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PARADISO - di Babilonia Teatri

"Paradiso" di Babilonia Teatri. Foto Luca D'agostino "Paradiso" di Babilonia Teatri. Foto Luca D'agostino

di Babilonia Teatri
con Enrico Castellani, Daniele Balocchi, Amer Ben Henia,
Joice Dogbe, Josephine Ogechi Eiddhom
collaborazione artistica di Stefano Masotti
musiche di Marco Sciammarella, Claudio Damiano, Carlo Pensa (Allegro Moderato)
direzione di scena Luca Scotton
produzione Babilonia Teatri, La Piccionaia centro di produzione teatrale, coproduzione Mittelfest
col sostegno di Fondazione Alta Mane Italia, residenza artistica La Corte Ospitale, Orizzonti Festival
un progetto di Babilonia Teatri e ZeroFavole
organizzazione Alice Castellani
scene di Babilonia Teatri
costumi Franca Piccoli
al Teatro della Cavallerizza, Reggio Emilia, 23 febbraio 2018

www.Sipario.it, 24 febbraio 2018

La campagna elettorale per le politiche è agli sgoccioli e si sta giocando sulla paura del diverso, sulla minaccia dell'immigrazione. I partiti xenofobi la cavalcano, gli altri ignorano il tema, perché parlarne è perdere voti. Un inferno in cui siamo tutti dannati di egoismo. Con questo pensiero si esce da Paradiso di Babilonia Teatri e ci si chiede perché mai il teatro non possa essere prescritto come dovere di legge, come mecca del pensiero, come necessario confronto/incontro per cambiare e per conoscere, oltre che allenare la nostra coscienza, intorpidita dall'individualismo e dal narcisismo. L'augurio irrealizzabile è suggerito dall'ultimo lavoro di Babilonia Teatri, un lavoro che esplode di vita, che nella finzione del teatro urla, pretende, chiama in causa la verità della realtà, la vita reale che è sublimata, narrata e poeticamente offerta agli sguardi degli spettatori. Paradiso è la chiusura della trilogia dantesca del gruppo veneto, è l'interrogarsi sul Paradiso perduto dell'infanzia, sulle vite gettate via che ci sfiorano quotidianamente e che hanno i volti dei migranti, degli stranieri, del mondo affamato e violentato che bussa alle nostre porte e che noi escludiamo, rifiutiamo, fingiamo di non vedere perché accecati dal nostro benessere che si sta spegnando come una fiammella.
Nel Paradiso dei Babilonia ci sono tre marziani, sono Amer Ben Henia, Joice Dogbe e Josephine Ogechi Eiddohm, sono tre ragazzi minorenni, sottratti alle famiglie e dati in affido a una comunità. In scena sono semplicemente Tunisia, Togo e Nigeria. Al loro fianco ci sono Daniele Balocchi, un angelo bianco con la sindrome di Down ed Enrico Castellani a fare da regista interno, da cantore, da aiutante, da sorvegliante alla pari di quelle vite e di quei corpi che pretendono attenzione, ma soprattutto rivogliono il loro Paradiso perduto. Potente è l'inizio di quel 'per caso', 'casualmente' reiterati con la potenza anforica dei migliori testi dei Babilonia Teatri che inquadrano chi sono quei tre ragazzi, chi sono realmente, ma per noi saranno Tunisia. Togo e Nigeria, semplicemente tre Paese, tre mondi lontani e che ci fanno paura ma ci interrogano.. Quelle vite sono immondizia e forte è la scena in cui si mimano nascite indesiderate da gettare nel sacco nero della spazzatura. Rabbiosi sono gli improperi che i tre ragazzi lanciano al pubblico, la loro rabbia fatta di parolacce, di vaffanculo – forse troppo ripetuti –, ma che nell'accumulo esprimono un dirsi che si compie nell'insulto perché altra possibilità non gli è concessa. La ragazza nigeriana si fa ballare dal proprio corpo come i nigeriani sanno fare, senza nulla aggiungere; la ragazza del Togo canta sopra la traccia di Summertime, e a Hamer Ben Henia parla di fratelli e di kalashnikov tatuati sulla testa, fino a scaricare quelle fantomatiche armi sul pubblico. Azioni che vivono vere e assolute e la cui connessione poetica è tutta affidata al pubblico. E' la musica eseguita dal vero da Marco Sciammarella, Claudio Damiano e Carlo Pensa di Allegro Moderato che fa da drammaturgia e da scenario a questo Paradiso fatto di nulla eppure così pieno di pathos, di passione e verità.
La scena sgombra e la presenza dei tre adolescenti con i loro volti, la loro poesia, la danza come liberazione, il cantare come voce dell'anima che aspira al Paradiso sono quanto basta, sono la scrittura di Babilonia Teatri, sono lo sguardo su un oltremondo che non vediamo, in cui l'accesso possibile è dato solo dalla fede nell'uomo e nell'umanesimo. E allora quelle nascite gettate nei sacchetti neri dell'immondizia che aprono Paradiso hanno il loro esito nella crocifissione finale, in quei tre Cristi che sono il verbo, il corpo e l'anima violati di un'umanità che sogna una resurrezione possibile. «La chiusura è affidata all'incipit della terza cantica dantesca: La gloria di colui che tutto move/ per l'universo penetra, e risplende/ in una parte più e meno altrove». In questo altrove ci porta il Paradiso dei Babilonia Teatri ed è grande e commovente esempio di umanesimo... non solo teatrale.

Nicola Arrigoni

Ultima modifica il Sabato, 24 Febbraio 2018 19:19

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