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UBU ROI - 
regia Roberto Latini

Ubu Roi - regia Roberto Latini Ubu Roi - regia Roberto Latini Foto Teatro Sociale di Gualtieri - Nicolò Cecchella

di Alfred Jarry

adattamento e regia Roberto Latini
musiche e suoni Gianluca Misiti

scena Luca Baldini
, costumi Marion D'Amburgo, 
luci Max Mugnai
con Roberto Latini
 e con Savino Paparella, Ciro Masella, Sebastian Barbalan, Marco Jackson Vergani, Lorenzo Berti, Simone Perinelli, Fabio Bellitti
direzione tecnica Max Mugnai
, collaborazione tecnica Nino Del Principe, 
assistente alla regia Tiziano Panici
, cura della produzione Federica Furlanis, 
promozione e comunicazione Nicole Arbelli, 
foto Simone Cecchetti
produzione Fortebraccio Teatro

un progetto realizzato con la collaborazione
Teatro Metastasio Stabile della Toscana
Teatro Sociale di Gualtieri, 2 e 3 ottobre 2013
Piccolo Teatro di Milano, 9-13 ottobre 2013

www.Sipario.it, 14 ottobre 2013

Roberto Latini e la Compagnia Fortebraccio si prendono ripropongono una versione guiñolesca e fedelmente estemporanea del capolavoro di Jarry, datato 1896, originariamente pensato per burattini e salutato come scandaloso canto del cigno supremamente decostruito del Simbolismo, che anticipava di ben trent'anni la teoresi mistica di Artaud e di cinquanta il teatro dell'assurdo di definizione essliniana. La messa in scena è a tratti molto suggestiva nell'impianto scenico, di grande impatto visivo, particolarmente nella cornice "ribaltata" del teatro di Gualtieri, la recitazione volutamente caotica ed irrisoria, un tantino imprecisa, con qualche orchestrazione delle scene d'insieme scopertamente lasciata al caso e qualche siparietto irrisolto e smaccatamente televisivo di troppo, con referenze ad un'attualità piuttosto inutile. Ma nel complesso la pièce diverte il pubblico, seppur debordando in una durata di quasi due ore. Lo spettacolo di Latini interpola il testo del francese con abbondanti riferimenti a Shakespeare, oltre a quello filologico a Macbeth – e alla consorte in versione Madre Ubu baffuta di rosso guantata –, anche a La Tempesta, Giulietta e Romeo (licantropi e danzanti) e Giulio Cesare e al Pinocchio di Carmelo Bene, prima incatenato prometeicamente e poi liberato, interpretato dal regista stesso, a glossare le strampalate vicende di Ubu e i suoi, in una sorta di commento morale e teatrale alle depravate azioni dell'antieroe, pantagruelicamente idiota. L'inserzione di spiccata matrice letteraria di questi testi fondanti della drammaturgia occidentale e della tradizione del teatro di ricerca sembra però, nei fatti, contraddire, col suo dilagare, la dichiarazione programmatica con cui Latini apre il programma di sala, ovvero la restituzione all'insegna delle responsabilità d'un teatro autentico, lontano dalla maniera e dalla forzatura cui il teatro borghese, ma ormai anche molto teatro novecentesco e contemporaneo, ha rinchiuso la forma drammatica riducendola a pura rappresentazione, a puro spettacolo, smarrendone quindi la potenza esperienziale e rituale, il contatto immediato, fulmineamente intelligibile tra pubblico e scena e restaurare la possibilità per una qualsivoglia Verità sull'esistenza di rivelarsi sul palcoscenico. Come dargli torto? Nulla si potrebbe eccepire, se non che, con l'adattamento da lui stesso imbastito, Latini tradisce, forse non colpevolmente, ma per un uso inappropriato dei mezzi di cui dispone, la pièce di Jarry, che coscientemente e lucidamente decostruì la forma tradizionale – ed i miti di una intera civiltà (vendetta, guerra, morte, potere) - ottenendo una piena coincidenza tra forma e contenuto che colma la crasi fondamentale tra teatro e vita col suo sostanziarsi nei registri più crassi, scatologici e scandalosi delle umane bassezze, facendo implodere i testi sacri del teatro continentale, per recuperarne la matrice autenticamente rivoluzionaria. Jarry aveva quindi spezzato i gioghi letterari che avevano incatenato il teatro su se stesso, nell'insincerità del dramma borghese, nell'assurdità verbosa dei drammi a tesi, nell'intellettualismo pusillanime d'un vuoto essenziale di idee ed in qualche modo Latini riaffonda Ubu Roi nel ginepraio della letterarietà, del rimando, dell'inserimento spesso arbitrario del teatro nel teatro, moltiplicando a dismisura la metateatralità e metaletterarietà del suo spettacolo col rischio di allontanare lo spettatore dal vero Senso di Ubu, teatrale, storico e anche letterario dell'opera. L'impressione, e la sensazione di chi scrive, è da questo Ubu, pur gradevole nel complesso, se ne esca sì divertiti, ma tutto sommato perplessi, confusi e ancora estranei al vero significato dell'opera, di Jarry e di Latini.

Giulia Morelli

Ultima modifica il Lunedì, 14 Ottobre 2013 21:31

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