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MARIA PASCOLI, UNA STORIA SEGRETA - di Giuseppe Liotta

"Maria Pascoli, una storia segreta", regia Giuseppe Liotta "Maria Pascoli, una storia segreta", regia Giuseppe Liotta

testo e regia Giuseppe Liotta
con Uliana Cevenini, Mirella Mastronardi, Alessandro Tampieri
costumi Loredana Vitale
organizzazione Elena Bastia
assistente alla regia Caterina Todaro
una produzione Compagnia Trame Perdute
Visto al Teatro Duse di Bologna, il 13 aprile 2016

www.Sipario.it, 14 aprile 2016

BOLOGNA - La dimensione del ricordo che si fa urgenza, ossessione, fantasma personale, piacere di fermare sulla carta le sensazioni e il vissuto di un tempo. Immaginando i giorni che hanno preceduto la riscrittura della monumentale opera Lungo la vita di Giovanni Pascoli, da parte della sorella Maria, il regista e drammaturgo Giuseppe Liotta porta sul palcoscenico la dimensione più intima dello stretto rapporto che unì il poeta di San Mauro alle sorelle Ida e Maria, e al fratello Alessandro Giuseppe (detto Peppino); Maria Pascoli, una storia segreta, è insieme il ritratto dei quattro fratelli con le loro personalità, e la narrazione di un rapporto non sempre idilliaco, scaturito dal tragico episodio della morte violenta del capofamiglia, Ruggero Pascoli assassinato nel 1867. Un accadimento che lasciò un segno profondo nella famiglia, e particolarmente su Giovanni e Maria, che sempre, nella loro esistenza, provarono un continuo senso d'insicurezza, e cercarono disperatamente di ricostruire quella dimensione familiare andata perduta. Su queste corde si sviluppò la strana convivenza a tre fra Giovanni e le sorelle, cui, per un certo periodo, si è aggiunto anche l'anarcoide Peppino.
Alternando presente e passato, senza soluzione di continuità, lo spettacolo rievoca quel ménage, facendo emergere anche le differenze caratteriali tra i quattro fratelli; Maria e Ida, rispettivamente interpretate da Uliana Cevenini e Mirella Mastronardi, sono le protagoniste principali, le persone che più a lungo hanno vissuto con il fratello, e che lo conoscono meglio di chiunque altro. Entrambe abbigliate con sobri abiti sullo stile della piccola borghesia del tardo Ottocento, sembrano uscire da una tela macchiaiola di Silvestro Lega, (quella Visita, che anche nel paesaggio richiama l'Appennino tanto caro a Pascoli), tanto è sobria e misurata la recitazione di Cevenini e Mastronardi. Ognuna esprime sul palco la differente femminilità di due donne borghesi di fine Ottocento, pudiche eppure a modo loro capaci di piccole civetterie; Maria, è una personalità puritana e solitaria, intimorita dal mondo esterno, dalla vita vissuta, ma Ida esprime invece una soggettività ben più aperta alla vita, desiderosa di innamorarsi e di sposarsi; una sognatrice come tante ce n'erano in quell'epoca. Nonostante la convivenza a tre (interrotta per qualche anno da matrimonio di Ida), ognuna delle due ha un rapporto esclusivo con il fratello, non scevro di reciproche gelosie, in particolare di Maria, per i tanti regali che Giovanni porta a Ida. Ognuna, come si evince dallo spettacolo, convinta di essere la depositaria della memoria del fratello. Lo spettacolo è aperto dall'effetto sonoro di un forte vento tempestoso, un vento che riporta indietro i ricordi lontani del passato, quel passato che ha il volto di Giovanni, raccontato con chiarezza didascalica, attraverso episodi piccoli e grandi della sua esistenza, che regalano al pubblico un suo ritratto in chiaroscuro; il fatto che, come puntualizza Ida, quando entrambe le sorelle si trovavano in convento, rimaste sole dopo la morte della madre, mai si sia recato a trovarle. O la severità, al limite della violenza, che usava talvolta verso il fratello Peppino, o ancora la sua adesione al socialismo anarchico, che gli costò l'arresto e una breve reclusione. Ma anche le tante medaglie ottenute al certame poetico di Amsterdam, la fama e il rispetto che lo accompagnavano ovunque.
In mezzo, episodi piccoli e grandi della vita familiare, le aspirazioni matrimoniali di Ida, i ricordi dei genitori, gli anni in convento delle sorelle; il regista accompagna il pubblico nell'intimità di un rapporto familiare non convenzionale, nato da difficili esperienze pregresse, ma comunque, tutto sommato, abbastanza sereno, con Giovanni percepito dalle sorelle quasi alla stregua di un padre, in particolare da Maria, la più fragile e impaurita dalle insidie dell'esistenza.
A rompere questa linearità di rapporti, il fratello Peppino; è lui l'outsider dello spettacolo, così come è stato un outsider nel corso della sua vita. Alessandro Tampieri dà vita a un uomo che, se sulle prime appare scialbo, si dimostra uomo dalla personalità vulcanica, animato da un'irrequietezza che lo porta a vagheggiare progetti al limite del fantastico; anziché giocare con le parole, come il fratello, lui gioca con i materiali, improvvisandosi inventore di questo o quel marchingegno, i brevetti dei quali non avranno però successo alcuno, costringendolo a una vita grama, aiutato sovente dall'intervento economico di Giovanni. Un uomo che insegue illusioni e aquiloni, morto prematuramente e con un matrimonio alle spalle non particolarmente felice.
C'è una frase che ricorre più volte, pronunciata con l'amarezza che non vuol cedere alle illusioni: "Noi non siamo una famiglia", a voler ribadire l'impossibilità di ricostruire quell'atmosfera andata perduta con la morte del padre prima, e della madre poi, con i tanti anni di separazione delle sorelle dal fratello. Efficace, per rappresentare scenicamente le distanze createsi, la scelta del regista di far recitare gli attori quasi sempre lontani l'uno dall'altro; uno spettacolo con pochissimo contatto fisico, giocato sulle corde psicologiche più intime dei personaggi. Uno spettacolo crepuscolare, sobrio e raffinato, intriso di malinconia e di una certa solennità d'altri tempi, a tratti severo, a tratti più gaio, ma comunque specchio metaforico della personalità dello stesso Giovanni Pascoli, uomo schivo della folla e del caos, nato nella piccola borghesia agricola, e che andò sempre fiero di queste sue origini, come conferma il suo stile di vita, sul quale comunque non poca influenza ebbe la tragica e prematura morte del padre. Il ritmo lento, quasi da tragedia greca, la sobria scenografia che riproduce i tratti di un sobrio interno borghese poco illuminato, conferiscono allo spettacolo un'affascinante vischiosità, quella stessa dei ricordi che abbarbicati in qualche angolo della memoria.
Applausi meritati per un testo ben allestito e recitato, che prende le mosse da una vicenda personale, per raccontare l'importanza che la dimensione della memoria riveste nella vita di ogni individuo.

Niccolò Lucarelli

Ultima modifica il Giovedì, 14 Aprile 2016 17:30

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