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PERLASCA: IL CORAGGIO DI DIRE NO - scritto e interpretato da Alessandro Albertin

Alessandro Albertin in "Perlasca: il coraggio di dire no". Foto Domenico Semeraro Alessandro Albertin in "Perlasca: il coraggio di dire no". Foto Domenico Semeraro

scritto e interpretato da Alessandro Albertin
a cura di Michela Ottolini
disegno luci Emanuele Lepore
Una produzione Teatro de Gli Incamminati e Teatro di Roma – Teatro Nazionale in collaborazione con
Overlord Teatro col patrocinio della Fondazione Giorgio Perlasca
Livorno, Teatro della Brigata, 9 marzo 2018

www.Sipario.it, 11 marzo 2018

Al Teatro della Brigata di Livorno viene messa in scena una pièce travolgente: la storia di un eroe quasi dimenticato.
Parliamo di Giorgio "Jorge" Perlasca, nato a Maserà, in provincia di Padova, un uomo comune che in un momento di estrema oscurità, siamo a Budapest nel 1943, prese le redini del suo destino e di quello di migliaia di persone e lo cambiò, divenendo un eroe, un Giusto tra le Nazioni, massima onorificenza che lo Stato di Israele concede a chi ha contribuito al salvataggio degli ebrei.
Quasi dimenticato perché sia la sinistra italiana non gli perdonò il suo passato nelle file fasciste sia una certa destra non condivise il suo rifiuto alla Repubblica di Salò e al salvataggio che appunto attuò nei confronti di migliaia di ebrei ungheresi, la sua memoria è rinata grazie proprio a quelle persone che aveva salvato. E oggi il merito di una memoria che resiste è devoluto ad Albertin Alessandro.
Albertin Alessandro veste i panni del protagonista, ma anche di tutti gli altri personaggi che gravitano sulla scena e intorno a "Jorge" e lo fa con una maestria rara e precisa, un vero trasformista che riesce a immergersi, e a farci immergere, in una miriade di personaggi così lontani gli uni dagli altri.
È sorprendente come riesca senza cambiare costume, ma solo appoggiandosi alla modulazione della propria voce, a caratterizzare un numero così consistente di personaggi, diversissimi tra di loro; calandosi e aderendo perfettamente a ognuno di loro, caricandosi delle loro individuali emotività con passaggi talvolta repentini senza però che nessuno di essi risulti mai artificioso.
Da segnalare un ottimo utilizzo delle luci, che attraverso i tagli hanno saputo dare le giuste sfumature ai personaggi.
Albertin riesce con una prova di grandissima attorialità a riempire tutta la scena da solo, senza bisogno in pratica di alcuna scenografia, se non di due cubi neri che aiuteranno la narrazione in alcuni passaggi, supporti visivi minimalisti ma efficaci, utilizzati come sedute o appunto come rappresentazioni sceniche.
Tra le mille voci, i tanti personaggi, il messaggio di dolore è reale in un mondo che ci propone la finzione come valore aggiunto: mettersi in gioco nella vita, chiedendosi senza pregiudizi "Che cosa avrei fatto?" è una scelta coraggiosa, condivisibile, dovuta, mettersi in discussione e agire poi concretamente sono atti non facili, proprio per questo però è bene ricordare chi ha avuto il coraggio di farlo.
Albertin ha portato sulla scena delle riflessioni profonde e sincere per questo spettacolo, donando al pubblico non solo una prova attoriale al limite della perfezione, senza sbavature, senza errori, ma ha elargito commozione e lacrime a piene mani, ha fatto sì che ognuno dei presenti si calasse in quella Budapest ferita, tra quegli ebrei, e non solo, deportati, e ci ha fatto sentire umani davanti al dolore, alle disgrazie e alla ferocia di alcuna parte del "genere umano", e piccoli davanti a un uomo così grande, un uomo che ha commesso degli sbagli nel passato, ma che lo rendono ancora più straordinario, più reale.
Tutto questo e molto altro ha entusiasmato il pubblico che ha omaggiato l'attore padovano, camaleontico e caleidoscopico, con un applauso che non sarebbe mai finito.

Matteo Taccola

Ultima modifica il Domenica, 11 Marzo 2018 15:47

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