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INTERVISTA a ENZO COSIMI - di Michele Olivieri

Enzo Cosimi. Foto Daniela Zedda Enzo Cosimi. Foto Daniela Zedda

Enzo Cosimi, coreografo regista tra i più autorevoli della coreografia contemporanea italiana. Coreografo ospite del Teatro alla Scala di Milano e del Teatro Comunale di Firenze, firma nel tempo con la sua Compagnia produzioni per i più prestigiosi festival e teatri internazionali, collaborando con artisti dell'eccellenza italiana e internazionale, tra i quali Miuccia Prada, Luigi Veronesi, Richie Hawtin, Aldo Tilocca, Louis Bacalov, Aldo Busi, Daniela Dal Cin, Robert Lippok e Fabrizio Plessi con il quale crea "Sciame", primo lavoro di video danza italiano. Nel 2006 firma la regia e la coreografia della "Cerimonia di apertura dei XX Giochi Olimpici Invernali di Torino 2006", protagonista l'étoile Roberto Bolle e 250 interpreti. Nel marzo 2012 viene riallestito "Calore", primo lavoro di Enzo Cosimi all'interno del Progetto RIC.CI. a cura di Marinella Guatterini. Nella sua carriera, mette a segno con la sua Compagnia più di 50 produzioni, tra cui "Sopra di me il diluvio", presentato alla "Biennale di Venezia nel 2014" che ottiene il Premio Danza&Danza 2014 come Migliore Produzione Italiana dell'Anno e il Premio Tersicore 2015 a Paola Lattanzi come Migliore interprete contemporaneo. Nel 2015 debutta "Fear party", prima tappa del progetto "Sulle passioni dell'anima". Nel 2016 viene presentato, in co-produzione con il Teatro di Roma, la seconda creazione del progetto, "Estasi", che indaga il rapporto tra il Desiderio e i suoi aspetti più profondi generati oggi nella società contemporanea. Nel 2017 la trilogia si conclude con "Thanks for Hurting Me", sull'esperienza emozionale e sensoriale del dolore. Parallelamente, dal 2015 la Compagnia si dedica a creazioni legate all'ambito sociale e politico, creando nel 2015 "La bellezza ti stupirà", coinvolgendo nel lavoro un gruppo di homeless. Lo spettacolo è all'interno del Progetto "Ode alla bellezza – 3 creazioni sulla diversità". Nel 2016 è stata presentata la seconda tappa, "Corpus Hominis", un'indagine sull'omosessualità in età matura in rapporto alla contemporaneità, mentre nel 2018 si conclude il progetto con "I love my sister" sulla transessualità da donna a uomo. Dal 2018 Cosimi ha anche iniziato a dedicarsi a un percorso di studio e indagine sull'Orestea, per dare vita ad una nuova trilogia. Le creazioni della "Compagnia Enzo Cosimi" sono state rappresentate negli anni nei maggiori Teatri e Festival italiani, e portate in tournée in Europa, Stati Uniti, Perù, Australia, India, Giappone. Enzo Cosimi da alcuni anni collabora come coreografo residente alla "Scuola Civica Paolo Grassi di Milano".

Gentile Enzo, iniziamo con la tua scelta di vita, la professione intrapresa è come una seconda pelle chiamata "arte"?
Assolutamente sì!

Qual è stata la molla che ti ha spinto verso la formazione tersicorea?
Ad un certo punto della mia vita muovermi e l'arte coreografica sono diventate delle ossessioni e di conseguenza la mia droga quotidiana. Per amare profondamente questo lavoro devi trasformarti in un tossico, vivere stati mentali irrazionali.

L'arte, a tuo avviso, deriva da una predisposizione?
Sì ...ma se non hai la complicità persistente della disciplina può diventare tutto un bluff. L'anarchia dell'artista deve sposarsi necessariamente con la più rigida disciplina. Solo così riesci a costruire visioni.

Da piccolo cosa sognavi di fare?
Non ricordo di sognare di fare qualcosa in particolare. Semplicemente volevo inventarmi un quotidiano che facesse stare in equilibrio la mia mente con il mio temperamento febbrile.

Com'è avvenuta la tua formazione e agli inizi ti sentivi più vicino al classico o al contemporaneo?
Certamente al contemporaneo, ma non tanto per una questione di tecniche. La mia esistenza di artista è segnata da sempre dal "pensiero contemporaneo". Indagare l'ignoto, l'invisibile, essere dentro una stanza buia e percepire la luce che arriva da lontano. L'artista deve essere capace di fiutare qualcosa che vibra nell'aria e che il mondo ancora non vede. Essere un cane, un segugio di razza. Amo l'architettura della tecnica classica ma se non è sorretta da uno "sguardo" contemporaneo non racconta più nulla di interessante. I linguaggi oggi stanno conoscendo una nuova accelerazione: lo sconfinamento, il frammentario e l'instabilità. Insieme stanno traghettando l'artista in un nuovo paesaggio.

