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NEL NOSTRO NOME - di Sebastian Nübling

"Nel nostro nome", regia Sebastian Nübling "Nel nostro nome", regia Sebastian Nübling

Testo di Sebastian Nübling, Ludwig Haugk, Julia Pustet
Liberamente tratto da Le supplici di Eschilo, I rifugiati coatti di Elfriede Jelinek, la 42a seduta della commissione interna del Bundestag tedesco e contributi originali degli attori
Regia: Sebastian Nübling
Con: Maryam Abu Khaled, Ayham Majid Agha, Tamer Arslan, Elmira Bahrami, Vernesa Berbo, Karim Daoud, Anastasia Gubareva, Mateja Meded, Cynthia Micas, Orit Nahmias, Tim Porath, Dimitrij Schaad, Hasan Taşgın, Thomas Wodianka, Mehmet Yılmaz
Co-regia, istruzione del coro, musica: Lars Wittershagen
Scena: Magda Willi
Video: Jesse Jonas Kracht
Costumi: Ursula Leuenberger
Drammaturgia: Ludwig Haugk
Collaborazione drammaturgia, ricerca: Julia Pustet
Berlino, Teatro Maxim Gorki, dal 13 al 24 novembre 2015

www.Sipario.it, 16 novembre 2015

Mentre per le strade di Parigi si propaga il terrore per gli attentati terroristici di venerdì 13 novembre 2015, al Teatro Maxim Gorki di Berlino lo spettacolo Nel nostro nome (titolo originale In unserem Namen) festeggia la sua première nella sala grande. "L'installazione corale-teatrale" di Sebastian Nübling è la manifestazione di punta del 2° Salone d'autunno di Berlino (2. Berliner Herbstsalon), iniziativa alla sua seconda edizione che vede il Teatro Gorki trasformato dal 13 al 29 novembre 2015 in una piattaforma espositiva temporanea per oltre 30 artisti e attivisti. Mentre il 1° Salone d'autunno del 2013 venne dedicato a identità, nazione e provenienza, il tema di questa seconda edizione è la fuga. L'intensificazione dei flussi migratori verso l'Europa, le morti nel Mar Mediterraneo e una politica migratoria che non sembra rispettare i valori su cui l'Europa si fonda rendono infatti indispensabile un confronto su questa tematica, a maggior ragione in una città come Berlino, storica meta di migrazioni.

Nel nostro nome si rifà all'opera I rifugiati coatti (titolo originale Die Schutzbefohlenen) del premio Nobel per la letteratura Elfriede Jelinek, a sua volta basata sulla tragedia Le supplici di Eschilo. Jelinek scrisse il dramma nel 2013, in seguito al moltiplicarsi delle catastrofi umanitarie nel Mediterraneo e all'inasprirsi delle conseguenze della politica migratoria vigente. Mentre la tragedia di Eschilo si conclude con l'accoglienza delle Danaidi supplicanti asilo da parte di Pelasgo, re di Argo, il dramma della Jelinek finisce col ritrarre la disperazione dei rifugiati cui non viene destinata alcuna tolleranza.

Il testo di Nübling cita solo di rado le due fonti principali e lascia ampio spazio alla rielaborazione degli attori, i quali hanno partecipato con le proprie storie alla realizzazione dello spettacolo. Gli spettatori vengono prelevati nel foyer del teatro dall'attrice Orit Nahmias, che li mette immediatamente in guardia sul tenore dello spettacolo ("sarà molto deprimente") e ironizza sui vari possibili metodi con cui potranno reagire (empatia, razionalizzazione, oblio ecc.). Il pubblico viene poi condotto nella sala principale, per l'occasione "spogliata" del palcoscenico e dei posti a sedere. Ci si siede a terra, chi appoggiato alla parete, i più audaci in mezzo al salone vuoto, chi su una scala che ricorda così tanto una tribuna da venire prediletta dai più. Ben presto ci si rende conto dell'inganno: non c'è palcoscenico e non c'è platea, o meglio non c'è distinzione tra i due. Tra il pubblico si levano d'improvviso singole voci che finiscono per unirsi in un coro. Voci disperse, eppure unite e unificanti nel creare un moto di coinvolgimento verso il pubblico che diventa parte viva dello spettacolo. Insieme agli attori che camminano, corrono e saltano, bisogna alzarsi, sedersi, spostarsi. Scena e platea coincidono. Siamo "noi", la società odierna che si scontra con l'arrivo degli "altri", i fuggitivi che non hanno potuto salvare altro che la propria stessa vita: "Viviamo. Viviamo. L'importante è che viviamo, e molto di più non è il vivere, una volta lasciata la sacra patria" intonano gli attori, prima singolarmente, ognuno nella propria lingua, poi in coro, in tedesco, citando così I rifugiati coatti della Jelinek. Anche lo Stato fa la sua comparsa attraverso politici, ministri e una schiera di funzionari in giacca e cravatta che discutono sulla legge che disciplina l'immigrazione, facendo smarrire il pubblico tra i riferimenti giuridici a paragrafi, sottoparagrafi e comma, per concludere con un nulla di fatto. Non manca la comicità con il siparietto di Thomas Wodianka che si atteggia a sostenitore del movimento xenofobo tedesco Pegida e mette in luce con ironia l'assurdità delle potenziali minacce che questo gruppo attribuisce agli immigrati. Nel nostro nome non si conclude con il consueto applauso del pubblico agli attori in scena, bensì con uno scambio tra le due parti, che si sono così ben fuse tra loro durante le due ore precedenti: gli attori si disperdono di nuovo nella sala e prendono a raccontare storie, commentare provvedimenti legislativi, mostrare immagini e fotografie in tono intimo e confidenziale a chi dedica loro attenzione. Gli spettatori sono ancora una volta liberi di muoversi nello spazio, ascoltare prima uno, poi l'altro, fare domande, fugare dubbi e anche dissentire. Il teatro diventa così uno spazio politico democratico ideale in cui possiamo mettere in dubbio, cambiare e trasformare quello che accade, viene deciso o proclamato nel nostro nome.

Gloria Reményi

Ultima modifica il Venerdì, 20 Novembre 2015 22:36

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