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QUEI RAGAZZI DI REGALPIETRA - regia Vincenzo Pirrotta

Quei ragazzi di Regalpietra Quei ragazzi di Regalpietra Regia Vincenzo Pirrotta

di Gaetano Savatteri e Vincenzo Pirrotta
regia Vincenzo Pirrotta, con Vincenzo Pirrotta, scene e costumi Giuseppe Andolfo
musiche composte e orchestrate da Luca Mauceri, luci Franco Buzzanca
con Vincenzo Pirrotta, Vitalba Andrea, Andrea Gambadoro, Nancy Lombardo, Marcello Montalto, Salvatore Ragusa, Giampaolo Romania e con Luca Iacono, Marina La Placa, Nicola Notaro, Ramona Polizzi, Lucia Portale, Clio Scirà Saccà, Valerio Santi, Giorgia Sunseri
e l' Orchestra Giovanile Bellini dell'Istituto Superiore di Studi Musicali Vincenzo Bellini di Catania - Giuseppe Romeo, Rossana Nicosia, Gemma Raneri, Salvatore Nicotra, Bruno Crinò, Carmelo La Manna, Chiara Antonia Maucieri, Francesca Scavo, Concetta Sapienza, Andrea Pappalardo, Giuseppe Consiglio, Alessio Carastro, Sergio Leone
produzione Teatro Stabile di Catania dal 16 al 26 giugno 2011

www.Sipario.it, 23 giugno 2011

Regalpietra, come Macondo di Garcia Marquez è un città immaginaria, ma "tangibile" in tanti e tanti villaggi "isolati" nel cuore profondo della Sicilia, in quella particolare designazione geografica che varca i territori del palermitano e dell'agrigentino: luoghi assolati, totalizzanti, di arcana e proterva memoria, "dove il silenzio dei padri\prelude o no\ mutazioni". E la vita dell'individuo è poco più che granello di salgemma solitario nell'afa del mezzogiorno. Dal cui "ozio" o "culla" mitologica è chiamato a maturare le proprie scelte di vita o di fuga, di cultura o di ordalia (coincidente, quasi sempre, con l'affiliazione mafiosa). Se per Peppino Impastato la distanza dal crimine organizzato era quella dei "cento passi", a Regalpietra (in essa Leonardo Sciascia sconfessava, con pudore e rigore, la parte –storicamente più retriva- della sua amata Racalmuto) la "lontananza" è più ravvicinata, non più di venti passi a confine fra "resistenza civile e salto nel vuoto della connivenza".

Cosa può salvare le menti migliori di Regalpietra dall'abbrutimento, dalla accidia, dalla rinuncia? Nel libro di Gaetano Savatteri che afferra il testimone idealmente offertogli da Sciascia –in una sorta di emulsione climatica e spirituale dove ciascuno è crudamente "faber" della propria sorte- l'unica via di scampo è quella della conoscenza, della memoria coltivata, della disobbedienza- organizzata alla morta gora dello status quo, concime indispensabile al perpetuarsi del crimine organizzato ed organico (anzi consustanziale, quale braccio armato) alla politica dell'espatrio e della "quiete nella non speranza"-come scriveva Vittorini

E quindi, credere nella parola, nella scrittura. Quando gruppo di ragazzi che "non stanno al gioco" fonda un piccolo giornale dal titolo Malgrado tutto. Un giornale per raccontare la propria realtà, per specchiarsi nella cronaca delle proprie vite. Ma, negli stessi anni, altri ragazzi incubano una sorte diversa ed efferata. Alla morte di Sciascia, esplodono infatti i germi della sepolta violenza, come un'ascia di guerra divelta dalla roccia più dura. La mafia dormiente si risveglia, semina stragi e morti, contrappone gli amici di ieri, ragazzi che hanno giocato assieme per tutta l'infanzia Chi sono? I ragazzi di Regalpetra -appunto- l'uno contro l'altro armati: di pistole. mitragliette e di immutabile sanguinaria "sapienza", presto degenerata in conflitto tra civiltà e violenza. "È la stagione del raccolto rosso, raccolto di sangue"- scrive Savatteri. Il sangue dei fratelli da vendicare, il sangue dei fratelli da uccidere. Mentre quei ragazzi diventeranno uomini spregiudicati, gregari o braccio destro dei boss vincenti (nella faida tra mafia sedimentata e "stidda" emergente)

Lo spettacolo di Vincenzo Pirrotta, inscenato al Teatro Greco-Romano di Catania (per conto dello Stabile etneo) ha un percorso possente e corale, una sorta di oratorio laico in abiti comuni o appena stilizzati, dove è lo stesso regista-interprete a fare da "guida", da tessitore ad una pletora di comprimari, ciascuno esistenzialmente (antropologicamente) affaticato da un percorso di vita in cui destino individuale e destini collettivi, alla fine, sembrano mescolarsi in prossimità della linea d'ombra oltre la quale ogni scelta sarà irreversibile e definitiva- crudele e irrevocabile condanna. E senza alone di commiserazione, indulgenza, misericordia postuma. "I giorni della festa e i giorni della paura" non avranno più soluzione di continuità. La coscienza di ciascuno abiterà, sino alla fine dei propri giorni (spesso per morte cruenta), gironi ed iconografie di purgatorio o d'inferno da cui non esisterà via di scampo

Sfruttando al massimo la naturale suggestione "en plen air" del Teatro Greco-Romano (i suoi cunicoli, lo spazio per l'orchestra), dalle luci del tramonto a quelle della sera, Pirrotta imbastisce un racconto collettivo e inesorabile, poetico ma fitto di incubi e di lutto. Non per pessimismo della ragione, ma per cruda enumerazione di vicende vissute, con tanto di nomi, circostanze, luoghi di fine-corsa. O di ostinata "resurrezione" per i pochi che lotteranno per la rifondazione di un diverso tessuto sociale, insulare, levantino- senza congrue garanzie da parte dello Stato e dei cosiddetti pubblici poteri. Nuovi presupposti- in ciò la concreta denuncia dell'opera- di solitudine, di isolazionismo nella lotta, come nel caaso di Falcone e Borsellino, passibili di degenerare in nuovi lutti, ritorsioni, vendette trasversali E quindi? Regalpetra –in fin dei conti- altro non è che il luogo simbolico di decisioni basilari, spesso avvolte da "forzoso" silenzio, relegate ad un lavoro di talpa che tramanda e diffonde il seme dei non -riconciliati. Gocce d'acqua che continuano a scavare nella roccia, notte e giorno, testardamente.

Angelo Pizzuto

Ultima modifica il Domenica, 11 Agosto 2013 09:43

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