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SULLA STRADA MAESTRA - regia Dario Marconcini

Sulla strada maestra Sulla strada maestra Regia Dario Marconcini

di Antòn Cechov
Regia di Dario Marconcini
scene e costumi di Leontina Collaceto
allestimento e luci di Richard Gargiulo e Valeria Foti
foto di Massimo Agus
con Claudio Alfaroli, Paolo Castellano, Chiara Argelli, Mario Matteoli, Annalisa Lari, Catia Leporini, Francesco Cortoni, Gianni Buscarino, Giovanna Daddi
Teatro Francesco di Bartolo, Buti, (PI) dal 7 al 17 aprile 2011

www.Sipario.it, 9 maggio 2011

Un testo poco frequentato, e non troppo conosciuto neppure dagli addetti ai lavori, scritto da Cechov a venticinque anni, rifiutato dalla censura zarista in quanto "tenebroso e sudicio", definito dall'autore "studio drammatico". Pur non scevro di ingenuità drammaturgiche, già vi si individuano temi, stilemi, atmosfere delle opere maggiori: l'impotentia agendi propria della borghesia russa; l'accavallarsi di battute che non chiedono, né ricevono risposta; una cupezza sconsolata, che solo nelle opere successive Antòn Pàvlovic stempererà nell'ironia.

La quantità dei personaggi (undici, secondo le indicazioni dell'autore, più una massa indistinta di umani, dalla quale si leva qualche voce non identificata) ha reso da sempre problematica una messa in scena del lavoro. Meritoria quindi l'iniziativa del teatro di Buti e del suo storico direttore artistico, Dario Marconcini, anche sulla spinta emotiva di un suo recente pellegrinaggio nei luoghi cechoviani. Un'operazione compiuta di necessità all'insegna del risparmio, ma rispettosa della struttura drammaturgica originale che, grazie ad intelligenti invenzioni registiche, ritrova la sua dolente poesia. L'incipit vede i personaggi scendere dal palco e vagolare, con una candela in mano, ripetendo ognuno il proprio nome, come per prendere possesso del loro personaggio e dello spazio ove si svolgerà l'azione. Questo è costituito dalla platea, svuotata delle sedie, salvo una dozzina, addossate alle pareti, sulle quali una parte del pubblico contribuirà a creare la scena della bettola, ingombra di varia umanità che vi si è rifugiata nell'imperversare della tempesta. La rinuncia ad un registro espressivo realistico, alla Stanislavskij (ma chissà come lo aveva concepito Cechov), a favore di un porgere verbale generalmente sopra le righe, non sortisce per tutti gli attori risultati ugualmente convincenti; ma il vecchio pellegrino Savva, interpretato dal maturo danzatore Mario Matteoli, conferisce immediatamente al personaggio una dimensione simbolica, sacrale, esaltata da un pervasivo suono di campane. Marconcini sceglie poi di valorizzare la tradizione locale del "cantar maggio" e le competenze musicali e vocali dei suoi attori, inserendo efficaci momenti di musica e canto dal vivo, peraltro suggeriti dal testo, affidati ad Annalisa Lari (Efimovna) e a Francesco Cortoni (Fedja).

Personaggio centrale dell'azione – ma è sempre arduo, nei testi teatrali di Cechov, individuare il protagonista – è Egòr Merik, vagabondo, ladro, brigante, una figura dalla quale il solido borghese dottor Cechov doveva essere particolarmente attratto; infatti, la ripropone, con lo stesso nome e cognome, nel bellissimo racconto I ladri, scritto cinque anni più tardi. In ambedue le opere Merik è una creatura fieramente animalesca, informata alle leggi della natura più che alle norme di convivenza civile (ricorda Osip, il ladro di cavalli del Platonov). Ma qui l'autore sembra volerci dire che quel bandito, nel suo sentire selvatico, è l'unico che sappia reagire all'ingiustizia di cui è testimone; gli mancano però gli strumenti culturali per dare forma verbale a quell'impulso e, dopo un inutile, inefficace gesto di violenza, cadrà in ginocchio, piangendo.

Una fabula alla quale Antòn Pàvlovic (come gli succederà diverse volte nelle sue opere maggiori: Tre sorelle, Il giardino dei ciliegi) affida, quasi con noncuranza, un messaggio gravido di una stupefacente, visionaria carica profetica.

Claudio Facchinelli

Ultima modifica il Domenica, 29 Settembre 2013 12:51

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