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NIGHT BAR - regia Valerio Binasco

Arianna Scommegna in "Night bar", regia Valerio Binasco. Foto Duccio Burberi Arianna Scommegna in "Night bar", regia Valerio Binasco. Foto Duccio Burberi

di Harold Pinter
traduzione Alessandra Serra
regia Valerio Binasco
scene Lorenzo Banci
costumi Sandra Cardini
musiche Arturo Annecchino
luci Roberto innocenti
con
(in ordine alfabetico) Nicola Pannelli, Sergio Romano, Arianna Scommegna
produzione Teatro Metastasio di Prato / Teatro Stabile di Genova
Al Teatro Metastasio di Prato, dal 13 al 18 febbraio 2018

www.Sipario.it, 15 febbraio 2018

PRATO - Con l'abituale miscela di freddezza, cinismo, tenerezza e poesia, Harold Pinter racconta la bizzarra realtà dell'esistenza umana, che il secondo Novecento coglie in piena crisi; il drammaturgo britannico, fra i più acuti e sottili interpreti delle zone grigie dell'umanità, si misura con il bar inteso come punto di passaggio, di sfioramento d'esistenze, ricettacolo di sogni e fallimenti, dove prima o poi almeno una volta nella vita, tutti andiamo a sbattere la testa, perché ci pesa la solitudine oppure perché vogliamo godercela bagnandola con una birra da due soldi. Con Night bar, Valerio Binasco allestisce una sorta di "microscopio scenico" sui risvolti meno poetici dell'esistenza, unendo quattro brevi storie d'amore, di violenza, di follia, di sesso più o meno sottinteso, ognuna con un senso di perdita che lascia attorno a sé un sentimento grigio, come sabbia che intorbida una corrente cristallina. Al centro, un bar che diventa un "non luogo", che Pinter ha colto in momenti diversi, ovvero in tre notti bizzarre e in una stanca giornata in un periodo in cui, senza un gestore, l'ex bar è diventato la trappola dove due assassini professionisti attendono la vittima. È questo il primo episodio, dal bizzarro titolo Il calapranzi: Ben e Gus sono la strana coppia di delinquenti assoldati da un misterioso mandante di cui si attende invano l'arrivo o le istruzioni, in un'atmosfera da pomeriggio di un giorno da cani. Fra i due non corre buon sangue, Nicola Pannelli interpreta con la necessaria violenza il perfido e prepotente Ben, che non perde occasione di vessare l'ingenuo e timido Gus, al quale il "mestiere" pesa sulla coscienza, ma non ha abbastanza forza morale per lasciarlo. Sergio Romano è il timido Gus, cui presta movimenti goffi e una parlata dimessa, al limite della trasparenza. Nella noia di queste ore, Pinter porta il pubblico a contatto con i bassifondi dello spirito umano; persi nella noia e nell'incertezza della situazione, in attesa della vittima, i due sono costretti a condividere il medesimo spazio, che ben presto si fa claustrofobico, e inizia una sorta di gioco al massacro che vede Ben sopraffare Gus, sia con la violenza fisica, sia con quella verbale. D'improvviso, forse per un cortocircuito, il calapranzi si muove su e giù portandosi dentro le vecchie ordinazioni dal ristorante del piano di sopra; e per nell'assurdità del momento, sembra essere l'unico contatto dei due uomini con l'esterno, un esterno che però potrebbe essere vuoto, considerando che il ristorante di sopra è ormai chiuso. Tra frasi volgari e scherzi infantili, arriva il momento fatale: la vittima entra, Gus le apre la porta restando alle sue spalle, e mentre avanza inconsapevole, Ben le si fa incontro ed esplode un unico colpo di pistola. Una morte il cui motivo ci resta sconosciuto, portata a sangue freddo senza un istante di dubbio. Una storia amara, che apre interrogativi su quanto in basso possa cadere l'essere umano, senza che nemmeno sappia il perché.
