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VENERE IN PELLICCIA - regia Valter Malosti

"Venere in pelliccia", regia Valter Malosti "Venere in pelliccia", regia Valter Malosti

di David Ives
regia Valter Malosti
con Sabrina Impacciatore e Valter Malosti
scene e disegno luci Nicolas Bovey, suono G.U.P. Alcaro
costumi Massimo Cantini Parrini, aiuto regia Elena Serra, assistente alla regia Roberta Crivelli
prodotto da Pierfrancesco Pisani, Parmaconcerti e teatro di Dioniso, in collaborazione con Infinito srl e Fondazione Teatro della Fortuna di Fano/AMAT
al teatro Ponchielli, Cremona, 11 gennaio 2017

www.Sipario.it, 15 gennaio 2017

Ci sono artisti che vivono di un'unica, inconfessabile tensione che è la necessità di tendere allo stremo la capacità di resilienza dell'anima. Ecco Valter Malosti è uno di questi artisti che non ha paura di frequentare l'abisso, il suo abisso e lo fa da Satiro. Ciò è quanto Valter Malosti fa in Venere in pelliccia di Davis Ives, affiancato da una camaleontica, comica e sensuale, puttanesca e mantide religiosa Sabrina Impacciatore. Cercare un raffronto con il film di Roman Polanski è fuorviante, così come quando si dice il libro era meglio della trasposizione cinematografica. Con Venere in pelliccia – prodotto con coraggio e fiuto dal giovanissimo Pierfrancesco Pisani – Valter Malosti porta a sintesi un filone della sua inquieta ricerca di attore/regista: quello che indaga il rapporto fra i sessi, la lotta fra maschio e femmina, il potere e la violenza delle relazioni destinati a compiersi nell'orgiastico stordimento dell'eros bacchico.
Questa necessità di mettere alla prova la coesistenza di Eros e Thanatos, di amore e morte è della pièce di David Ives, è nel romanzo Venere in pelliccia di Leopold Von Sacher Masoch, è in un gioco dalle drammatiche conseguenze come accade nel trionfo sanguinario delle Baccanti, non a caso citato alla fine del testo quale corrispettivo di pensiero erotico delle aspirazioni pagane della protagonista romanzesca. Venere in pelliccia di Malosti è una stanza della mente, è un'apparizione, è un incubo sonoro, scandito da tuoni e lampi, dal trillare dei telefoni, da suoni che vengono da lontano, dal Tannhauser di Wagner. Lo spazio scenico di Venere in pelliccia è il teatro, il suo contesto è la finzione, ma è anche un gioco a chi domina, è l'ambiguità della vittima che finisce col farsi carnefice, l'arrendevolezza del carnefice cha aspira a farsi vittima, ma senza rinunciare al ruolo di dominante, il maschio che si fa femmina. E fa un po' impressione il corpulento Malosti in fogge femminili... un satiro che irride ed è irriso. Assistendo a Venere in pelliccia si percepisce che è questo il tassello di un viaggio nella crudeltà dell'eros, nelle pulsioni che l'io fatica a tenere a bada, come accadeva nella Scuola delle mogli, oppure nella Signorina Gulia di August Strindbarg con Valeria Solarino che Malosti ha allestito in luoghi inferi, o ancora nello spazio chiuso e asettico di Quartett di Heiner Muller con Laura Marinoni, due anni fa al Ponchielli, o nel castriano e mentale Berretto a sonagli di un Pirandello ancestrale, dialettale, materico e tragicamente comico come solo lo sa essere il veaudeville. Ecco in Venere in pelliccia Valter Malosti si diverte, continua a frequentare l'infrequentabile, l'abisso di un desiderio che coincide col cupio dissolvi e lo fa con il ghigno beffardo, lo fa facendosi affiancare da Sabrina Impacciatore che sa tenere e connotare l'alternanza del personaggio/attrice e quello di Dunayev del romanzo di Von Sacher Masoch con incisiva precisione e efficacia, sostenuta dal tappeto sonoro di G.U.P Alcaro. Lo spazio scenico elevato alla ennesima potenza della finzione del teatro nel teatro è fantasia agita, ad un tratto si potrebbe pensare che quell'attrice che si presenta all'audizione in ritardo e porta lo stesso nome della protagonista della pièce possa essere un fantasma, una fantasia – curioso l'assonanza etimologica – che vivono nella mente desiderante del regista. In questo gioco di rimandi al mito classico, alla cultura della mitteleuropea Valter Malosti ci sguazza e dà l'impressione di godere in scena nel vestire i panni di quel dominus che è il regista, godimento sublimato nell'umiliazione masochista che ne fa un Socrate beffardo dall'anima d'oro, o meglio traforata. Se Malosti è tutta testa e ironia – con uno sguardo da fuori – Sabrina Impacciatore è tutta anima e corpo, è trasporto emotivo, è sciatteria da attricetta a elegante fascino seduttivo della protagonista del romanzo di Von Sacher Masoch. Tutto ciò si compie con leggerezza, voluta e accentuata comicità irridente e conseguente finale scambio di ruoli, in un gioco al massacro che non fa vittime ma inquieta. Il pubblico si diverte, ride, applaude a quel gioco al massacro che sa essere leggero e comico, ma che nel percorso teatrale e registico di Valter Malosti dice di come sia possibile mostrare l'abisso del desiderio e della sua inafferrabilità. E questo per una serata passata a teatro non è poca cosa.

Nicola Arrigoni

Ultima modifica il Domenica, 15 Gennaio 2017 20:52

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