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VITA DI GALILEO - regia Gabriele Lavia

"Vita di Galileo", regia Gabriele Lavia. Foto Tommaso Le Pera "Vita di Galileo", regia Gabriele Lavia. Foto Tommaso Le Pera

di Bertolt Brecht
con Gabriele Lavia
e con Massimiliano Aceti, Alessandro Baldinotti, Daniele Biagini, Silvia Biancalana, Pietro Biondi, Francesca Ciocchetti, Gianni De Lellis, Michele Demaria, Chiara De Paolo, Luca Di Prospero, Alice Ferranti, Giulia Gallone, Ludovica Apollonj Ghetti, Giovanna Guida, Lucia Lavia, Andrea Macaluso, Mauro Mandolini, Luca Mascolo, Woody Neri, Mario Pietramala, Matteo Prosperi, Matteo Ramundo, Malvina Ruggiano, Carlo Sciaccaluga, Anna Scola
musiche originali Hanns Eisler
eseguite dal vivo dai musicisti della Scuola di Musica di Fiesole
Elena Pruneti (flauto), Graziano Lo Presti (clarinetto), Giuseppe Stoppiello (pianoforte)
regia Gabriele Lavia
scene Alessandro Camera, costumi Andrea Viotti, luci Michelangelo Vitullo
regista assistente Giacomo Bisordi, vocal coach Francesca Della Monica
Fondazione Teatro della Toscana
Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale
Torino, Teatro Carignano dal 6 al 20 ottobre 2015

