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QUESTA SERA SI RECITA A SOGGETTO - regia Federico Tiezzi

"Questa sera si recita a soggetto", regia Federico Tiezzi. Foto Marasco "Questa sera si recita a soggetto", regia Federico Tiezzi. Foto Marasco

di Luigi Pirandello
drammaturgia Sandro Lombardi, Federico Tiezzi

con (in ordine alfabetico) Valentina Cardinali, Nicola Ciaffoni, Francesca Ciocchetti, Francesco Colella, Elisa Fedrizzi, Elena Ghiaurov, Gilberto Giuliani, Luigi Lo Cascio, David Meden, Sandra Toffolatti, Massimo Verdastro, Marouane Zotti (e cast in via di definizione)

regia Federico Tiezzi

scene Marco Rossi

costumi Gianluca Sbicca, Giovanna Buzzi

luci Gianni Pollini

Piccolo Teatro di Milano – Teatro d'Europa
Torino, Teatro Carignano dal 12 al 14 aprile 2016

www.Sipario.it, 20 aprile 2016

TORINO - Questa sera si recita a soggetto è l'opera più concettuale di Luigi Pirandello, dove alla riflessione sul teatro e la sua doppiezza, si accostano fosche considerazioni sull'Europa che sta sprofondando nel totalitarismo, e sulla sua borghesia che sempre più si distacca dalla tradizione. Pirandello la scrisse fra il 1928 e il 1929, sulla scorta dei Sei personaggi in cerca d'autore e di Ciascuno a suo modo, due pièces nelle quali aveva già ampiamente rivoluzionato il teatro, sovrapponendovi una visione marcatamente esistenziale. In quest'occasione, il dramma assume una dimensione mitteleuropea.
Appena prima della messa in scena di una meglio specificata "novelletta", come scrive con sublime autoironia lo stesso Pirandello, gli attori della compagnia si confrontano animatamente con il regista poiché in disaccordo con la sua direzione che prevede la fredda suddivisione dello spettacolo in quadri e situazioni che fanno perdere l'intensità (melo)drammatica su cui in origine si basa. Il regista Hinkfuss, (Luigi Lo Cascio), si muove su e giù per il teatro, senza requie, volendo imporre la sua regia "a soggetto", ovvero senza seguire il copione. Una scelta che disorienta gli attori, i quali dopo una lunga disputa con il regista, riescono a iniziare lo spettacolo a modo loro. Si assiste così al "teatro nel teatro", dove a una pièce se ne sovrappone un'altra, come suggerisce anche la scenografia, con il piccolo palcoscenico montato su quello principale. Luigi Lo Cascio offre un'intensa interpretazione in linea con gli scopi del testo; polemico nei confronti del teatro contemporaneo, illustra le teorie di quello moderno disegnando grafici e formule sulla lavagna, quasi fosse Einstein che enuncia la teoria della relatività. E di fatto, spiega lo stesso Hinkfuss, il teatro "è" relativo, soggetto a cambiamenti a seconda degli attori, del momento e del luogo, per cui uno stesso testo non è mai il medesimo. Un po' come l'elettrone di Heisenberg, perché, prosegue Hinkfuss, teatro e vita si basano sull'alternarsi di fissità e movimento. Poiché la vita materiale perde in verità spirituale, Hinkfuss vorrebbe spersonalizzare gli attori, affinché si calino completamente nel personaggio, rispettandone in pieno le caratteristiche assegnategli dall'autore. C'è però bisogno di un "teatro leggero", l'unico che sappia raccontare la realtà. Un assunto che si rifà al manifesto futurista del teatro di varietà, pubblicato da Marinetti il 1 ottobre 1913, nel quale si annuncia la fine del teatro colto.
La prima parte dello spettacolo scorre come una sorta di saggio teatrale, dove si analizzano le varie componenti quali testo, attore, scenografia, luci, quasi assistessimo a un collaudo meccanico. Dal cast, che offre una superba prova corale, ora con i toni del melodramma, ora del dramma, ora della commedia, viene suggerita l'atmosfera di una Sicilia inquieta, specchio di una società sospesa fra tradizione e modernità. Passione e gelosia sono alla base della novella da rappresentare, ma anche dell'esistenza degli attori; Totina, Dorina e Mommina (rispettivamente Valentina Cardinali, Elisa Fedrizzi, e Sandra Toffolatti), sono tre belle ragazze più o meno legate ad altrettanti ufficiali dell'Aeronautica, somigliantissimi nel carattere esuberante alla madre (Francesca Ciocchetti), che per come comanda a bacchetta il marito, è soprannominata la "Generala". Attorno a loro, il mondo lascivo e ingannevole del cabaret, impersonato dalla chanteuse Elena Ghiaurov, elegante e sensuale come di consueto. Tutte le attrici portano sul palco una raffinata femminilità, esuberante e civettuola, eppure mai distratta o arrendevole.
