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ODISSEA - regia Mario Perrotta

Odissea Odissea Regia Mario Perrotta

di e con Mario Perrotta
musiche originali: Marco Arcari e Maurizio Pellizzari
Milano, Crt Salone, dal 10 al 22 febbraio 2009

www.Sipario.it, 30 giugno 2009
Corriere della Sera, 13 febbraio 2009
Produzione Compagnia Teatrale dell’Argine, Teatro di Ragazzola (ragazzola – Parma) 28 febbraio 2009

C’è l’assenza del padre, c’è l’attesa, ma anche la solitudine di un figlio cresciuto nel mito paterno: Mario perrotta in Odissea è Telemaco, il figlio di Ulisse che parte in cerca del padre, o meglio dei racconti del mito, le uniche tracce lasciate dall’errabondo per eccellenza, viaggiatore con la nostalgia del ritorno. Mario perotta porta la sua Odissea di figlio sulle sponde della Puglia, ne fa un canto popolare, un cunto in cui ad aprire spiragli di senso alla mancanza affettiva avvertita da Perrotta/Telemaco è Antonio della cozze, strano personaggio in dialogo col mare, aedo silenzioso di un’Odissea affettiva che s’imbatte nella favola del mito e cerca di consolare quel figlio senza padre. Mario Perrotta intreccia con abilità attorale il racconto di Ulisse con il portato fabulistico del Salento, ma non solo. Come spesso capita nei lavori di Mario Perrotta anche Odissea è un accumulo di segni, di riferimenti, un abbondante centone che dice tutto o vorrebbe dire tutto, in cui musica e parola dialogano con costruita intelligenza, in cui il racconto di Ulisse si sporca di popolare. Le citazioni omeriche – suggestivo il topos del muro di mare che s’erge contro la piccola flotta – s’intrecciano con un quotidiano mediterraneo che è intimo, che ricorda il mito del padre nell’Isola di Arturo di Elsa Morante… Sono queste alcune suggestioni per uno spettacolo ben eseguito, pensato fino nei minimi particolari. La metafora della paternità attraversa anche la forma di quest’Odissea che è odissea d’attore, di un Telemaco che rende omaggio ai suoi padri, o forse semplicemente si diverte a mischiare il racconto del mito con linguaggi altri che ne fanno un canto contemporaneo, solo perché si compie e si esaurisce nell’atto della scena. Nel recitar-narrando di Mario Perrotta fanno allora capolino la mimica di Totò, la smorfia di Petrolini, il cabaret di Giorgio Gaber, ma anche accenni al cunto di Cuticchio. Perrotta costruisce – a livello formale – un mix d citazioni che fanno da puntelli ad un’interpretazione precisa, ispirata ma mai coinvolgente. Se pure la sintonia dell’attore con i musicisti appare ben oliata, se pure la gestione dello spazio scenico pare fin sfrontata nella sua sicumera, non manca neppure l’interrogare il pubblico dall’alto del palco, pur con tutto ciò l’Odissea di Mario Perrotta rimane un bel racconto che si ascolta volentieri ma che alla fine non ci appartiene. Si ha come l’impressione, al chiudersi del sipario, di aver assistito agli equilibrismi di una acrobata, ma senza l’ebbrezza che dà il rischio. Si è apprezzata la bravura dell’interprete che non fa nulla per nasconderla ma alla fine ci si è accorti di non aver condiviso una parola, un respiro con quell’Ulisse mediterraneo che è metafora della sete di conoscenza ma anche di un ritorno impossibile e inconoscibile…

Nicola Arrigoni

Bella Odissea pugliese per Perrotta

Una giacchetta da artista di varietà, il viso coperto di biacca, Mario Perrotta fa vivere «Odissea» in un un' epicità divenuta quotidianità nel racconto popolare, contrappuntato dalle musiche originali eseguite dai bravi Marco Arcari e Maurizio Pellizzari. Una storia di abbandono e di mare scritta con bella inventiva drammaturgica in un linguaggio che unisce il dialetto pugliese a venature di lontana classicità, a un parlare quotidiano. Ulisse è un padre che non torna in un paese del sud: la madre aspetta, il figlio, il narratore, aspetta anche lui. E' un Telemaco disperato, arrabbiato e stanco di soffrire per chi li ha dimenticati, consolato soltanto dalle strabilianti storie di Antonio delle cozze, il matto. Con bravura, recitando, cantando Perrotta intreccia alla vita di paese il bisogno di padre e di riscatto di questo Telemaco del Salento che non cessa di scrutare l' orizzonte del mare «che è così enorme perché contiene tutte le storie di chi lo ha attraversato» e porta echi di Ciclopi e di Sirene, di Calipso e di naufragi. Un affabulare che è scavo nei sentimenti contraddittori di un ragazzo cresciuto senza padre che intrappola nell' immaginario la rabbia di una privazione che lo porta a sognare di un padre eroe impedito dal fato, piuttosto che di un uomo che ha rinunciato. Da vedere. Al Crt Salone, fino al 22/2

Magda Poli

Ultima modifica il Sabato, 21 Settembre 2013 07:40

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