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PELLE (LA) - regia Marco Baliani

La pelle La pelle Regia Marco Baliani

di Curzio Malaparte
adattamento e regia: Marco Baliani
scene e costumi: Marion D'Amburgo
luci: Roberto Innocenti, musica: Mirto Baliani
con Marco Baliani, Elisa Cuppini, Marion D'Amburgo, Alessandra Fazzino, Maria Maglietta, Simone Martini, Guido Primicile, Michele Riondino, Giuseppe Sangiorgi, Caterina Simonelli
Prato, Teatro Fabbricone, dal 23 al 27 aprile 2008
Roma, Teatro Valle, dal 7 al 18 gennaio 2009

Il Messaggero, 17 gennaio 2009
Corriere della Sera, 27 aprile 2008
Cinica e dura "La pelle" secondo Baliani

Si è scelto un ruolo complicato, Marco Baliani, mettendo in scena La pelle di Curzio Malaparte, testo di per sé difficile, duro, desolante: interpreta proprio Malaparte e commenta gli accadimenti (La pelle è un reportage della Napoli del dopoguerra) con una strana ironia che sfiora il cinismo, e con un distacco che – almeno nella scelta interpretativa dell'attore e regista – fa quasi paura.
Da un lato, lo scrittore racconta l'antitesi della città stereotipata che però non smette di essere quella del cielo azzurro e dei pulcinella, anche mentre fuori la peste, quella contagiata dalla miseria, avanza. Dall'altro, Baliani, capostipite di un teatro di narrazione che va dritto al cuore senza nulla concedere al fraintendimento, indulge invece qui alla teatralità, all'affresco, al simbolismo, non fornendo però alla platea tutte le coordinate per la comprensione, né per la partecipazione emotiva. Anche se si percepisce la catastrofe umana in atto. Una madre danza con lo scheletro del figlio al seno, un gruppo di ex borghesi accetta di credere che una bambina lessata sia un pesce-sirena pur di soddisfare la propria fame, donne ruccelliane anticamente sfatte fronteggiano nane da favole dell'orrore. Napoli festeggiava l'arrivo del liberatore americano, dopo una carestia in cui aveva perso i suoi connotati da cartolina. Nel cast anche Marion D'Amburgo (suoi pure i costumi e scene) e Maria Maglietta, musiche di Mirto Baliani. Al Valle ancora oggi e domani.

Paola Polidoro

I «quadri» di Malaparte

Assistendo allo spettacolo che ne ha tratto Marco Baliani mi chiedevo: è utile, oggi, leggere La pelle di Curzio Malaparte? Vituperato dai più (per Luigi Baldacci, alla fine è un «carnevale macabro»), il romanzo del maledetto toscano risulta, nella risalita degli americani da Napoli a Firenze, come un documento eccentrico, straripante (essenzialmente ricco di visioni orrifiche, allucinatorie); ma soprattutto come un documento tanto colorato quanto sonoro. Da un punto di vista letterario si piazza a metà strada tra D' Annunzio e Pasolini. Ecco D' Annunzio: «Pareva giovanissima, ma gli occhi aveva antichi, e un po' sfatti». E, più in senso ideologico, ecco Pasolini: «L' esigenza, da loro improvvisamente e fortemente sentita, di mescolarsi in modo più intimo al proletariato, di cercar nuovo cibo per la loro insaziabile fame di novità e di sofferenza (...) li spinse a nuove esperienze». In quanto al colore, non contano tanto gli incessanti richiami alla storia della pittura italiana quanto la moltitudine di quadri-istanti dal narratore ritratti, come visioni, in tutto il loro sfarzo, e che costituiscono l' impalcatura di un romanzo sostanzialmente immobile: istanti che si dilatano per forza di voluttuosa inerzia. In quanto alla sonorità, essa è effetto di tale inerzia. Malaparte ingrandisce senza posa tutto ciò che tocca. La frase incalzata da anafore martellanti si presenta quasi mai con due aggettivi, spesso con tre, quasi sempre con quattro. Ma la dilatazione non si limita agli aggettivi: l' eco parte dalle cellule minimali della frase, un sintagma dopo l' altro, uno non basta mai. Ciò dà luogo non alla «peste», come Malaparte voleva intitolare il suo libro, rinunciandovi per via di Camus; ma, come nello stesso Camus, all' indifferenza. La prospettiva morale de La pelle non è quella dichiarata e che Baliani ha abbracciato, in cui ha creduto. Non è la rivendicazione, un po' smargiassa, della sconfitta in quanto superiore a ogni vittoria. La vera, involontaria, prospettiva morale è l' indifferenza. Solo che ne Lo straniero di Camus l' indifferenza è offerta come uno schiaffo; ne La pelle viene sopraffatta dal contenuto, tutto opposto, tragico, anzi orrendo, della narrazione: la guerra e le sue conseguenze; gli americani e i napoletani, anzi gli italiani, anzi gli europei. In tal senso, essa, la prospettiva morale, si riduce a mero ornamento, cadenzato dalle finto-stupefatte ripetizioni dei dialoghi alla Hemingway, stile The sun also rises. Per trasformare in spettacolo simile materia, tanto appariscente quanto sfuggente, non si poteva che abbracciare, come Baliani ha fatto, la causa della contemporaneità di tutto a tutto; ostendere i corpi, nella loro nudità e miseria; riprodurre per quadri (per scene) i quadri di Malaparte. Le luci, che Baliani definisce caravaggesche, scolpiscono la materia. La materia si affastella, un poco, fino a confondersi in un magma spesso semplificatorio (nella composizione-scomposizione). Le imposture di Malaparte appaiono, come le sue bandiere, gettate eroicamente ai piedi del primo venuto, ciascuno di noi spettatori. Ma questo, forse, è il giusto destino per il suo glorioso-inglorioso romanzo-non romanzo. Baliani riserva a se stesso, per brevi tratti e con pudore, il ruolo di voce narrante: mi è piaciuto quando racconta di Febo, il cane che accompagnò Malaparte nel suo cosiddetto esilio di Lipari. Gli energici attori sono Maria Maglietta, Caterina Simonelli, Elisa Cuppini, Marion D' Amburgo, Alessandra Fazzino, Simone Martini, Guido Prinicile, Michele Riondino, Giuseppe Sangiorgi.

Franco Cordelli

Ultima modifica il Martedì, 24 Settembre 2013 17:12

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