

Che rapporto hai avuto con la danza classica, qual è l'aspetto che ti affascina maggiormente e qual è il balletto del grande repertorio al quale guardi con più interesse?
La danza classica credo sia la base, è fondamentale per la formazione. Non credo sia indispensabile per tutte le forme di danza, perché per alcuni tipi di danzatori deve essere dosata, altrimenti rischia di crearti una struttura sul corpo difficile da destrutturare. È comunque la base e non va mai dimenticata, deve assolutamente essere frutto di anni di studio. Uno dei balletti che ho rivisto ultimamente è stato "Giselle", ho dovuto anche reinterpretarlo attraverso un lavoro di Enzo Celli, per cui mi sono avvicinato a quel tipo di lavoro, anche se poi è stato destrutturato e reinterpretato attraverso il lavoro di un altro coreografo. Però ripeto per alcuni danzatori deve essere dosata la disciplina classica, proprio per lasciare una libertà al corpo che invece è molto importante in altre forme di tecnica.

Una tua definizione di danza urbana?
Non riesco mai a dare una definizione a quello che è la danza urbana, forse perché c'è ancora tanto da scoprire. Sicuramente se si parla di tecniche legate al mondo dell'hip hop ci sono, sono chiare e sono anche, ad oggi, abbastanza codificate.

Quante prospettive di ricerca e di sperimentazione esistono ancora oggi nella danza contemporanea?
La danza contemporanea secondo me deve continuare a sperimentare e a fare ricerca, anche attraverso quello che vuole portare in scena e quindi alla continua ricerca della gestualità, legata ai cambiamenti dei nostri tempi. Sicuramente lo stile contemporaneo aiuta a raccontare quelle che sono le situazioni sociali di oggi e la danza lo deve fare attraverso l'uso del corpo, poi quale sia la tecnica è indifferente.

Qual è la particolarità nello scegliere come professione la danza rispetto ad altre arti?
Scegliere attualmente di diventare un danzatore professionista vuol dire avere molto coraggio! Significa vivere una grande emozione quando si danza, un'emozione talmente forte che diventa prioritaria nella vita, per cui si decide di non viverla solo come passione ma anche come fonte di guadagno. Bisogna crederci e rispetto alle altre arti vuol dire affrontare un grande punto interrogativo, perché la danza non fornisce certezze. Vuol dire vivere nella costante ricerca mediante la quale si possono poi trovare sicurezze!

Tra tutti i tuoi incontri artistici con chi hai nutrito maggiore empatia?
Non c'è un'unica figura con la quale ho avuto una particolare empatia, ce ne sono state diverse nella mia vita professionale. Dai danzatori, grandi professionisti che mi hanno dato tanto, a grandi coreografi, costumisti, figure artistiche ma anche legate a mondi lontani dalla danza. Credo sia fondamentale saper comunicare con chiunque, perché ognuno di noi ha qualcosa da dire e da raccontare, di conseguenza l'empatia è una sorta di energia che va nutrita senza pregiudizi o paure. Il suggerimento è quello di vedere in chiunque l'aspetto positivo e fare ricerca, perché ogni essere umano possiede delle gemme preziose da poter tirare fuori.

Ti aspettavi, da bambino, tutto quello che ti sarebbe accaduto intraprendendo la carriera professionale? Sei un tipo molto determinato caratterialmente?
Non mi aspettavo assolutamente nulla di tutto questo! Da bambino era anche lontana da me l'idea di diventare un danzatore. Le mie passioni erano altre, prima volevo fare il veterinario, poi mi piaceva l'idea di poter entrare nella polizia scientifica, insomma a secondo di quelli che sono stati gli anni ho avuto differenti passioni ma mai quella della danza. La danza è arrivata tardi nella mia vita, intorno ai sedici anni, per questo non mi definisco un vero e proprio danzatore, sono più un performer e creativo. Ho compensato quelle che erano le mie carenze attraverso altre forme d'arte, che sono poi state la forza del mio lavoro. Quindi non mi aspettavo assolutamente tutto questo. Più che ambizioso sono desideroso di creare, quindi non so se si possa definire ambizione, posso però affermare che i miei obiettivi erano molto più bassi rispetto a quelli che la vita professionale mi ha donato.