Mi racconti dell'esperienza vissuta al Teatro alla Scala di Milano, il tempio dell'arte per eccellenza?
Il progetto contemporaneo del teatro alla Scala nato nel 1994, sotto la direzione di Elisabetta Terabust, fu un progetto assolutamente innovativo. Purtroppo all'epoca non fu sostenuto da alcuni critici e soprattutto dai rappresentanti sindacali. Già precedentemente al progetto della Scala, l'Opéra di Parigi aveva intuito le possibilità artistiche che si potevano creare attraverso l'incontro con un coreografo contemporaneo (in quel caso si trattava di Carolyn Carlson) e un corpo allenato classicamente. Qui invece venne visto come un operazione culturale perdente. In quella produzione coinvolsi Aldo Busi, nonostante la contrarietà della direzione della Scala, e la scenografa Daniela Dal Cin. Busi in particolare però non capì fino in fondo l'operazione. Da lui avrei voluto una sorta di libretto/testo inedito scritto appositamente per lo spettacolo. Un po' come avveniva nei balletti del primo Novecento dove si coinvolgevano artisti e scrittori per creare un'opera ad hoc. Alla fine si scelse di lavorare sul suo primo libro "Seminario sulla gioventù".

Cosa ha rappresento l'incontro artistico con Marinella Guatterini?
Intanto un incontro di due persone che si stimano e che nonostante i difficili caratteri di entrambi si vogliono bene. Siamo più o meno della stessa età e insieme abbiamo vissuto l'insediarsi di una nuova generazione di autori e di critici. Marinella, negli anni, mi ha coinvolto in due progetti che hanno segnato il mio percorso artistico. Il primo fu il "Progetto neoclassico" al Teatro Ponchielli di Cremona, ideato da lei e dal musicologo Michele Porzio. In quella occasione creai "Il pericolo della felicità" con la scena del maestro dell'astrattismo Luigi Veronesi, i costumi di Miuccia Prada e le musiche del compositore Giacinto Scelsi. Per me fu uno spettacolo folgorante. Un lavoro che produttivamente oggi sarebbe molto difficile da proporre. Paradossalmente, si rischiava più negli anni 80/90 che adesso. Nell'ultimo decennio vedo un appiattimento creativo e soprattutto produttivo incredibile. In quegli anni avevi ancora la possibilità di produrre delle opere vere e proprie. Penso anche al mio "Sciame" con le video installazioni di Fabrizio Plessi. Nel 2012 con il Progetto RIC.CI. ho potuto riallestire con nuovi e giovani interpreti il mio primo spettacolo "Calore". È stata un'esperienza profonda e straordinaria. Un progetto sulla memoria della coreografia contemporanea italiana, realizzato in un Paese dove il concetto di memoria in ogni ambito è totalmente assente. Personalmente il riallestimento di "Calore" mi ha dato anche la possibilità di rivedermi intimamente e nutrire verso me stesso ventitreenne un sentimento di indulgenza. Per finire, da alcuni anni, Marinella mi dà la possibilità di confrontarmi con giovani studenti della Paolo Grassi attraverso lunghi laboratori. Sono occasioni per me assolutamente rigeneranti.

Lo studio, la ricerca e la sperimentazione sui principi del movimento come ti hanno arricchito a livello artistico e personale?
Arte e vita per me coincidono sempre. Ho avuto la fortuna di formarmi in un periodo in cui c'erano ancora dei maestri: penso in particolare l'aver studiato non tanto la tecnica Cunningham, ma avere preso classi con Merce Cunningham. Il Mudra di Bruxelles lo lasciai dopo sei mesi, ma ricordo ancora con piacere le classi di balletto di Azari Plisetsky o di canto. Oggi, attraverso il rapporto che ho con i miei giovani danzatori o gli studenti della Paolo Grassi mi rendo conto che loro studiano con modalità completamente diverse dalle nostre. Noi eravamo idealisti e dogmatici, si sceglieva un percorso di studio e si approfondiva ossessivamente. Oggi, nell'era della fluidità, tutto è frammentato e eclettico.