www.Sipario.it, 21 ottobre 2015

TORINO - L'eterno conflitto tra scienza e religione (maschera del potere), il difficile ruolo di colui che "va oltre" sul cammino della conoscenza, le implicazioni di tali scelte, sulla sua vita e sul futuro dell'umanità. Tematiche difficili, troppe volte scomode, delle quali Bertolt Brecht traccia un convincente affresco nel suo Vita di Galileo, sontuosamente diretto e interpretato da Gabriele Lavia, in prima nazionale al Teatro Carignano di Torino. Un allestimento in grande stile, squisitamente barocco, con ventisei attori e tre musicisti dal vivo, per uno spettacolo dalla maestosa architettura, che, come una cattedrale, custodisce più di una struttura: la vicenda del Galileo uomo e scienziato, il mondo della Chiesa romana controriformata, l'eco della libera Europa protestante, il popolo dei "semplici", ligio alla verità rivelata da Roma. Una serie di veri e propri quadri viventi, resi ancor più affascinanti da una splendida scenografia declinata in nero, seguono Galileo da Padova a Firenze, di qui a Roma, poi di nuovo a Firenze, fino alla condanna ecclesiastica e all'abiura delle sue teorie.
In questo suo peregrinare per l'Italia, Galileo è incarnato da Lavia attraverso una recitazione fortemente sentita, che mette in luce il suo entusiasmo, la sua bonaria vanità, la predilezione per la buona cucina, la sua ironia a tratti amara; un uomo mosso dal profondo amore per la scienza, che si batte per il diritto di ognuno di conoscere e interpretare la realtà in maniera autonoma, e lo fa con quell'ardore che a tratti quasi gli causa estasi mistiche, al pari dei santi. La sua è comunque una fede, anche se nella scienza. Ma Lavia arricchisce il personaggio, mostrandoci i suoi lati affettuosi: l'amore per la figlia Virginia, l'affetto per il giovane seguace Andrea Sarti, e quella vena poetica con cui osserva e segue le stelle, i pianeti, l'universo tutto. Che, in un certo senso, diventa una sorta di co-protagonista dello spettacolo, con i suoi moti e i suoi silenzi eterni.
Tema centrale dello spettacolo, e ancora profondamente attuale, la libertà dell'uomo di conoscere e interpretare la realtà, rigettando le verità rivelate, acquisite per dogmi o ricerche non suffragate da prove scientifiche. Nel 1610, affermare che la Terra ruota attorno al sole, che vi sono stelle mai viste prima e che adesso ognuno è libero di vedere grazie a strumenti come il telescopio, che la prova scientifica può smentire anche la Bibbia, significava, per la Chiesa, muovere un pesante attacco al suo potere sul gregge dei fedeli, il quale, se libero di pensare, potrebbe anche trovare ingiuste le decime da pagare alla Chiesa, per una verità che essa non possiede.
Una mentalità medievale, oscurantista, della quale Umberto Eco ci ha dato uno splendido saggio ne Il nome della rosa. I Cardinali di santa romana chiesa non sono poi così diversi dal frate fanatico Jorge da Burgos, che non esita a uccidere i confratelli che vogliono appropriarsi della conoscenza. E un anziano inquisitore motteggia sulle scoperte di Galileo, paventando il rovesciamento della realtà costituita, citando un testo che a sua volta è ispirato ad antichi testi tedeschi dell'Alto Medioevo, in cui si parla di una terra alla quale si giunge cavalcando un'oca blu, dove gli sparvieri pescano i pesci in un ruscello, gli orsi cacciano i falconi, volano i polli arrosto e l'asino suona la lira. Un'allegoria che appunto immagina un mondo catastrofico, allorquando il semplice contadino interpreti i segni con cui Dio ci parla del mondo, e ne faccia oggetto di ragionamento. Opposta è l'idea di Galileo, che spinge per rendere libera la scienza dalla superstizione, e renderla uno strumento svincolato dal potere. Una problematica purtroppo ancora oggi viva; e se nel Medioevo Umberto Eco ci parla di "erbe cattive" per avvelenare la mente, nel Seicento i Gesuiti utilizzano i loro sofismi per annullare la razionalità del pensiero, e nel Duemila... c'è la televisione. A questo proposito, è emblematica la "Festa degli straccioni" a Roma, chiassosa scena carnevalesca che vede la vicenda di Galileo cantata in strofe di stornello. È l'allegoria colorata e commovente dell'Italia dell'epoca (ma non solo), di un popolo addomesticato da secoli a vivere d'elemosine (o elargizioni) papali e cardinalizie, o di quell'industria turistica che l'Urbe ha comunque sempre avuta, mai chiamato a esprimere la sua coscienza civile, tenuto in scacco dalla "paura dell'inferno". E l'unico sfogo è appunto l'ironia su questioni troppo grandi, che non riesce ad afferrare per intero. Mentre gli uomini di potere, in questo caso i Cardinali, conducono una vita raffinata e libertina, marcia d'ipocrisia perché respingono la scienza di Galileo, ma indulgono ai piaceri della carne. Con l'assenso, appunto, del popolo, personificato dalla signora Sarti (Francesca Ciocchetti), governante di Galileo, e la figlia di questi, Virginia, piene entrambe di scrupoli religiosi, troppo impaurite per capire la portata delle nuove scoperte.
Uno spettacolo politico, che fa luce sul clima oppressivo con cui gli uomini di pensiero si sono quasi sempre scontrati, tranne poche oasi felici, come l'Olanda protestante la cui eco arriva a Galileo dai racconti dei colleghi. Uomini spesso soli, scienziati e pensatori, ma a volte sostenuti da seguaci più o meno determinati; Andrea Sarti, Sagredo, Padre Fulgenzio, lo sono a modo loro: il primo con coerenza e passione, il secondo un po' più tiepido, e il terzo, da uomo di Chiesa e studioso di matematica, prima si avvicina a Galileo, e poi, per la pace dell'anima, ritorna in seno alla Chiesa, dopo che questa ha emesso il suo verdetto di condanna.
Uno spettacolo arricchito da una splendida scenografia, con le lavagne coperte di grafici e formule degli studi di Galileo, le sale in chiaroscuro dei palazzi cardinalizi, il quadro vivente della plebe romana. Scene che riproducono i falsi splendori di un Barocco intriso di superstizione e ignoranza, ma illuminato qua e là dalla sete di conoscenza. La musica dal vivo su flauto, clarinetto e pianoforte contribuisce all'estetica delle scene.
Dopo il deludente Sinfonia d'autunno, Lavia ritrova il suo tocco e dirige uno splendido spettacolo corale, dal profondo valore artistico e civile, che riporta i tormenti di un'epoca che sembra passata, ma a tratti appare ancora presente.

Niccolò Lucarelli

Ultima modifica il Venerdì, 23 Ottobre 2015 08:57

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