Gli altri tre episodi hanno invece luogo nelle sere di apertura del bar, forse precedenti forse successive alla storia d'apertura. In Tess una prostituta, Arianna Scommegna, cerca di abbordare un cupo e taciturno avventore; sfoggiando un'allegria forzata e millantando una vecchia amicizia fra l'uomo e sua madre, gli si avvicina con mosse lascive, dandosi un'aria raccontando una storia che si rivela ben presto un monologo disperato in cui emergono i particolari della sua difficile esistenza; dalla morte prematura del padre, alla madre che non ha tempo per lei, alla fuga da casa e allo stupro subito. Pinter scava nella solitudine della sofferenza; è sola la donna cui nessuno presta attenzione, ma è solo anche l'avventore perso nella sua malinconia, che d'improvviso, a metà del racconto della donna, si alza ed esce dal locale. Distante, da loro separato fisicamente e metaforicamente, il barista dietro il bancone è impegnato in una conversazione telefonica, con la moglie o forse con l'amante.
Nel bar s'incrociano personaggi bizzarri, non necessariamente malinconici; è il caso de L'ultimo ad andarsene, con il titolo che indica l'ultimo avventore del locale, un bizzarro venditore ambulante di giornali, la cui conversazione è un insieme di chiacchiere svogliate, casuali, ripetitive, sconclusionate, forse l'unico momento gradevole e spensierato al termine di una giornata faticosa. Il barista lo ascolta, tradendo però l'impazienza di chiudere il locale e andarsene dalla donna della telefonata, cosa che fa pochi minuti dopo.
In Night, una coppia sposata, visibilmente ubriaca, cerca di ricordare il loro primo incontro, l'innamoramento, il primo approccio, ma forse per l'alcool, forse per un affievolimento della passione reciproca, i ricordi non coincidono; ma i due non litigano, anzi si abbracciano, paghi comunque di poter contare su un qualcosa che li tiene uniti, baluardo indispensabile contro la solitudine e l'inaridimento dell'esistenza. Una cover di Love is blue, sparata ad alto volume dal juke box nell'angolo, è il sigillo al messaggio dolceamaro che Pinter lascia al pubblico in chiusura di spettacolo: la purezza nella vita non esiste, inutile cercarla anche nell'amore, ed è già molto se due persone riescono a incontrarsi e ad accettarsi.
La regia discreta di Valerio Binasco asseconda il teatro "duro e puro" di Harold Pinter, che lascia da parte estetismi e invenzioni sceniche per raccontare unicamente l'esistenza, o almeno quella sua parte anonima, in larga parte insoddisfacente, eppure accettata con rassegnazione, che la maggior parte degli esseri umani è costretto a condurre. Uno spettacolo che puzza d'alcool e vestiti sporchi, cibo scadente e stanze non arieggiate; potrebbero essere i luoghi abitati da questi personaggi attaccati a una quotidianità di volta in volta crudele, labile, monotona, che in letteratura ha un'ampia tradizione, da Anton Cechov a Raymond Carver.
Da parte loro, i tre attori s'immedesimano nei ruoli offrendo una recitazione dimessa, esibendo fondamentalmente indifferenza, quasi non credessero di essere vivi e di compiere azioni che hanno un riflesso anche sugli altri. Una recitazione in linea con l'atmosfera di generale squallore, esaltata da una scenografia che evoca un dipinto di Hopper, con quel bancone anni Cinquanta, le luci soffuse, i colori in penombra, e quell'atmosfera d'attesa destinata a non trovare compimento. Che l'esistenza sia fondamenta mentalmente sciocca e monotona, è purtroppo una realtà assodata, e, sembra suggerire Pinter, se l'umanità non prende coscienza della sua pochezza spirituale, non è possibile trovare una via d'uscita. Alla chiusura del sipario, applausi meritati del pubblico, purtroppo non particolarmente numeroso. Spettacoli del genere, dolorosamente veritieri e scomodi, non sorprende che spaventino lo spettatore medio. Meglio una serata al bar.

Niccolò Lucarelli

Ultima modifica il Giovedì, 15 Febbraio 2018 21:07

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