uno spettacolo scritto e diretto da Giuseppe Convertini
con Riccardo Monitillo, Daniele Tammurello e con M. Eugenia Verdaguer
con la partecipazione video della Compagnia Laboratorio Teatrale "Il Sud in Movimento"
scene e costumi: INTERNI BIANCHI
montaggio Audio-Video: Giuseppe Convertini e Leonardo Settimelli
musiche: INTERNI BIANCHI
Roma, Teatro dei Conciatori dal 23 al 25 giugno 2014
Il mio don Giovanni di Giuseppe Convertini ha aperto la stagione estiva del teatro dei Conciatori di Roma. Lo spettacolo richiama alla mente il mito mozartiano solo nel titolo, preferendo concentrarsi sul difficile rapporto padre-figlio, che dagli anni 60 (anni di ambientazione della messa in scena) in poi è andato sempre più complicandosi.
Don Pasquale Amoruso è un avvocato-proprietario terriero con mentalità retrograda e fortemente ancorata alla sua terra e al mito del macho sciupafemmine di tradizione familiare. Egli impone la sua patria potestà a un figlio trentenne, sensibile e ubbidiente, incapace di alcuna ribellione contro il genitore ma "I nostri figli non sono i figli nostri..."... (K. Gibran).
Il regista gioca con il suo personaggio al toreador matado più che matador, lontano dallo stallone da monta, che suo padre richiama con forza al dovere di maschio e lo fa sulle note della Carmen di Bizet, per raccontare una mascherata pericolosa e per denunciare gli effetti deleteri di un padre padrone, coerente solo alla propria idea del figlio ma cieco e sordo verso i reali desideri e la vera natura del giovane. A ben vedere sembra ribaltarsi il binomio Leporello-Dongiovanni, qui traslato nel rapporto padre-figlio, facendo del secondo il servitore del primo.
Gli ammiccamenti al pubblico, non sempre necessari alla drammaturgia e infarciti di un lessico inverosimile sulle labbra di un dottore della legge - che parla in dialetto napoletano tutto il tempo - non oscurano, comunque, nonostante la giovane età, le potenzialità di Riccardo Monitillo, abbastanza convincente nei panni di un padre anziano, vittima del suo tempo, del suo io e di troppo amore per suo figlio. A lui risponde il don Giovanni di Daniele Tammurello, la cui interpretazione fornisce la giusta chiave di lettura di chi macho proprio non si sente.
In questo ménage à trois un po' forzato – padre, figlio, pubblico – s'inseriscono dei filmati di personaggi raccapriccianti: una sorta di casting per "Uomini e donne" dal sapore grottesco, che strappa sorrisi amari allo spettatore, rappresentando il vero punto di forza dello spettacolo.
Nonostante le buone intenzioni della messa in scena e gli alti riferimenti, tuttavia, il testo presenta un metalinguaggio poco stratificato che non supporta molto gli interpreti. La scelta libera, l'essere controcorrente, il rapporto genitoriale, quello filiale, la nevrotica pulsione del seduttore a tutti i costi sono temi storicamente abusati nella letteratura e risultano, perciò, difficili da indagare attraverso una nuova drammaturgia, se non con un'ottica originale ed elegante, molto ardua da trovare.
Margherita Lamesta