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OPERETTA BURLESCA - regia Emma Dante

"Operetta Burlesca", regia Emma Dante. Foto Fabio Melotti "Operetta Burlesca", regia Emma Dante. Foto Fabio Melotti

di Emma Dante
regia Emma Dante
con Viola Carinci, Roberto Galbo, Francesco Guida, Carmine Maringola
coreografia Davide Celona
luci Cristian Zucaro
produzione Compagni Sud Costa Occidentale
Distribuzione Aldo Miguel Grompone, Roma

Milano, Piccolo Teatro Grassi dal 13 al 18 ottobre 2015
Genova, Teatro dell'Archivolto 20 novembre 2015

Napoli, Teatro Bellini dal 29 marzo al 3 aprile 2016

www.Sipario.it, 30 marzo 2016
www.Sipario.it, 21 novembre 2015
www.Sipario.it, 16 ottobre 2015

Usa la sua scrittura del Sud, passionale, dura, che non fa sconti per "Operetta burlesca" Emma Dante, richiamando un genere che le consente colori, luminarie, balli, trasgressione, per non cadere troppo nel tragico e raccontare la storia di Pietro.
Come la stessa autrice dichiara, il tema non è l'essere o il sentirsi di genere opposto. Non è la storia di un transgender. Pur se vicende simili non sono nuove a romanzi, teatro, cinema, l'artista siciliana, ancora una volta mette in scena i sentimenti. I dolori, le gioie, gli ostacoli, le paure, l'impossibilità dei sogni, la solitudine.
La storia di Pietro, nato uomo ma dall'anima fimmina, che si trasforma solo in segreto durante le sue fughe a Napoli, dove compra e indossa (come fanno i bambini con quelli della mamma) tacchi a spillo, abiti e trucchi da donna, che vivrà la sua esistenza in gabbia: un paesino provinciale che non può accogliere la sua anima, un corpo traditore che non gli corrisponde, una famiglia chiusa e sorda. Tra le urla reali e interiorizzate del padre e le carezze della madre, che gli chiede un nipotino, Pietro cerca la sua liberazione, trova l'amore, che presto lo deluderà, lasciandolo ancora una volta solo con se stesso. E a quarant'anni torna a vivere a casa dei suoi, lavorando alla pompa di benzina che odia.
Il Sud di Emma Dante è la sua Sicilia ed è Napoli, città che molto ama e nella quale torna puntualmente. Il suo Pietro (Gino Maringola) soffre, si confessa, urla e piange fino alla nudità del corpo e dell'anima.
Su una scena coloratissima, addobbata con manichini, tacchi 12, e bambole gonfiabili, si riconosce la mano della regista che nella ripetitività dei gesti e nell'ossessività delle frasi trasmette tutto il tragico e il grottesco di situazioni e condizioni incomprese e rifiutate dai più. Un dolore che pulsa nei gesti, nei toni, nei canti e nelle danze. E' la gabbia che imprigiona, impedisce, limita, i personaggi della storia, la società ottusa.
Unici a muoversi in un'apparente libertà sono gli attori, precisi come sempre, che usano il corpo così come la voce, in una perfezione parlante. A cominciare dal protagonista per passare a un bravissimo Francesco Guida, che interpreta il severo padre e la protettiva ma bigotta madre, a Viola Carinci, alter ego femminile di Pietro, che si veste e si sveste di paillettes e di dolore e che nel finale lascerà immaginare una trasformazione vera o sognata, nel racconto che ricomincia.
Una storia, una drammaturgia, un argomento all'ordine del giorno e, quindi, un contributo alla discussione, uno stimolo a capire e conoscere affinché le battaglie sociali possano raggiungere un traguardo, aprendo occhi e menti a chi non è diverso eppure a chi lo è. A chi vuole scegliere una vita consona, rispondente alle proprie esigenze, senza timori o paure. "Mamma – dice Pietro – non è uno sfizio".
"Operetta burlesca" non raggiunge il climax di "Le Pulle", ma coinvolge in un'atmosfera rarefatta tra racconto e sogno, scandita dai giochi di luce, dalle musiche da avanspettacolo, dalla perfezione degli interpreti.

 

Angela Matassa

Un pubblico numeroso prende posizione nella sala "Gustavo Modena" in attesa di assistere al nuovo spettacolo di Emma Dante. Regina del teatro italiano, pluripremiata e oggetto di studi accademici, il suo nome è da tempo sinonimo di qualità, ricerca, intensità e provocazione. Un appuntamento da non mancare per gli affezionati, così come per i nuovi spettatori, curiosi di fare esperienza del suo teatro.

Come ogni nuova produzione firmata da un grande nome, Operetta burlesca attrae su di sé molte aspettative che purtroppo, in questo caso, vengono deluse. Forse il primo spettacolo non riuscito della Dante, dopo averne visti e apprezzati tanti nel corso degli anni. Cerco di andare a scovare i motivi che mi hanno portato ad applaudire con poca convinzione e a trovare, nello sguardo delle persone che mi accompagnavano, la stessa espressione disorientata.

Tuttavia la maggior parte della platea ha reagito diversamente: gli applausi sono stati generosi e sembrava che il pubblico avesse sinceramente apprezzato lo spettacolo. In veste di critico mi permetto di dissentire e di non lasciarmi sopraffare dall'onda mondana e gaudente che gli spettacoli dei grandi artisti portano con sé.

