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WINSTON VS CHURCHILL - regia Paola Rota

Giuseppe Battiston in "Winston vs Churchill", regia Paola Rota Giuseppe Battiston in "Winston vs Churchill", regia Paola Rota

Presentato da Nuovo Teatro diretta da Marco Balsamo
Con Guseppe Battiston e Maria Roveran
Regia Paola Rota
Da "Churchill, il vizio della democrazia" di Carlo G. Gabardini
Scene Nicolas Bovey
Costumi Ursula Patzak
Luci Andrea Violato
Suono e musica Angelo Longo
Teatro Ambra Jovinelli di Roma dal 13 al 24 febbraio 2019
Teatro Nuovo di Verona dal 12 Marzo 2019 al 17 Marzo 2019

www.Sipario.it, 4 marzo 2019

Winston "in the mood"... quello giusto

Al centro geometrico di uno spazio circolare e circense (intuizione scenografica 'forte' e intrigante, appendice tragico-buffo-lunare del 'gran teatro del mondo'),  "Winston vs Churchill"  si spande oltre un fondale  quasi purpureo,  in  stoffa rosso-cupa,  da cui si entra e si esce (in pista)  supportati da un perfetto  gioco di luci, e pochi oggetti a portata di mano (un mappamondo, una radio, la grande poltrona in cui sprofondare  sobbalzare).  Per quella  innata, fattiva pigrizia che il più celebre fra i leader di Sua Maestà  "devolve" in combattiva determinazione, testardaggine, soprassalti di dubbi e nodi gordiani da sciogliere "senza tempo frapporre". Per poi incappiarsi in altri, sino alla quasi struggente evocazione (in sottofinale) dei suoi genitori, così influenti e così aristocraticamente distaccati. Forse a fin di bene: per meglio temprare il carattere di un ragazzo intelligente, delicato, bipolare nell'azione e nella (mai del tutto risolta) depressione genetica.
Incondizionata lode a Giuseppe Battiston che (a 57 anni)  rivive "a suo modo" il  Churchill ottantenne, amante del whisky ed altri alcolici dal sapore possente e "combattente" (mai cedendo all'etilismo), degli innumerevoli sigari cubani e (non confessandolo)  delle 'belle donne' verso cui si è sempre percepito fisicamente incongruo e ingombrante:  un Winston che urla, sbraita, si lamenta, insofferente e riottoso a qualsiasi lenimento che  la una paziente, premurosa infermiera (Maria Roveran) insiste "vanamente" a propinargli, come se esistessero antidoti   alla percezione (impotente) della vecchiaia,  invasiva nel corpo ma non accettabile dalla collaudata pervicacia di chi ha contribuito a"salvare le sorti del mondo". Contro il nazismo e l'imbarbarimento (mai debellato del tutto) dell' intero continente.
Piantiamola con la somiglianza (la "verosimiglianza") fisiognomica: dimentichiamo i pur notevoli modelli cinematografici di Gary Oldman ("L'ora più buia"), Brian Cox ("Churchill") e del 'dominus'  Albert  Finney nel biographic televisivo  "Guerra imminente" (film reperibile solo sul web).
Churchill-Battiston, barbuto, capelluto, senza  aderenze estetiche che non siano la struttura fisica (come fu il suo rapporto con Orson Welles) "sprizza" di nostalgia frammista ad orgoglio e (intermittente)   amor prorio:  "consapevole di aver fatto sempre gli interessi del Regno Unito e dell'Europa", in quel suo stare 'in the mood' con   "la certezza di essere stato un artefice della Storia". Anche perché, allertato dalla consapevole  percettività di bambino cresciuto cocciuto "ma a stento", aveva sempre avvertito  Hitler e la svastica come qualcosa di orrido, tenebroso, simile agli orchi delle fiabe e agli universi insidiosi dei fratelli Grimm.
Possiamo, anzi  dobbiamo, dissociarci dalla sentenziosità di alcune sue affermazioni, epigrammi, boutade  ("Gli italiani perdono le guerre come se fossero partite di calcio e le partite di calcio come se fossero guerre"... "Meglio fare le notizie che riceverle, meglio essere un attore che un critico" .."L'alcol è una cosa seria, non va mischiato"), ma accettiamone l'umanità di burbero se non benefico, certamente impareggiabile  e non più replicabile 'primo attore' sul proscenio disastrato del secolo breve.Rivelatosi, con il fluire del tempo unico nel suo genere e
grande statista umanamente immerso (in misura non celebrativa) fra le sue contraddizioni, dissapori, sterili passioni e perdonabili  eccessi.  Alla "peggio",  affetto da quella sindrome che poi Fukuyama definirà "la megalotimia a fin di bene", come Lincoln, Luther King, Nelson Mandela.
Che ad immergersi in Winston, in finta (teatrale) lotta con se stesso, dandogli anima, volto, pensieri e parole sia, anzi è, un attore come Battiston (con Timi e Pierobon i più eclettici, indispensabili della sua generazione)  consideriamolo un valore aggiunto. Unitamente alla notevole qualità dello spettacolo nel suo insieme: drammaturgia, regia, ambientazione e quant'altro.

Angelo Pizzuto

Ultima modifica il Martedì, 05 Marzo 2019 14:15

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