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NAPOLEONE. LA MORTE DI DIO – regia Davide Sacco

Lino Guanciale in "Napoleone. La morte di Dio", regia Davide Sacco. Foto Ivan Nocera Lino Guanciale in "Napoleone. La morte di Dio", regia Davide Sacco. Foto Ivan Nocera

di Davide Sacco, da Victor Hugo
con Lino Guanciale, e con Simona Boo e Amedeo Carlo Capitanelli
regia Davide Sacco
aiuto regia Flavia Gramaccioni
scene Luigi Sacco
luci Andrea Pistoia
Produzione Lvf – Teatro Manini Di Narni
Al Teatro Politeama di Napoli, per il Campania Teatro Festival, prima assoluta il 14 giugno 2023, poi al Narni Città Teatro
Replica al Teatro Romano di Verona il 28 e 29 luglio, e a Bassano del Grappa per Operaestate Festival Veneto, il 31.

www.Sipario.it, 23 giugno 2023

Del giovane Davide Sacco sorprende una qualità di scrittura che fa della parola un segno fisico, che il corpo ascrive su di sé e traduce in scena. È parola che, scavando, sa unire cuore e mente. È parola che raccoglie vissuti nutrendoli di umanissima sostanza restituendone l’anima profonda. “Oggi è il 15 Dicembre 1840, forse. Oggi da qualche parte, è morto un padre, forse. Oggi, da qualche parte, è morto Dio. Oggi, dopo vent'anni, seppelliamo Napoleone Bonaparte. Un imperatore. Un padre. Un Dio. Papà è morto”. Con quest’incipit si apre il testo e lo spettacolo “Napoleone. La morte di Dio” con Lino Guanciale in scena che racconta, e incarna sdoppiando voce e posture, la figura di un figlio davanti alla perdita del padre, e quella di un giovane Victor Hugo che del suo breve testo “I funerali di Napoleone” - racconto sul ritorno in patria, nel 1840, delle spoglie di Napoleone, del sontuoso corteo funebre accompagnato da un bagno di folla - ne fa materia di cronaca e motivo di riflessione sulla fine umana del potere di fronte al tempo che scorre e alla morte. A ispirare l’autore Davide Sacco è stato il libricino del francese nel quale innesta il suo toccante testo intessendo un fatto storico e vicende di umana compassione. Quel dolore privato che è la morte di un padre, e che accomuna gli uomini, il vuoto che egli lascia, l’orfanezza che subentra mista a rimorsi, a cose non dette, a gesti non espressi, s’apre a dimensione universale ponendo domande, considerazioni, biasimi. Nell’intreccio di due piani temporali l'attore traccia un percorso parallelo tra la costruzione del dolore e chi lo prova realmente, tra la messa in scena del soffrire e chi soffre. L’allestimento – regia di Sacco - rompe la trappola dell’intimismo mediante un’imponente scenografia con un’alta impalcatura di tubi innocenti, lampadari che scendono dall’alto, luci laterali e fari che verranno puntati in platea, e con la pregnante presenza silenziosa di due figure – i becchini scespiriani dell’Amleto? Due officianti? – che lentamente spargono terriccio per la tumulazione, e interagendo, a tratti, col protagonista. Della donna udremo anche la sua voce con la canzone di Modugno Cosa sono le nuvole, seguita dall’aria di Händel Lascia ch'io pianga, e il motivo L’ombra della luce di Battiato, tutte parole che dicono sentimenti di amore e di dolore. Seduto su una lunga panca metallica – alzata, diventerà monolite, tomba, altare? -, aggirandola, sostando ai lati o in piedi, guadagnando altri spazi, Guanciale tiene la scena con i tremori, la forza, l’urlo, lo schianto, la tenerezza, lo smarrimento dei moti dell’animo, in un lucido e vibrante equilibrio di espressioni vocali che solo il tonfo finale di una bara, improvvisamente caduta dall’alto, spegnerà, sentenziando la fine. 

Giuseppe Distefano

Ultima modifica il Lunedì, 26 Giugno 2023 16:14

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