di e con Pippo Delbono
Compagnia Pippo Delbono
Piacenza, Palazzo Farnese (Festival Il Cavaliere azzurro)
Macerata, 25 novembre 2008
Debutta a Roma nel giugno 2005 e delle coincidenze del mese si nutre, dalla nascita del regista alla morte del padre, dalla partenza per gli anni della gavetta in Grecia all'interrogazione con l'omonima professoressa del liceo che lo rimanda a settembre.
“Non dite a mia mamma che faccio il pubblicitario, lei mi crede pianista in un bordello” è il saggio autobiografico con cui nel 1986 il francese Jacques Sèguéla rivela la sua vita professionale e personale.
Da allora, l'ironica allusione al segreto filiale è stato ripreso da molti. Qui va in scena nel patto di solidarietà che Delbono chiede sussurrando ai presenti. Scelte sessuali, spirituali e malattie non rivelabili.
Il resto invece è in pasto agli spettatori, tutto è pubblico, non esiste più la distinzione di Goffman tra ribalta e retroscena, vita e carriera si fondono, il palco diventa quello 'spazio intermedio' citato da Meyrowitz dove confessione e messa in scena si rimandano continuamente, sottolineati da musiche ritmanti, parole e gesti vicendevolmente si compiono.
Pochi, a dir il vero, i movimenti teatrali per un autore che ci aveva invece abituato a spettacoli corali di sapore felliniano come “Urlo”. Ma il linguaggio del suo corpo è monolitico, pesante come un masso, si ferma sulla bocca dello stomaco. Come il saluto dell'amante morente oppure il ballo, da terra, portato avanti a fatica, tra strattoni e volitivi fremiti, ricordando l'apice della malattia. E sono continue le citazioni autobiografiche (“teatrografiche”, come sembra apprendersi dal sito della Compagnia), reiterati spettacoli nello spettacolo: dagli esordi con “Il tempo degli assassini” a “Morire di musica” nel periodo degli attentati sandinisti, dalla rabbia irriducibile e mesta dell''Enrico V” all'omaggio a Sarah Kane in “Gente di Plastica”, e così via, a ripercorrere una carriera, a scandire un'esistenza.
Chi sul palco vede un attore alle prese con il suo intimo si sbaglia. Non è una confessione sussurrata, come si diceva, sussurrato è solamente il non detto e il non dicibile. È solo l'uomo che narra. Con Delbono c'è il suo pubblico, che in fronte a lui lo osserva attonito e partecipe. Al suo fianco, in regia, il fidato amico di una vita, Pepe Robledo, sfuggito ai tempi alla repressione argentina. Ma soprattutto alle sue spalle, i tanti personaggi della sua vita, privata e pubblica. Da Arafat alla regina d'Olanda, dai genitori ferventi cattolici all'insegnante di psicodramma, da Pasolini a Rimbaud, dai medici ai passanti in strada, dalla “maledetta” predestinata presenza dell'amante a quella salvifica e purificatrice di Bobo, sordomuto rapito dalla prigionia a vita al manicomio di Aversa, che infine su quel palcoscenico sale e raccoglie il meritato plauso della platea.
Il teatro come salvezza, la vita come arte. Una metempsicosi artistica, che consente al pubblico di simpatizzare (nel significato originario del termine reco di “patire con”), di immedesimarsi nel racconto dell'attore, nel suo pian ere come nel suo urlare, nei suoi gesti dolci e nei suoi sussulti, così da infine finalmente sciogliersi in un applauso liberatorio, scrosciante e prolungato. In scena, ormai messo a nudo, quel 'corpo pneumatico' di platonica memoria, ha come l'anima la capacità cognitiva di cogliere la vera essenza delle cose e rendersi immortale. In una catarsi salvifica, tanto per l'autore quanto per lo spettatore.
Dopo la tappa del 25 novembre 2008 a Macerata, “Racconti di giugno” di Pippo Delbono sarà presto a Losanna, Liegi e Bruxelles, dopo essersi già fatto applaudire in giro per l'Europa, da Londra a Parigi, da Santarcangelo dei Teatri al Festival di Avignone. “Racconti di giugno” è o i anche un libro delle edizioni Garzanti.
Sanzia Milesi
Nicola Arrigoni