Com'è cambiata la televisione dai tuoi esordi ad oggi?
È cambiato che è arrivato l'Auditel, che ha tirato fuori dei numeri, trasformando la creatività in necessità. Per cui non c'era più la necessità di creare ma la necessità di rispettare dei numeri, prendendo la priorità su quello che era la creatività. Bisogna soddisfare sempre di più un pubblico medio che io credo sia molto più intelligente rispetto a quello che ci vogliono far credere.

Per le tue creazioni da cosa ti lasci ispirare?
Per le mie creazioni mi lascio ispirare dall'arte, qualsiasi essa sia, dalle immagini, da tutto ciò che mi circonda. Dobbiamo avere la capacità di catturare ogni piccolo dettaglio attorno a noi.
Come ti ha realizzato, in termini personali, l'aver scelto il mondo dello spettacolo?
Il mondo dello spettacolo mi permette di comunicare sotto più forme d'arte, e questo permette la realizzazione delle mie idee.

"Laccioland" è la tua compagnia di danza urbana, tra le più originali nel panorama nazionale, e "Modulo Factory" è la prima accademia ad avviamento professionale dedicata a ballerini specializzati nell'ambito delle danze urbane. Mi racconti la filosofia di queste due realtà?
"Modulo Project" è un collettivo di danzatori che sono cresciuti insieme e che continuano a lavorare insieme. Più che compagnia noi ci definiamo un collettivo, siamo amici, siamo fratelli di sangue, ci sono le mie sorelle, il mio migliore amico Shake e Laura. "Modulo Factory" è un'accademia, che ci aiuta a scoprire talenti ma soprattutto a crescerli per poi, alcuni di loro, continuare ad averli lavorativamente vicini. I danzatori della mia compagnia sono stati tutti formati alla "Modulo Factory", questo non vuol dire che tutti gli allievi abbiano un futuro con noi, certamente però cerchiamo di fornire ad ognuno una reale crescita, sia tecnica che di esperienza.

Nei panni di supervisore artistico e coreografo a "The Voice of Italy" da cosa ti sei lasciato guidare principalmente?
A "The Voice of Italy" mi sono lasciato guidare dalle emozioni che mi davano le canzoni scelte, i ragazzi che non ho voluto stravolgere, anzi ho voluto assecondare il loro istinto, le loro passioni. Ho cercato di conoscerli in una chiave contemporanea, legata ai nostri tempi, portando lì dentro un po' quello che riuscivo a catturare in giro, modificandolo e rendendolo giusto per il programma!

L'esperienza sanremese come la ricordi?
Sanremo lo ricordo come un grande frullatore! Devi fare tutto velocemente, non c'è un back stage molto grande, ed eravamo tantissimi. Per cui è stato alquanto difficile, frenetico ma allo stesso tempo davvero emozionante! Soprattutto perché era una diretta e questo ti regala una enorme emozione!

Hai attraversato il mondo della danza con varie esperienze. Dove trovi l'energia e l'equilibrio per intraprendere sempre nuovi progetti e cambiamenti?
Credo che i nuovi progetti e i cambiamenti siano il motore per i creativi. Sono l'energia che cerchiamo perché altrimenti saremmo presi dalla noia. Ed è soprattutto nei momenti di noia che mi nasce la voglia di intraprendere nuovi progetti, nasce la voglia di cambiamento perché ogni progetto non è mai uguale all'altro!

Qual è stato il momento, fino ad oggi, nella tua carriera che non puoi scordare?
I momenti che non posso scordare in realtà sono due. Il primo è stato quando mi sono trovato in sala prove a montare una coreografia a Raffaella Carrà e Gianni Morandi, con Riccardo Cocciante che ci guardava e rideva con loro, si prendevano in giro perché la Carrà diceva a Morandi che era bravo a giocare a calcio ma non a ballare!! Questa è stata una delle esperienze che ricordo maggiormente, eravamo in un hotel vicino all'Arena di Verona e non ti nego Michele che avrei voluto lì con me la mia famiglia. Avrei voluto fargli vedere anche quanto fosse assurda quella situazione e al tempo stesso emozionante. L'altra è stata quando per la mia prima volta sono arrivato al Teatro alla Scala di Milano, sono salito con l'ascensore fino all'ultimo piano dove c'era la sala prove grande e Roberto Bolle, che mi aspettava perché dovevo montare una coreografia per lui e Virginia Raffaele. Arrivare lì e trovare Bolle scaldarsi mentre ti sta attendendo, beh sicuramente è stata una indimenticabile emozione!!

