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KINGS. IL GIOCO DEL POTERE - regia Alberto Oliva

 “Kings. Il gioco del potere” - regia Alberto Oliva “Kings. Il gioco del potere” - regia Alberto Oliva

a Riccardo II, Enrico IV ed Enrico V di William Shakespeare
drammaturgia Michelangelo Zeno
con Giuseppe Scordio e Piero Lenardon, Angelo Donato Colombo, Enrico Ballardini, Federica D'Angelo, Martino Palmisano, Paolo Grassi
regia Alberto Oliva

scene Giuseppe Scordio
e Saverio Assumma

costumi Sartoria Streghe & Fate, 
disegno luci Alessandro Tinelli

aiuto regia Gianfilippo Falsina
, assistenti alla regia Francesca Muscatello, Marta Pasetti

produzione Spazio Tertulliano e URT Jurij Ferrini

PRIMA NAZIONALE

Milano, Spazio Tertulliano, dal 5 al 22 novembre 2014

www.Sipario.it, 13 novembre 2014

Alberto Oliva ci ha abituati a un lavoro sui classici in grado di presentarli nella loro attualità, senza mai alterarli né deformarli verso forzature che spesso ne perdono - più che ritrovarlo - quel carattere così fortemente universale e contemporaneo ch'essi hanno per natura. In Kings. Il gioco del potere la drammaturgia è ben realizzata da Michelangelo Zeno che, fedele alla parola shakespeariana, restituisce in successione le vicende di Riccardo II, Enrico IV ed Enrico V esaltandone la realtà comune. Piacevoli i passaggi in cui Falstaff la fa da padrone, in grado di alleggerire la tensione e, al contempo, di gettare uno sguardo su un'umanità più schietta e sincera. Lungo il corso dello spettacolo le vicende dei singoli re vengono progressivamente trascese da una dimensione che - sebbene si declini in modo differente nei tre regni – è sempre uguale a se stessa: la dinamica del potere. La messinscena è in grado di restituire la potenza di questa entità misteriosa e di farne percepire la presenza reale: è lei la vera protagonista, la forza che muove i fili delle tre figure succedutesi sul trono d'Inghilterra.
Il potere è una forza che attrae e che muove le proprie pedine lungo tutta la storia umana e, Shakespeare lo dice apertamente, è sempre irrimediabilmente intrisa di sangue e sofferenza. Ma c'è dell'altro: il potere sembra non potersi crogiolare nella staticità pacifica, sembra quasi dover necessariamente guardare al cambiamento, e alla guerra, per potersi mantenere agli occhi stessi dei cittadini, esseri perennemente insoddisfatti e sempre alla ricerca del nuovo. Questa la natura umana, questa la realtà che anche oggi viviamo: mai contenti, sempre protesi verso il rimpianto del passato e l'aspettativa del futuro. La Storia vive di scontri sempre in corsa verso il mutamento, zigzagando lungo il sentiero frastagliato di un'esistenza che si ripete sempre uguale a se stessa e che, in questo eterno ritorno di dinamiche identiche, fingendo di cambiare, placa gli animi inquieti. Almeno per un po'. Almeno finché non si sente il richiamo di un "altro". Scontro e insoddisfazione fanno da contraltare a stabilità e consenso. Perché è così: i contrari vivono alla base della Storia, dello Stato, dell'Uomo.
Interessante e di buona riuscita la scelta dell'ambiente in cui si muovono gli attori (purtroppo non tutti sempre convincenti): un ponteggio contemporaneo su cui, quasi dimenandosi invano nel tentativo perenne di costruire qualcosa di nuovo e di solido, ci si arrampica, si viene imprigionati, si trama, si lotta, si muore. Ma la stabilità pacifica, florida e felice non può che sfuggire continuamente da quelle mani tese ad altri fini. Le musiche intense e i giochi di luce e ombra (del bravo Alessandro Tinelli) creano un'atmosfera torbida, specchio degli spettri che vi fluttuano. E riconosciamo nei sovrani – avidi di potere, sperperatori di denaro, demagoghi - i nostri politici e nei sudditi - perennemente insoddisfatti e incapaci essi stessi di cambiare il proprio Paese - noi stessi. Facce di una stessa medaglia, la politica, che si dimostra sempre più incapace di guardare al suo fine ultimo: il benessere degli uomini.
Lo spettacolo riesce soprattutto grazie alla capacità di orchestrare la dinamica scenica in modo mai scontato, restituendo attraverso la coreografia dei personaggi un buon flusso di emozioni sotterranee che sentiamo scorrere tra loro, avvolgerli e dominarli. A passaggi cristallini si alternano momenti più profondamente intimi e raccolti, quasi onirici: molto intensa la resa della battaglia tra Enrico IV e i ribelli, quasi fosse un incubo, e lo scontro corpo a corpo tra il futuro Enrico V e il giovane Percy, restituito con buon pathos. D'effetto il finale in cui viviamo la straniante sensazione di perfetta vestibilità delle parole shakespeariane su figure moderne, un'immagine che resta impressa e che lascia in bilico tra inestinguibili speranze per il futuro e presa di coscienza di sconfortanti ripetizioni.

Serena Lietti

Ultima modifica il Giovedì, 13 Novembre 2014 16:16

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