Un tuo ricordo per l'esperienza vissuta con Roberto Bolle a Torino?
Ho voluto io Roberto come protagonista/eroe della mia creazione alla Cerimonia delle Olimpiadi invernali di Torino, anche se allora sembrava una strana scelta rispetto al mio percorso artistico. Entrambi, quando ci siamo incontrati, commentavamo sorridendo le reazioni di come tutti vedevano questa accoppiata molto bizzarra. Dissi subito a Roberto che volevo trasformarlo in un eroe contemporaneo e non in un principe classico. Accettò perché è un artista che ama le sfide. Fu assolutamente meraviglioso lavorare con lui. Il suo impegno nell'entrare in un linguaggio a lui nuovo fu sorprendente. Umiltà e disciplina resero quella creazione unica. Lo misi in scena in mondovisione con la musica della star tecno Richie Hatwin e i costumi di Daniela Dal Cin. Mi disse in seguito che per lui fu un'esperienza molto importante anche se aveva delle riserve sul costume. Credo che negli anni riuscirà ad apprezzare anche la meravigliosa creazione che Daniela ha fatto per lui.

Per il tuo lavoro hai vinto prestigiosi premi, tra cui il Premio Danza&Danza 2014 e il Premio Tersicore 2015. Si può dire che la tua sia "una ricerca condotta tra arte e vita"?
Il mio lavoro non è andato mai veramente d'accordo con i premi. Certamente mi ha fatto piacere, dopo molti anni di attività, ricevere un premio per un mio spettacolo, ma mi sorprendo di più quando un mio vecchio lavoro dopo molti anni riesce ancora a stupire. Mi riferisco in particolare a "Calore" o "Bastard Sunday" su Pasolini. Ricordo ancora le critiche feroci con cui l'ambito della danza accolse il mio "Calore" interpretato da non professionisti. Per fortuna quella mia scelta di allora è stata sdoganata, anzi, forse ora è fin troppo inflazionata. Come per altro l'utilizzo del nudo.

Cosa hanno rappresentato nel tuo percorso creativo i temi legati al "sociale", ad esempio parlando de "La bellezza ti stupirà", spettacolo nel quale hai coinvolto un gruppo di homeless?
"La bellezza ti stupirà" è la prima creazione del progetto "Ode alla bellezza, 3 creazione sulla diversità". Attraverso questi tre lavori fagocito nella pratica comportamenti e modalità individuali, sociali, e artistici. Il mondo degli homeless ne "La bellezza ti stupirà", la realtà dell'omosessualità delle persone anziane in "Corpus hominis" e la transizione da donna a uomo in "I love my sister". In queste creazioni lavoro con non-professionisti, cerco di costruire la drammaturgia del lavoro attraverso le loro storie, allontanandomi il più possibile da una visione esclusivamente documentarista. Voglio trasformare queste figure in principi e regine. Non ho interesse a sottolineare le loro fragilità trasformandole in gag divertenti per il pubblico, come vedo fare da alcuni miei colleghi. Il mio interesse è di non fare spettacoli politici, ma trasformarli linguisticamente in spettacoli politici.

La Compagnia, che porta il tuo nome, è stata ospite in prestigiosi festival internazionali, da cosa ti lasci ispirare per le tue creazioni? Sono tutte legate tra loro da un cordone ombelicale oppure ognuna è un evento a sé?
Sicuramente il sesso e la sessualità hanno ispirato principalmente molti dei miei lavori. Il sesso è un filtro in cui vedere i cambiamenti della società contemporanea. Il linguaggio o sistemi di segni del sesso si è modificato radicalmente in pochi anni. Oggi racconta di un'aridità emotiva e spirituale che delinea una nuova mitologia e una nuova visione politica del corpo e dei sentimenti.

Ti ritrovi nella definizione "un artigiano" a servizio della danza?
No. Sono e rivendico il ruolo di "artista". In una realtà dove sembra che tutti possano fare tutto, e tutti possano inventarsi artisti, rieleggo la "competenza" come fonte primaria dell'atto artistico. Naturalmente nel mio caso dopo molti anni di lavoro il mestiere entra nel tuo Dna, ma ogni volta che inizio una nuova creazione cerco di azzerarmi completamente

La tua è una carriera vissuta materialmente con l'anima?
Il mio percorso lo considero un terremoto, un sussulto dell'anima che trasformo in un'ironia tragica, in un senso ludico e cinico delle cose come autentica espressione contemporanea.

Qual è, se esiste, la linea di confine che intercorre tra azione ed immaginazione?
Azione e immaginazione per me si identificano nella visione del rito. Il rito assume un ruolo centrale in riferimento al mio lavoro. Cerco di sottrarre il corpo a visioni conservative e portarlo dentro un gesto arcaico che guardi al futuro. Mettere in atto ritualità per abbattere scissioni dualistiche.

Mentre tra movimento e danza?
Non vedo una reale differenza tra movimento e danza. Certo per alcuni "la scuola" fa la differenza. Ma non per me!

