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UBU BUUR - regia Marco Martinelli

Ubu buur Ubu buur Regia Marco Martinelli

drammaturgia e regia: Marco Martinelli
ideazione : Marco Martinelli, Ermanna Montanari, Mandiaye N'Diaye
con Mandiaye N'Diaye, Ermanna Montanari, Roberto Magnani, Danilo Maniscalco
e con Boubacar Diaw, Moussa Gning, Mamadou Kaire, Mame Mor Diop, Aliou N'Diaye, Cheikh N'Diaye, Mamadou N'Diaye, M'Baye Babacar N'Diaye, Mor Ndiaye, Mouhamadou N'Diaye, Ndiaga N'Diaye, Janet Ngadiuba, Kingsley Ngadiuba, Amadou Sow
scene: Ermanna Montanari, costumi: Ermanna Montanari, Roberto Magnani, disegno luci: Francesco Catacchio
Napoli, Teatro San Ferdinando, 11 ottobre 2007

Il Mattino, 13 ottobre 2007
Padre Ubu e l'omaggio a Eduardo

Come sappiamo, «I Polacchi» del ravennate Teatro delle Albe è stato uno degli spettacoli cult della recente sperimentazione italiana: con centinaia di repliche qua e là per il mondo e una valanga di premi, a partire dal Golden Laurel per la migliore regia a Marco Martinelli. Il titolo era quello originario del celeberrimo «Ubu re» di Jarry. E uno degli elementi forti della messinscena - che trasportava sulla riviera romagnola la vicenda del Padre e della Madre Ubu, i quali trucidano per sete di potere il re di Polonia Venceslao, i suoi due figli maggiori, nobili e semplici sudditi - consisteva nel fatto che ad interpretare i Palotini, i servi e soldati di Ubu tanto violenti quanto stupidi, erano dodici studenti delle scuole ravennati. L'idea era non solo intelligente e bella, ma anche fondata: perché, sappiamo anche questo, l'«Ubu re» nacque come scherzo dei liceali di Rennes, fra i quali l'autore, nei confronti di un loro professore. Poi, però, Martinelli ha preso ad applicare lo schema ai contesti più svariati. Con la conseguenza che - se tali ricalchi possono avere, sul versante umanitario e sociale, tutti i significati possibili e immaginabili - sul versante teatrale si traducono in un semplice «format», di per sé assai poco significante. E il discorso vale anche per «Ubu buur», presentato al San Ferdinando e che (pure se con piramidali incongruità, visto che Ubu continua a parlare del Ferrarino) ripensa il plot di Jarry a Diol Kadd, un villaggio del Senegal dove ancora manca l'elettricità e l'acqua si attinge al pozzo. Dunque, «Ubu buur» è, sostanzialmente, la riedizione de «I Polacchi»: con l'unica differenza, per l'appunto, che ad interpretare i Palotini sono degli adolescenti senegalesi e che Ubu (in wolof «buur» significa giusto re) richiama molto da vicino un dittatore all'Amin Dada. E a me non resta, quindi, che ripetere qui gli elogi già fatti a suo tempo ai due protagonisti storici: Mandiaye N'Diaye (Padre Ubu) ed Ermanna Montanari (Madre Ubu). E vi aggiungo quelli, ancora più convinti, per l'entusiasmo, l'energia e la freschezza dei ragazzi africani. Sono loro, trascinanti così come i loro canti e danze, la cosa che più conta. L'inchino che Padre e Madre Ubu hanno rivolto durante lo spettacolo ai ritratti di Eduardo m'è parso, invece, un altro schema applicato a freddo.

Enrico Fiore

Ultima modifica il Domenica, 11 Agosto 2013 10:03

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