Non manca la vittima del pregiudizio borghese, in questo caso Palmiro La Croce - interpretato da un convincente Massimo Verdastro -, attore attaccato alla tradizione, spaesato in mezzo ai continui cambiamenti scenici, oltretutto nel ruolo di un marito che subisce l'infedeltà della moglie (quella "di scena", quella reale, o forse entrambe?). Emerge qui tutta la malizia del teatro, quasi fosse, in quanto forma d'arte, una bella donna da vezzeggiare e comprendere. Verdastro è "pirandelliano" nel senso più tragico, uomo ridicolo in balia della moglie, timoroso verso l'esistenza, ancora di più verso la moglie, quasi un Afanasij Matvei di dostoevskiana memoria.
Il pubblico assiste a un dramma "decostruito", a un incastro di situazioni che si compenetrano e si equilibrano fra loro, quasi fosse un'architettura Bauhaus (non dimentichiamo che questo dramma fu scritto a Berlino). Questa dissolvenza della trama, riecheggia concettualmente il nuovo clima socio-politico europeo, riassumibile in quel "vento della distruzione" che già Alfred Jarry, nel suo Ubu Roi (1896), aveva assorbito nella sua drammaturgia. A chiudere il cerchio, sul palco, a tratti fa mostra di sé, nella seconda parte, la cafè society, quasi fossimo in un quadro di Leyendecker, con il sottofondo ora struggente, ora brioso, ora ironico del pianoforte. Si passa adesso alla vera e propria azione teatrale, con la "novella" che si svolge nel suo clima di passione e gelosia, fra un brano operistico e accenni tragicomici, ma dove lo spaesato La Croce (soprannominato "Sampognetta" per quel suo insignificante fischiettare), non riesce a trovare la sua dimensione, ignorato dagli altri attori, impossibilitato a recitare come vorrebbe. Quasi commovente il suo rifiuto di morire in scena, mancandogli "l'effetto".
Non c'è pace per la "novelletta", interrotta ancora una volta per la ribellione degli attori verso Hinkfuss, che finisce con l'essere cacciato. L'ultimissima parte trova finalmente sfogo drammatico, con il serrato confronto fra Mommina e il geloso marito Rico Verri, che la sospetta di tradimento. Emerge adesso l'atavica Sicilia della tradizione, che non conosce senso del ridicolo, ma solo il senso dell'onore.
Eppure, il confine tra finzione e realtà non emerge mai con chiarezza, al punto che, calato il "sipario", si scopre Hinkfuss nascosto dietro le quinte, soddisfatto del risultato: tutto è andato come lui ha voluto. Figura sottilmente inquietante, a posteriori anche profetica, quell'Hinkfuss che, da regista, cerca di imporsi su attori e drammaturgo, considerandosi una sorta di deus ex machina investito di tutti i poteri; tenue accenno alla figura totalitaria del Duce, anche se alla base dello spettacolo, sta comunque il ruolo crescente che la figura del regista stava assumendo rispetto a quella del drammaturgo, esemplificata dall'assunto per cui la creazione scenica, a differenza del testo, è la vera anima di uno spettacolo.
In Questa sera si recita a soggetto si assiste a repentini rivolgimenti nel rapporto fra teatro e vita; se nel primo atto è il teatro a entrare in quest'ultima, per mezzo delle teorie di Hinkfuss, nella seconda parte è la vita che irrompe sul palcoscenico, con gli attori/personaggi sospesi fra l'esigenza scenica e i loro drammi personali.
Tiezzi asseconda questo caso pirandelliano, attraverso una regia che unisce azione e concettualità, e lo spiega quando, all'inizio, gli attori entrano in scena indossando grandi, suggestive maschere di coccodrillo, che sottintende alla malvagità dell'essere umano. Infatti, pur su toni prevalentemente tragicomici, il testo di Pirandello è amaro e crudele, ritrae personaggi alla disperata ricerca dell'affermazione di sé stessi, sul palco come nella vita, invischiati nella problematica del libero arbitrio (se agiscono cioè in autonomia, o influenzati da fattori esterni), del conscio e dell'inconscio. C'è, insomma, una società in piena crisi identitaria.

Niccolò Lucarelli

Ultima modifica il Mercoledì, 20 Aprile 2016 13:12

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