Come nutri quotidianamente la tua energia?
Con il pensiero.

Il tuo libro insostituibile e l'ultimo letto?
"Il sexappeal dell'inorganico" di Mario Perniola. L'ultimo libro letto "Testo tossico" di Paul B. Preciado.

Una tua riflessione legata al concetto di "danza", di qualunque stile essa sia?
La possibilità di muoversi nell'immobilità seguendo il silenzio come partitura ritmica.

La danza contemporanea di oggi riesce ancora ad avvicinare la gente alla verità?
Dipende. Oggi purtroppo il termine contemporaneo è molto inflazionato. Tutto ciò che non è tradizione viene considerato contemporaneo. Un fake totale. Il "pensiero" è fondamentale. È lui che ti dà l'accesso alla verità. Nei miei spettacoli racconto la realtà per trasformarla in una visione iperrealista.

Mi regali una tua definizione di "video danza"?
Il concetto di video danza è, secondo me, un po' superficiale. Si iniziò ad usarlo alla fine degli anni ottanta. Nel mio caso si parlò di video danza dopo la mia collaborazione in "Sciame" con Fabrizio Plessi. Fu uno spettacolo importante per entrambi, con venti monitor in scena all'interno di una scenografia cupa, industriale. Ma il linguaggio coreografico era indipendente dal linguaggio video.

Nel marzo 2012 viene riallestito il tuo celebre lavoro "Calore", all'interno del Progetto RIC.CI. a cura di Marinella Guatterini. Per chi non lo avesse visto come dipingerlo a parole?
"Calore", oltre ad essere la mia prima creazione, racchiude temi e mood che mi porto negli anni in tutti i miei lavori: regressione infantile, l'animale impazzito, glamour, Roma e la romanità, l'opacità di una natura nera, l'eros.

Come nasce il desiderio di indagare "Le passioni dell'anima"?
La nostra è un'epoca apparentemente priva di passioni, caratterizzata dalla logica materialistica. Tuttavia, sebbene escluse dalla sfera della razionalità, le passioni continuano a esistere e orientare l'esistenza degli uomini. Solo recentemente le passioni hanno attirato l'interesse delle scienze sociali. Sono diventate protagoniste della legislazione dei singoli stati e della dinamica dell'interazione sociale. La trilogia "Sulle passioni dell'anima" si articola attraverso 3 creazioni dedicate rispettivamente ai temi della paura ("Fear party" produzione 2015), del desiderio ("Estasi" 2016) e del dolore ("Thanks for hurting me" 2017). "Fear Party" esplora il profilo della paura, le sue diverse valenze psicologiche, i suoi inneschi e disinneschi collettivi. Paure intime dell'uomo contemporaneo, angosce iniettate dal germe della macchina sociale. Sistemi di vita che non possiamo controllare. "Estasi" indaga il rapporto tra il desiderio e i suoi aspetti più profondi generati oggi nella società contemporanea. Desiderio, erotismo, estasi mistica, amore, toccano le radici più profonde della vita sino alla freddezza fatale della morte. Un viaggio dentro l'antico tema di eros e thanatos, esplorato con occhio disincantato, carico di humor, che si apre a paesaggi grotteschi e violentemente pop. La terza tappa del progetto Sulle passione dell'anima è dedicata invece all'esperienza emozionale e sensoriale del dolore, processo che permette di santificare l'uomo e allontanarlo dalla vita. L'idea è di orchestrare una polifonia di sensazioni in cui il senso di drammatizzazione vale molto di più del processo di descrizione, creare una drammaturgia a più livelli, multidimensionale riconducibile all'eliminazione dei confini tra le discipline artistiche, mettendo il corpo protagonista dell'intero processo artistico. Complice per la drammaturgia dello spettacolo è l'universo Kafkiano attraverso dispositivi necessari per imbastire una scrittura del corpo sincretica dove il dolore insegna ad ascoltare e a trasmettere l'unicità dell'essere umano. Un mio desiderio è quello di poter rappresentare presto tutta la trilogia insieme.

Qual è il biglietto da visita della "Scuola Civica Paolo Grassi di Milano" di cui sei coreografo residente?
Un meraviglioso luogo di idee e pratiche necessarie per formare un artista, ma che ha ancora delle potenzialità inespresse. In una realtà dove lo sconfinamento è d'obbligo, il teatro e la danza dovrebbero trovare nello studio quotidiano più occasioni di incontro.

In conclusione, gentile Enzo, mediante l'arte si possono cambiare le cose?
L'artista non dà soluzioni ma pone delle domande.

Michele Olivieri

Ultima modifica il Giovedì, 11 Ottobre 2018 15:03

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