Il primo ostacolo alla mia disponibilità di ascolto e di coinvolgimento riguarda la storia. Nella provincia napoletana Pietro combatte contro la propria identità sessuale che la famiglia e la società rifiutano. Chiaramente non è il tema dell'omosessualità negata a stonare. Esso sembra essere tanto presente sui palcoscenici quanto trascurato e rinnegato fuori dai teatri. Per questo motivo è bene che il teatro continui a confrontarsi con questo tabù. Ciò che mi disturba è l'involontaria ma immediata associazione con altre produzioni della Dante. Mi viene subito alla mente Mishelle di Sant'Oliva, spettacolo ormai lontano nel tempo, in cui dominano omosessualità e travestitismo. La presenza in scena di Francesco Guida (anche se questa volta non nel ruolo del protagonista ma in quello dei suoi genitori) non fa che aumentare il senso di déjà-vu, togliendo freschezza alla performance. Ho la sensazione di vedere uno spettacolo di repertorio.

La stesso impatto visivo della scena ricalca la scelta, ormai abusata, di collocare in palcoscenico il camerino degli attori. Sul fondo del palco i costumi sono appesi a mezz'aria su bambole gonfiabili, mentre una riga di scarpe col tacco evidenzia la linea di proscenio. La chiusura dello spazio imprigiona l'azione in una messinscena statica e prevedibile.

La presenza dei danzatori risulta scollegata rispetto all'azione scenica degli attori. Questo scarto può risultare efficace nella relazione immaginifica tra Pietro e la sua proiezione femminile (Viola Carinci), ma forse poco giustificato nella concretezza del vissuto con Ciro (Roberto Galbo), il grande amore che Pietro finalmente incontra sulla propria strada.

La regia resta nascosta in una performance priva di sorprese, che si affida ad attori di grande bravura (notevole la prova di Carmine Maringola nel ruolo di protagonista), che hanno alle spalle anni di lavoro con la Dante. Gli interpreti si aggrappano a quello che hanno interiorizzato del metodo dell'artista siciliana senza riuscire ad arrivare al cuore dello spettacolo e a quello dello spettatore. La sensazione è che Operetta burlesca sia uno spettacolo che assomiglia a quelli di Emma Dante. Riconosciamo le caratteristiche del suo teatro, ma le vediamo restare in superficie. Non hanno la forza di scendere a turbare i sensi dello spettatore, di sprigionare quell'intensità palpabile e struggente che conosciamo e che ci aspettiamo di ritrovare in ogni suo spettacolo.

Marianna Norese

Un moto di profonda tenerezza suscita Pietro, quarantenne nato nei dintorni di Napoli da genitori siciliani trasferitisi obtorto collo dall'isola nel continente avendo ricevuto in eredità una pompa di benzina, fonte di reddito per una famiglia non certo abbiente in cui la madre alquanto 'chioccia' è sottomessa a un marito rozzo, ottuso, rigido, dispotico e per niente disponibile al dialogo pur se minimo.

Il povero Pietro pian piano scopre di essere diverso dal maschio che appare: si accorge di avere un animo femminile che può esprimere solamente quando nella solitudine della sua cameretta balla indossando abiti frou-frou e scarpe dal tacco altissimo - essenza dell'arredo scenografico della pièce - che acquista durante fugaci 'viaggi della libertà' in una Napoli fantastica perché non si cura di lui e gli permette di essere se stesso anche se per frammenti di tempo.

E mentre si dipana il suo racconto semplice, lineare, imbarazzato, quasi schivo, intimidito e connotato da sfumature dialettali partenopee - ottima la recitazione del bravissimo Carmine Maringola - ecco farsi sempre più incisivo e netto il suo alter ego femminile interpretato da Viola Carinci che pian piano si spoglia dando vita a un'operetta burlesca con una gestualità non volgare rivelatrice di una passionalità sensuale - cui tutti abbiamo diritto - che par quasi rubata all'energia compressa del Vesuvio. Sensualità e desiderio d'amore che gratifichino e - perché no? - liberino il tenero Pietro dall'angosciante routine del lavoro a una pompa di benzina, attività dove, viste anche le catene delle convenzioni sociali, delicatezza e sfumature di femminilità difficilmente possono fare capolino o incanalarsi in azioni più aggraziate.

Riuscirà la sua anima tormentata a trovare un affetto sincero, disinteressato e totale con cui avere il coraggio di ricostruire l'unità del suo corpo o rimarrà prigioniera di una dicotomia che non può né ha il coraggio di palesarsi e di essere vissuta senza catene? Tanto più che le difficoltà psicologiche di Pietro sono aggravate dalla famiglia - emblematicamente rappresentata dalla potente gestualità del duttile Francesco Guida che senza mutare abbigliamento si trasforma in padre dal dialetto siculo duro come la sua ottusità e in madre 'appiccicosa' e senza nerbo - che lo disprezza e propone compromessi molto immorali e dall'ambiente retrivo della provincia (non illudiamoci che in una metropoli come Milano sia così diverso: il vantaggio è che si può anche passare inosservati, ma non è detto...) pronto a "sbranare" chi più fragile diviene la pagliuzza altrui che nasconde le proprie travi.

Una condanna non esasperata o dalle tinte forti da parte di Emma Dante - validissima e coraggiosissima regista che attraverso l'icasticità del suo linguaggio dà il segno della forza delle sue idee - di qualsiasi tipo di discriminazione e in particolare di quella operata nei confronti degli omosessuali i quali devono spesso il loro status a giochi ormonali che è immorale additare a colpe.
L'assenza di toni esacerbati, comprensibili nella poetica della regista, fa prevalere semplici verità e permette il sommesso e intenso dipanarsi della sofferenza umana che risulta più profonda, vera, incisiva e coinvolgente là dove non è turbata dal frastuono.

Wanda Castelnuovo

Ultima modifica il Giovedì, 31 Marzo 2016 01:18

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