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VOCI DI DENTRO (LE) - regia Francesco Rosi

Le voci di dentro Le voci di dentro regia Francesco Rosi

di Eduardo De Filippo
regia: Francesco Rosi
scene: Enrico Job
costumi: Enrico Job e Cristiana Lafayette
luci: Stefano Stacchini
con Luca De Filippo, Gigi Savoia, Antonella Morea, Marco Manchisi, Carolina Rosi
Teatro Strehler, Milano dal 20 marzo al 5 aprile 2008

Il Messaggero, 5 gennaio 2008
Il Giornale, 10 aprile 2008
Corriere della Sera, 23 marzo 2007
"Le voci di dentro"

di Eduardo con la regia di Rosi

Ancora oggi e domani, all'Argentina (è una "ripresa") Le voci di dentro di Eduardo De Filippo, con la regia di Francesco Rosi. E' un apologo machiavellico, la commedia: un buon diavolo sogna un delitto orrendo, l'assassinio di un amico, e lo fa con tale evidenza, in modo così «naturale», da sentire il dovere di correre a denunciare l'accaduto. Gli agenti piombano in casa dei sospettati, i Cimmaruta, e li portano al commissariato. Ma l'accusatore, nello sconcerto generale, annuncia di aver sognato, si assume la responsabilità delle proprie azioni e attende in casa, attonito, le debite conseguenze. E la sapienza della struttura drammaturgica mette in ballo i sentimenti, solitamente i veri attori del teatro eduardiano, e alle parole, che diventano comportamenti, personaggi. Ne vien fuori una sinfonia profetica mai retorica, mai gonfia. Anzi, il discorso finale, carico dell'amara riflessione morale del protagonista (l'io epico di Eduardo), riesce ad essere, nell'interpretazione di Luca De Filippo, persino asciutto, quotidiano e sconfortato. Già. Alberto Saporito, il "sognatore", vede montare sotto i propri occhi, riguardo a un omicidio mai commesso, il gioco della reciproca accusa. I Ciammaruta, pensando che Alberto abbia in casa le prove del crimine, si danno la colpa l'un l'altro: zia contro nipote, sorella contro fratello, moglie contro marito... Le scene di Enrico Job sono in bianco e nero. Da non perdere.

Rita Sala

UN DELITTO FANTASMA TRA LOSCHI FIGURI E FUOCHI D'ARTIFICIO

Ogni volta che ci si accosta a un capolavoro di Eduardo la gioia che proviamo alla sola idea di riascoltare la mirabile scansione dialogica del Maestro non va esente dal timore di una contraffazione. E, prima ancora che si alzi il sipario, ci si chiede sbigottiti: «Sarà rispettato o, in qualche modo, più o meno sapientemente trascritto come un agit prop, il messaggio del nostro massimo commediografo degli ultimi cinquant'anni?». Anche se è un timore del tutto ingiustificato perché la parola di Eduardo ha una tale incisività da travalicare indenne qualsiasi tentativo di adattamento alla sensibilità di registi-autori come in passato è avvenuto negli splendidi allestimenti di Strehler e di Alfonso Santagata. Autore, quest'ultimo, di un saggio-spettacolo di straordinario interesse compiuto sulle Voci di dentro con un gran finale in odor di Majakovskij dove, crollate le intercapedini del teatro e ridotto in cenere il deposito-laboratorio di Carlo, il fratello azzeccagarbugli di Alberto Saporito, le stinte figurine della famiglia Cimmaruta si aggiravano come e peggio dei naufraghi del Titanic.

Ora Francesco Rosi, reduce dal successo di Napoli milionaria!, nell'animare l'amara favola dei disinganni gestita in prima persona dal povero Alberto che, vittima di un orribile incubo, crede di aver assistito nella realtà a un orribile assassinio perpetrato sulla carne di un innocente ad opera dei vicini di casa, raggiunge un analogo risultato d'arte nella perfetta mimesi di quegli interni, tra Magnasco e Mancini, cari ai grandi affreschi dell'autore scomparso. Dapprima nella cucina aperta sulla gran piazza inondata dal sole e poi nello sconquassato bric a brac che ospita, tra santi di cartapesta e fragorosi fuochi d'artificio, il delirio dello zì Nicola; il talento visivo di Enrico Job si esercita nel definire quell'habitat ai limiti dell'umana credibilità dove il sogno del delitto mai avvenuto sta per concretarsi, nella miserabile commedia degli equivoci agìta dai finti colpevoli, in un crimine pazientemente predisposto a tavolino.

Con quei fantocci da saga brechtiana precipitati per incanto nella Spaccanapoli dove scriveva Benedetto Croce che, ridotti a mummie pietrificate dall'orrore quando finalmente si scopre l'arcano e la vittima designata ricompare più viva che mai, vengono condannati dall'inesorabile dialettica di Saporito al ludibrio del pubblico in scena e all'esecrazione dello spettatore in sala. Per merito della perfezione mimetica di Luca De Filippo, insostituibile protagonista e infaticabile direttore di una splendida compagnia che fa onore al teatro italiano.

LE VOCI DI DENTRO - di Eduardo. Teatro di Roma & Elledieffe. Regia di Francesco Rosi, con Luca De Filippo. Palermo, Teatro Biondo, fino al 18 aprile

Enrico Groppali

Per le «Voci» Luca De Filippo è grandissimo

In «Le voci di dentro» che Eduardo De Filippo scrisse nel 1948, spira l' aria di un secondo dopoguerra dalle speranze tradite. La «commedia nera» vive di una forza sia onirica, come risucchio della vita nella visionarietà e nell' incubo, sia realistica, come segno di grave affanno sociale, di un senso di sconfitta, di incertezza e sgomento. Protagonista di questo dramma impietoso è Alberto Saporito «allestitore di feste» che sogna un delitto commesso dai membri di una famiglia di vicini. E crederà a tal punto al suo sogno da denunciarli alla polizia. Gli accusati invece di proclamare a gran voce la loro innocenza, cominciano a sospettare che il delitto sia stato commesso davvero da uno di loro. A turno, zia, nipote, marito e moglie si recano nel magazzino dove don Alfonso vive col fratello, a denunciare un congiunto. Così sotto la patina di una tormentata normalità, si fa luce una corruzione morale profonda e un' insicurezza che da economica si fa etica. La regia di Francesco Rosi cala la commedia in un clima di un naturalismo percorso da un onirico senso di disagio che si esplicita nelle scene cupo-barocche di Enrico Job. Il bravissimo Luca De Filippo (foto) per il suo Alberto Saporito sceglie l' intelligente chiave di una asciutta interiorizzazione con una recitazione che fa della misura il suo tratto principe, una misura sofferta fatta di emozioni e di pensieri trattenuti, di smarrimenti che sono voragini di impotenza, rendendo palpabile un universo di disillusione e mancanza di speranza. Al suo fianco la solidità di tutti gli attori della compagnia, da Antonella Morea a Carolina Rosi, da Marco Manchisi a Gigi Savoia, a Giuseppe Rispoli, quello zi' Nicola che disgustato dagli uomini decise di non proferire più verbo, strada di una protesta che il nipote Alberto mostra, sempre meglio e sempre più, di capire fino in fondo. LE VOCI DI DENTRO. Teatro Strehler, fino al 5 aprile

Magda Poli

Ultima modifica il Domenica, 11 Agosto 2013 15:11

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