Tra tutti i tuoi Maestri a chi va la tua più sincera gratitudine?
La mia più sincera gratitudine va a Marisa, la mia prima ed unica vera Maestra. Mi ha dato tanto, mi ha fatto conoscere la danza, la professionalità, la precisione, mi ha formato e lealmente le sono grato, nonostante nel tempo ci siamo persi e abbiamo avuto le nostre discussioni.

Qual è il tratto principale del tuo carattere?
Mi definisco una persona sicuramente buona!

Cos'è per te la moda?
La moda è un'altra forma di linguaggio. È un linguaggio che può sembrare apparentemente molto superfluo ma che in realtà raccoglie al suo interno tanta arte e creatività, ed è sicuramente una pietra miliare della creatività italiana. Non a caso storia costume è una materia, un argomento che fa parte dello spettacolo e di conseguenza delle arti visive.

Qual è il film che hai amato di più?
Non ce n'è uno in particolare, ci sono diversi film che hanno lasciato sicuramente il segno!

Mentre il libro?
"L'amico ritrovato" dello scrittore tedesco Fred Uhlman.

Qual è la situazione che consideri più rilassante?
Certamente il divano di casa, con la musica giusta e un buon bicchiere di vino!!

Per tua esperienza ci sono ancora tanti pregiudizi sui ragazzi che scelgono di fare danza?
Pregiudizi sì, ma sempre meno grazie alla conoscenza!

Ripercorrendo la storia della danza qual è il ballerino/a del passato e del presente a cui riconosci l'eccellenza e perché? Tra i grandi nomi noti e meno noti quali reputi tuoi Maestri, non solo materiali ma anche ideali?
Nella storia ci sono stati sicuramente grandi danzatori. Mi piaceva particolarmente l'istinto di Rudolf Nureyev. I miei maestri però non vengono dal mondo tersicoreo ma da quello pop, quindi per assurdo mi ha formato molto più Michael Jackson di tanti altri ballerini. Lui sapeva danzare ed era incredibile la sua capacità di creare attorno a sé delle magie!

Tra tutti i tuoi collaboratori a chi vuoi dedicare un particolare pensiero?
I miei collaboratori sono anche i miei amici, i miei familiari. Da mia moglie Manuela, al mio migliore amico Shake, la mia assistente Greta, i miei assistenti coreografi: Olivia e Laura. Sono tutte figure fondamentali nella mia vita perché è grazie a loro che tutto questo è possibile. Pensare oggi di essere un creativo e vivere la creatività da solo è praticamente impossibile. Bisogna avere collaboratori, amici, bisogna condividere, perché "la felicità è reale solo quando è condivisa" (citazione da "Into the Wild").

Oltre a coreografo sei uno stimato docente. Cosa ti piace e non ti piace in questo ruolo e soprattutto quali sono le emozioni nell'entrare in sala danza con gli allievi che aspettano di conoscere e apprendere i tuoi insegnamenti?
Entrare in una sala ad insegnare è un gesto di grande responsabilità. Delle volte mi sento pronto a questa responsabilità, altre no! Credo che oggi sia importante stimolare i danzatori, guidarli, ma la cosa fondamentale è creare in loro la curiosità. La curiosità di conoscere cosa c'è al mondo e di trovare la propria strada. Bisogna essere preparati, far vedere ai ragazzi che la danza è anche disciplina e preparazione. Tutto frutto di un istinto che ognuno di noi possiede, ma l'istinto deve essere educato, deve essere guidato.

Cosa vuol dire per un coreografo poter lavorare con un gruppo stabile di ballerini?
Significa vederli crescere, cambiare, maturare che è il dono più grande che ti possono dare. Iniziare con un gruppo di ragazzi giovani e vederli diventare uomini o donne e portare in scena un passato è un regalo, soprattutto perché scorgi la maturità e l'importanza che ha l'età e l'esperienza nella danza, non solo la tecnica. Quindi le esperienze personali, la maturità, la trasformazione interiore ti cambiano in scena e ti aiutano a diventare più forte, più potente.

