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VARIAZIONI ENIGMATICHE - regia Gabriela Eleonori

"Variazioni enigmatiche", regia Gabriela Eleonori "Variazioni enigmatiche", regia Gabriela Eleonori

di Éric-Emmanuel Schmitt

con Saverio Marconi e con Gian Paolo Valentini

Scene e costumi Carla Accoramboni

Traduzione Saverio Marconi e Gabriela Eleonori

Regia Gabriela Eleonori

Produzione Compagnia della Rancia

Messina, Sala Laudamo dal 18 al 20 marzo 2016

www.Sipario.it, 20 marzo 2016

Succede spesso che l'inizio d'un amore sia legato ad una melodia, un'aria musicale, una canzone, come accade in Variazioni enigmatiche (Variations énigmatiques), opera sinfonica del compositore inglese Edward Elgar, che da il titolo alla pièce del 56enne drammaturgo francese, Eric-Emmanuel Schmitt, scritta nel 1995 e molto rappresentata in Europa e pure qui da noi in Italia dai vari Mauri e compagni e adesso pure da Gian Paolo Valentini e Saverio Marconi - sì proprio il fondatore della Compagnia della Rancia - artefice pure d'una scorrevole traduzione assieme a Gabriela Eleonori che firma la regia dello spettacolo andato in scena nella Sala Laudamo di Messina. Marconi è molto a suo agio nel ruolo di Abel Znorko, uno scrittore arrogante e misantropo, pure premio Nobel, che ha scelto di vivere ritirato in un'isola sperduta vicina al Polo Nord, scrivendo lettere per una donna che forse non esiste, un'immagine ideale o solo sognata, che egli ama ormai da 15 anni; mentre Valentini è Eric Larsen, un acuto giornalista che è venuto a trovarlo per fargli un'intervista sul suo ultimo libro titolato L'amore inconfessato, ruotante attorno ad una misteriosa donna indicata solo con le sue iniziali e che si scoprirà essere Helene (mai in scena) amata da entrambi. Il colloquio tra i due è ricco di tensione sin dall'inizio, pure feroce in alcuni momenti, addirittura quando Larsen sta per lasciare bruscamente lo studio di Znorko (ricco di libri e un paio di poltrone nella scena di Carla Accoramboni, suoi pure i costumi) verrà preso a fucilate da quest'ultimo per farlo ritornare indietro e continuare l'intervista. Non voglio raccontare la trama, anche perché le sorprese si succedono di continuo, come quella dell'inizio che vede proprio quel giornalista e non altri aver voluto incontrare quello scrittore. Piuttosto è interessante il duello verbale ricco d'ironia, ma anche con qualche deja vu, che i due personaggi innescano ogni qual volta esprimono la propria visione sulla parola amore: disinibito, eccitante, erotico, passionale per lo scrittore: romantico, quotidiano, indagatore, mortale e qualche slancio per il giornalista. L'amore, diretta conseguenza della musica, è il motore del testo. Di Helene abbiamo alcune tracce delle sue lettere, come quando scrive a Znorko: « Noi ci diciamo parole d'amore, ma chi siamo noi?....A chi dici: io t'amo? A chi lo dico io? Non sappiamo chi amiamo. Non lo sapremo mai. Ti dono questa musica perché tu ci rifletta». Il lavoro di Schmitt è ben orchestrato, quasi sul filo del paradosso, per il modo come i colpi di scena giungono quando sta per scemare l'attenzione dello spettatore, il quale assiste quasi ad un dramma che è poi soltanto la commedia di tre vite che s'incontrano separatamente in tempi diversi, con la complicità di un epistolario galeotto, oggetto dell'ultimo libro dello scrittore, che condurrà il giornalista ad incontrarlo in quelle lande nevose e che finisce senza vinti e vincitori, senza una vera e propria conclusione.

Gigi Giacobbe

Ultima modifica il Domenica, 20 Marzo 2016 05:29

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