I colori, i costumi, il trucco e le scene che posto trovano in una tua creazione?
Sono fondamentali perché ci aiutano a raccontare il mondo di oggi, l'eccesso come la semplicità oppure la nudità, è fondamentale quello che gira attorno ad una creazione. Può esserci un costume, un non-costume, un colore o anche un grigio, insomma qualsiasi elemento che circonda una creazione è basilare.

Andare in America è ancora una "valida" possibilità irrinunciabile per un artista?
Credo che ad oggi non ci sia solo l'America. L'America si trova dove ci sentiamo a casa, quindi artisticamente il mondo è ricco di varie forme di espressione, è ricco di creativi. Per un danzatore trovare un coreografo non vuol dire trovarlo necessariamente negli USA ma vuol dire esplorare i luoghi e poterlo scovare in qualsiasi parte del mondo. Quando un danzatore trova il suo giusto coreografo o il suo giusto ambiente allora lì ha trovato l'America!

Con quale criteri selezioni i tuoi danzatori?
I miei danzatori devono essere tecnicamente preparati ma devono possedere anche una grande personalità in quanto essa è frutto dell'esperienza, ma è data anche dai tratti fisici, e per il mio lavoro è vitale.

Hai degli step ben precisi per la costruzione coreografica? Cosa è fondamentale e imprescindibile nel tuo lavoro?
È importante dare vita a laboratori e vivere esperienze in sala. Prima di creare bisogna conoscere chi si ha di fronte, il danzatore deve conoscere il suo coreografo ma è anche il coreografo che deve imparare a conoscere il suo danzatore, per tirare fuori il meglio di lui e portarlo dove uno ha bisogno. Questo a volte è frutto di laboratori, di ricerca, prima di una vera e propria creazione.

Come scegli le musiche per le tue creazioni?
Le musiche le scelgo ovunque, a volte le ritrovo nei film, a volte le ascolto in radio, a volte andando ai concerti di compositori, di musicisti e anche di star internazionali. La musica non ha confini, bisogna saperla ascoltare. A volte uso anche i suoni della natura e altre volte non uso la musica, qualsiasi cosa può diventare musica.

Parliamo di contaminazioni delle arti? Per tua esperienza è una reale necessità o solo un modo per disporre di maggiore materiale per arricchire il proprio bagaglio di conoscenza?
Per me è una necessità proprio perché la mia formazione è avvenuta in ambiti differenti, e poi non avendo avuto un passato da danzatore, o comunque non essendo cresciuto solo con la danza, diventa un materiale in più da poter usare nel mio linguaggio. Per quello mi sono poi spostato sulla direzione creativa, perché mi piace contaminare le mie creazioni il più possibile.

A volte la storia, il fascino, la magia di un luogo influenzano anche il successo e l'esito di una rappresentazione al di là della vera essenza dell'evento. Tu che rapporto nutri con i luoghi e gli spazi?
Amo l'architettura, quindi credo che come la danza abbia una forte espressione. Per cui i luoghi e gli ambienti possono avere gli equilibri giusti per trasformare un evento in un'esperienza. È importante oggi non vivere gli eventi fine a se stessi ma viverli come esperienze ed il luogo è fondamentale, diventa la casa di quell'evento. Personalmente amo l'architettura e credo molto nella forza dei volumi.

Nei ragazzi di oggi vi è molta fragilità. Quale messaggio vuoi dare a loro mediante l'arte?
Sono molto fragili soprattutto perché nessuno parla con loro. Crediamo di comunicare grazie ai Social ma è in realtà un modo freddo, che con il tempo ci sta dividendo, nutre a livello visivo ma non a livello emotivo. Quello che vorrei insegnare ai giovani è di emozionarsi e di riavvicinarsi. È fondamentale tornare a dialogare usando la voce, usando il corpo, usando gli occhi e non attraverso uno Smartphone. Per cui il messaggio più importante è quello di riuscire a fargli vivere l'emozione, lontana da quello che è la tecnologia, questo non vuol dire che per me la tecnologia sia sbagliata ma non deve godere più importanza della realtà e dell'emozione vissuta nel vero senso della parola.

Michele Olivieri

Ultima modifica il Martedì, 27 Novembre 2018 22:19

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